C’è a Roma, in via del Lavatore, un passo da Fontana di Trevi, un commerciante che ha pensato bene di esporre stamattina un cartello con scritto, in mandarino e in inglese:
A CAUSA DELLE DISPOSIZIONI INTERNAZIONALI DI SICUREZZA, A TUTTE LE PERSONE PROVENIENTI DALLA CINA E’ VIETATO ENTRARE IN QUESTO NEGOZIO. CI SCUSIAMO PER L’INCONVENIENTE. Ovviamente non esiste alcuna “disposizione di sicurezza”, né internazionale né europea né italiana né regionale né capitolina, che “causa” tale scelta di un bottegaio ignorante e incosciente. Sono solo prove tecniche di fine dell’umanità. Eccone un’altra. Lo sciacallo in felpa e bavetta dice oggi: AVEVO RAGIONE IO! CHIUDETE LE FRONTIERE! Peccato però che nonostante la psicosi strumentale dell’epoca in cui era ministro della polizia e dei porti chiusi, dall’Africa, dalla Siria o dal Medio Oriente non sia arrivato, in quei trasporti già disperati e poi vessati in sovrappiù, un solo contagio di colera, peste, listeriosi, febbre gialla, vaiolo delle scimmie, epatite E, ebola, dengue, meningococco e manco della più classica malaria! Arriva oggi invece un’influenza dalla Cina, e da altre parti del mondo ricco già da essa raggiunte; e scende dalle classi turistiche e business dei voli di linea, dalle crociere lussuose, esce dalle convention di lavoro, passeggia fuori dagli hotel in centro. Ma dobbiamo stare attenti a un contagio soprattutto, i cui germi sono già qui tra noi: la stupidità, e la paura ingiustificata! La malattia del bava razzista, quella pure è virale da un po’ in Italia. E nel suo caso di Paziente Zero, è del tutto incurabile. 100 nanòmetri, cioè 0.1 micron. Cioè in un centimetro ne entrerebbe una fila indiana di centomila. Di cosa? Di coronavirus dell'epidemia in corso, tanto è piccolo questo essere così minaccioso! E allora io penso alle strutture di centinaia di chilometri, o migliaia in qualche caso, in milioni di tonnellate di cemento e filo spinato, ai miliardi in bilancio per quelle e per i mezzi blindati e cingolati alle frontiere, per gli incrociatori armati a pattugliare i mari, per i droni-spia in stormo nel cielo, con cui l'uomo del mondo ricco prova a mettersi al sicuro chiudendo la porta in faccia alla minaccia degli uomini poveri in attesa in fila indiana. Ma tutto questo, lo vedete bene, è solo business e propaganda, e didattica della cattiveria e dell'infelicità, se poi basta uno starnuto portato con il vento, su cui surfando oltrepassino ogni confine politico e militare quegli infinitesimi pacchetti amminoacidi, per precipitare il ricco nella stessa angoscia del domani con cui fa i conti il povero dal primo giorno della vita fino all'ultimo. Spiegatelo a Trump, spiegatelo a Bolsonaro, a Putin, spiegatelo a Orbàn, a Erdogan, al Johnson della Brexit di stanotte, e ovviamente anche a Salvini – se ci riuscite. Io ho da fare: stasera vado a cena al solito ristorante cinese. Gli altri e le altre, poi, tutti quegli esseri macroscopici e senzienti e pensanti e parlanti, che provano a spostarsi sulla faccia del mondo per non crepare male dove nacquero per puro caso… …LET'S SAVE THEM ALL, INSTEAD! AND WE'LL SAVE US SELF TOO, JUST SO!
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a Elsa Morante Homo Felix come specie ebbe gestazione lunga, con più di una falsa partenza in molti luoghi della Terra prima di un diffuso corso semi-stabile; e mostra, all’esame delle Scienze Naturali, vicissitudini del tutto particolari. Così testimoniano i reperti che punteggiano la scena planetaria lungo l’arco di molti secoli i quali, peraltro, confermerebbero nel ruolo di protagonista della biosfera, nel bene e nel male, la specie più strettamente imparentata con Felix: Homo Sapiens.
Che Felix rappresenti una specie nuova e distinta da Sapiens, oltre che per i tipici caratteri che vedremo, è provato dalla cosiddetta infertilità interspecifica riscontrata ovunque; ossia: benché talvolta un Felix e un Sapiens contravvenissero alla regola generale di cercare l’accoppiamento con un proprio simile rispettivo, e semmai riuscissero a procreare un individuo vitale, ebbene l’ibrido si rivelava poi invariabilmente sterile (al pari del mulo o della giumenta). Felix, comunque, comparve ogni volta quale mutazione casuale dal ramo Sapiens del genere Homo – vero cespuglio evoluzionistico, questo, tutt’altro che lineare. Il ritrovamento più antico, effettuato nelle paludi presso il delta dell’Eufrate e datato col metodo del carbonio in termoluminescenza affilata, risale al 3200 a.C. (‘avanti Cristo': espressione primitiva di datazione, in voga presso Sapiens e usata anche da noi in campo stratigrafico terrestre). In quella zona Felix si diffuse per brevissimo tempo, organizzandosi in forme sociali molto semplici e forse proprio per questo destinate a soccombere nella lotta per la sopravvivenza con gli assai più numerosi Sapiens della regione. Va subito detto, in proposito, che il concetto di lotta per la sopravvivenza mal si addice a questa specie: in effetti non si è mai rinvenuto alcun utensile di Felix che potesse richiamare anche solo per analogia un’arma di offesa o di difesa. Viceversa, abbondano manufatti e iniziative a tutt’altra destinazione – vere e proprie innovazioni di prodotto e di processo, molte delle quali adottate anche da Sapiens con profitto, a riprova dell’indubbio talento del nuovo arrivato in ambito sia progettuale che pratico. Tra i reperti più notevoli: tavolette di argilla e punte da scrittura (come nel primo ritrovamento); cerchi e assi di rotazione; mescole cromatiche per tinte a parete o a ceramica; tetracordi, aerofoni, pelli da percussione e altri strumenti musicali; riproduzioni in scala ridotta di umani e vari viventi (a scopo ludico, presumibilmente); righe, squadre e compassi; sedute per la comodità e per la socializzazione; archi a tutto sesto; teatri; scacchiere; attrezzi per le competizioni agonistiche; la riforma agraria; papiri e pergamene in prosa e in versi (in molte lingue, ormai da noi decodificate); mappe e carte geografiche terrestri e astronomiche; annali e ricerche storiografiche; ombrelli; aquiloni e trottole; filastrocche e formule di sostegno morale; la libera stampa; metodi di vinificazione; protesi dentarie; ricette al tartufo; pompe aspiranti; salvagente di marina; luoghi idonei all’esercizio della cura e della compassione; la pittura a olio; occhiali e binocoli; manuali di esercizi per mimo e giocoliere; pettini e spazzole; specchi; scope; il diritto dei più deboli; la satira coraggiosa; danze e ballate; l’amore romantico; la cioccolata; l’accordo di 7ma Maggiore; salassi, stetoscopi e chinino; abachi ed enciclopedie; l’educazione pubblica e gratuita; la bicicletta; il massaggio rilassante; lampadine, caffettiere ed estintori; il comunismo; macchine per cucire; sistemi di tassazione progressiva; pellicole fotografiche; scaldabagno e sali di bellezza; la Teoria della Relatività; quella della Selezione Naturale; vaccinazione e penicillina; dribbling e marcatura a zona; jeans e minigonne; poesie in forma di rosa; l’antimafia; transistor e wi-fi; le steadicam; la tecnologia ‘verde’ (si ritiene: ecologicamente sostenibile); reti di interconnessione virtuale; esortazioni contro la maldicenza; corsi contro il vittimismo; l’amore per gli altri animali; il ‘pollice verde’ (si ritiene: attitudine alla cura del mondo vegetale); i primi abelliunni; trinchi a vite protonica; gernitte per la notte. Un lascito vasto e significativo, dunque; soprattutto in considerazione dello stato di ridottissima minoranza di Felix rispetto a Sapiens per l’intera durata della coesistenza delle due specie. Minoranza di cui dà misura l’infrequenza delle apparizioni di Homo Felix, stando a quanto oggi documentabile: il secondo ritrovamento data infatti ben duemilacinquecento anni dopo il primo; risale al VII sec. a.C., il sito è sul versante meridionale dell’Himalaya, e si è accertata la presenza di un piccolo clan dalle abitudini seminomadi, prossimo a un singolare deposito di tronchi fossili di baniano. Il terzo ci porta in Europa, due secoli dopo, alle pendici del monte Filopappo in Attica: troviamo i resti di pochissimi individui e tra i manufatti, il più strano, un calice che all’esame chimico rivela l’antico contenuto di un veleno vegetale, la cicuta. Poi Felix riappare quattrocento anni più tardi sulle rive del Giordano, Palestina: di nuovo una comunità ridotta, di ambo i sessi, di nuovo una storia di rapida scomparsa al cospetto della marcia inarrestabile di Sapiens, il quale intanto fa tesoro di alcune invenzioni del ‘cugino’ (spesso snaturandole, come in questo caso del Vicino Oriente: il concetto di perdono, creato da Felix ex-novo, Sapiens lo tramuterà strumentalmente in quello di confessione rituale). In effetti, a uno sguardo d’insieme la parabola evolutiva dell’Homo Sapiens durante gli ultimi sei millenni della sua storia si connota anche per l’astuta applicazione su larga scala degli esiti talentuosi di Felix, circoscritti e artigianali; un po’ come se una scolaresca intera avesse copiato l’elaborato dello studente più bravo, parassitandone così il voto eccellente, senza però comprendere davvero il senso di ciò che andava copiando. Ma quali sono, stando alle nostre conoscenze, i tratti distintivi fisiologici e comportamentali dell’Homo Felix? I fossili scavati presentano la varietà propria di ogni altra specie del genere Homo, e inoltre in molti casi risulta davvero ardua un’attribuzione indubbia, a Felix o invece a Sapiens, data l’estrema somiglianza tra i due. Ciononostante, sussistono in Felix alcune chiare ricorrenze tipizzanti: la conformazione cranica atta a supportare un maggiore sviluppo dei lobi prefrontali dell’encefalo, indizio indiscusso di elevata attività nelle funzioni cerebrali superiori (intelligenza sociale, creatività, intelligenza esistenziale); cavità oculari connesse all’apparato di sintesi neuronale in tal modo che si ipotizza per Felix il possesso di una vista capace non soltanto di identificare forme, colori e movimento, ma di indovinare direttamente i significati della realtà esterna; un particolare orientamento delle falangi delle dita delle mani, con un lieve arco all’insù tra la seconda e la terza a suggerire la tendenziale perdita del ruolo prettamente prensile, forse in favore di un uso più simbolizzante dei gesti nel contesto interpersonale; l’importanza della muscolatura lunga, dedotta dalle misure e dallo stato degli arti superiori e inferiori visibilmente idonei a mansioni svincolate da necessità vitali, e vòlte piuttosto ad esercizio, allenamento e diletto; l’assunzione stabile di una dieta mista ed equilibrata, senza cioè gli eccessi e gli sbilanciamenti che si riscontrano all’esame delle dentature sapiens negli scavi più prossimi ai siti felix e pertanto ritenuti omogenei quanto a disponibilità alimentari; e infine l’articolazione mandibolare e la dolcezza della linea mascellare del tutto originali, che suggeriscono un Felix con naturale propensione all’atteggiamento mimico del tenue sorriso. La specie ebbe distribuzione mondiale al pari di Sapiens e, come accadde a quello, la pressione delle condizioni ambientali differenti declinò selettivamente la specificità di Felix in fenotipi volta a volta diversi. Pertanto, analogamente ai Sapiens, avremo Felix bianchi, neri, gialli, aborigeni, pigmei, khoisan e via dicendo, e stanziali o migranti o altro ancora; con una differenza di non poco conto: che sembra affatto ignoto alla mentalità di Felix, a qualsiasi etnia o cultura egli appartenga, quel riflesso razzista che invece distingue Sapiens per tanta della sua storia. Quanti furono i Felix? Si stima una cifra intorno ai dieci milioni di individui, nei quasi seimila anni di sopravvivenza della specie (durata davvero irrisoria), a fronte dei circa cento miliardi di Sapiens dalle origini tardo-plioceniche all’estinzione. Ciò ha molto a che fare con le abitudini sessuali e il grado di (in)successo riproduttivo di Felix; abbiamo già detto dell’inevitabile infertilità dei rari ibridi tra le due specie, ma ora deve essere menzionato un fatto assolutamente capitale: unico tra gli animali conosciuti, l’Homo Felix non rivela affatto la centralità dell’istinto alla trasmissione del corredo genetico una generazione dopo l’altra. Ossia: i Felix sembrano poco interessati a organizzare la propria esistenza come individui e la trama della loro vita collettiva, intorno alla coazione a riprodursi; non mettono su famiglia a tutti i costi, insomma – non sembrano inclini a escogitare ogni espediente, a patire ogni fardello fisico, a elaborare sistemi complessi di coabitazione e coercizione, purché la discendenza sia assicurata. Lo studio attento dei reperti avvalora l’ipotesi che Felix avesse sì consapevolezza del proprio status sessuale (qualunque fosse) e pertanto allacciasse rapporti anche duraturi ad esso connessi, ma piuttosto per il piacere intrinseco della relazione e per il benessere affettivo derivante, che non per dar innesco alla riproduzione e proteggerne i frutti; non che Felix non figliasse affatto (talvolta, come leggiamo su un frammento della fase più tarda, “il pessimismo della ragione cede all’ottimismo della volontà”), ma certamente generava a un tasso di crescita demografica appena al livello della sussistenza di gruppo in periodi normali, e senz’altro ben sotto quella soglia quando le condizioni oggettive mutavano in peggio, come per esempio quando Sapiens inaugurava un’altra stagione in cui alcune tipicità di Felix (mitezza e altruismo) risultavano drammaticamente fuori corso. Ciò sembra essersi verificato a monte di ciascuna delle temporanee estinzioni dell’Homo Felix; e di sicuro prima dell’ultima, nel XXI secolo, allorché la rinuncia ai valori morali e intellettuali con cui Sapiens tentò di far fronte alla gravissima crisi sistemica di quel periodo estremo fu evidentemente insopportabile per i Felix coevi, i quali rinunciarono del tutto a procreare (continuando ad amare, cionondimeno, secondo molte testimonianze documentali). C’è poi un altro dato che potrebbe spiegare un’atipicità tanto clamorosa come la pigrizia a replicarsi. Tra le molte invenzioni di Felix, divenute patrimonio di entrambe le specie ‘gemelle’ (spesso, come abbiamo detto, più o meno deformate da Sapiens), non ne abbiamo ritrovata nessuna che attenesse alla sfera teologica o esoterica; come a dire: alla ideazione e strutturazione delle diversissime mitologie, delle molte fedi rivelate, delle incalcolabili forme di magia e divinazione che l’Umanità (Sapiens e Felix insieme) ha manifestato dall’inizio alla fine, Sapiens deve aver provveduto completamente da sé; Felix è stato ateo e razionale dalla sua prima apparizione ai titoli di coda, e come tale nella rovinosa contingenza degli ultimi giorni non poté appigliarsi a speranze illogiche o ‘divine’ e motivare così un’eventuale slancio di proliferazione apotropaica, all’apparire dei segni nell’apocalisse. Felix perciò si estinse, com’era già accaduto in passato, ma stavolta la Terra non lo vedrà più tornare a correre, sorridere e creare: spirato il XXI sec. d.C., quella misteriosa mutazione ricorrente sul corpo di Sapiens – intervenuta tante volte a risolvergli i guasti della Civiltà – non si ripresentò in tempo utile, e Sapiens altresì ne scontò il prezzo massimo. Infatti il ‘signore del mondo’ (del mondo nei periodi geologici dal Pleistocene a tutto l’Olocene, fino al brevissimo Antropocene in coda al quale i Sapiens dell’ora estrema giustapposero simbolicamente il Megiddocene funereo) non sopravvisse ancora a lungo, unica specie rimasta del genere Homo. A nulla valse la sua fiducia nell’aiuto soprannaturale, peraltro utilizzata follemente come arma fratricida, e il susseguirsi di crisi geopolitiche sempre più gravi, l’inarrestabile corsa verso la penuria idrica, alimentare ed energetica globale, il riscaldamento planetario mutageno del clima, irreparabilmente, l’ingestibilità delle scorie d’ogni natura, dalle plastiche al nucleare, la costituzione di giganti multinazionali dell’illegalità, i focolai di guerra regionale e guerriglia locale, i batteri fuori controllo, fuggiti da laboratori segreti o riesumati dal permafrost evaporato, l’istupidimento generale, l’analfabetismo morale, l’anaffettività di proporzioni pandemiche, lo spinsero rapidamente a fine corsa. Sapiens, come tante volte in passato, non si era ritrovato all’altezza dei problemi da esso stesso creati, però ormai non c’era più Felix a tirar fuori l’idea buona da copiare. Il problema si risolse da sé: nel corso del XXII secolo anche Sapiens si estinse definitivamente. Resta da chiedersi se Felix e Sapiens sapessero o meno l’uno dell’altro in quanto specie distinte e simbionti. Da nessuna delle espressioni culturali sapiens possono evincersi indizi di un sospetto in tal senso; e visto l’andamento del solo parallelo possibile – la preistorica coesistenza di Homo Sapiens e Homo Neanderthalensis, stroncata drammaticamente non certo per volontà del secondo –, il fatto che Sapiens non abbia operato un altro genocidio di specie congenere sostiene comodamente la tesi che di Homo Felix egli non avesse la minima percezione in quanto tale. Semmai – ed è una delle teorie più recenti – Sapiens potrebbe aver rimosso in epoche ancestrali l’ipotesi che quegli individui oggettivamente un po’ diversi in seno alle sue stesse comunità facessero specie a sé, ma ne rimarrebbe impronta intuitiva e vaga nelle leggende popolari, per esempio, sull’esistenza di umani con poteri eccezionali e nelle credenze religiose sugli esseri celesti; insomma: sarebbero gli angeli, i genii, gli spiriti, i santi delle favole sapiens, proprio quei Felix misconosciuti nella realtà. E l’Homo Felix seppe mai di essere la specie ‘gemella’ ma in radicale minoranza nell’Umanità intera? Lo stesso, i reperti tacciono sul punto. Però è difficile credere che un’intelligenza e una sensibilità tanto spiccate non fossero in grado di dedurre dalla semplice osservazione, e dall’introspezione, quella che oggi è per noi verità scientifica. Forse l’hanno sempre saputo. Ma voi – al posto loro – avreste mai detto ai Sapiens, brutali e così tanto più numerosi, “ehi gente, siamo qui, siamo un’altra specie Homo”? No. “Vivi nascosto”, consiglia un frammento felix del III sec. a.C.; “Sta’ attento”, un’iscrizione funeraria del XVII secolo. E probabilmente simili saranno state le loro regole auree per sopravvivere. Tra l’altro non mi stupirebbe troppo un tacito accordo, addirittura, tra tutti i Felix di ogni tempo, con la finalità di attraversare i secoli confondendosi come gocce nel mare dei Sapiens; anzi darebbe conto di qualche episodio documentato ma di ardua lettura con altre chiavi da questa. Abbiamo infatti ritrovato chiare testimonianze secondo le quali individui certamente Felix (atei e razionali, come detto) giungono a esortare i Sapiens alla fede, descrivendogli meccanismi premio-punitivi disposti da presunte realtà metasensibili: “Dentro di voi è il Regno di Dio” (I secolo d.C.), “Lodate e benedite il mio Signore” (XIII sec.), “Se Dio non esistesse occorrerebbe inventarlo” (XVIII sec.), “Dritto all’inferno avrei preferito andarci in inverno” (XX sec.), “Il Padreterno ha finalmente spento lui ma non ancora le sue televisioni” (XXI sec.). Tutto ciò può ben giustificarsi come intenzionale copertura tattica di una piccola comunità pacifica in mezzo a società sempre e comunque violente; “Lasciamo che Sapiens si balocchi” si saranno detti i Felix “con degli idoli fatti d’aria, e lui lascerà in pace noi in carne e ossa”. Questa potrebbe essere stata la parola d’ordine passata di bocca in bocca tra i Felix d’ogni tempo e latitudine; non li preservò dalla fine, ma almeno contribuì a dar loro cinque/seimila anni di crescita e di sapere, d’arte, di soddisfazioni, di carezze e di risate – nonostante, tutta intorno, la zavorra dei Sapiens arraffatutto. Logico, onesto. Uno dei ritrovamenti risalenti a quel momento fatale, allorché Felix rientrò nel silenzio dell’essere indistinto, è anche lo scavo di più recente apertura. Su una delle Sporadi, nell’Egeo occidentale, località Milia, abbiamo una doppia sepoltura quasi in riva al mare: una femmina e un maschio, dall’età stimabile di cento anni, abbracciati come in un sonno di sogni sereni. Lieti della vicinanza per l’eternità di quell’ultimo istante. Oh, una volta tanto l’operazione è riuscita! I soldi, le risorse mediatiche, l’organizzazione territoriale, la struttura gerarchica, il know-how professionale e il tempo dei quadri del Partito Democratico, grazie ai quali fattori il fenomeno Sardine ha avuto la possibilità di nascere, stabilizzarsi, diffondersi e radicarsi (oltre ovviamente al valore aggiunto del fattore umano: Santori e gli altri e le altre – che però da solo non avrebbe impedito la morte in culla dell’impresa, come sempre in trascorsi analoghi), hanno riportato al voto quella porzione di ceto medio riflessivo necessaria e sufficiente, in un contesto elettorale come quello emiliano-romagnolo, a controbilanciare la presa di Lega soprattutto, poi Fratelli d’Italia e in ultimo Forza Italia, sul bacino delle altre due classi: l’affarista e la popolare.
Non era riuscita nel 2009-2010, l’operazione, quando il PD (creatura di un paio d’anni, con la segreteria Bersani nuova di zecca) tentava con la nascita del Popolo Viola di strappare qualche consenso, sempre del ceto medio, al berlusconismo dominante: si votò, è vero, anche allora per le regionali (pure nel Lazio, per esempio), a marzo 2010, però i Viola erano già evaporati senza essersi dati (né accettarla eterodiretta) alcuna spendibile disciplina. Né nel 2013, riuscì, quando lo scenario era cambiato totalmente: Berlusconi dimissionato a novembre 2011, poi governo Monti, poi 2012 pareggio di bilancio in Costituzione, poi elezioni di febbraio 2013, poi dimissioni di Bersani, poi Napolitano bis, poi governo Letta, e Renzi che lancia l’OPA sul partito, e allora il blocco di sinistra moderata (parte del PD, parte della CGIL, intelligencija e società civile cosiddetta) si affida alla Via Maestra (Rodotà, Landini, Ciotti...) per bilanciare la prevedibile svolta a destra della “sinistra” una volta in mano a Renzi. E invece: flop già subito dopo la prima e unica grande manifestazione di ottobre, e “stai sereno Enrico” echeggia a febbraio 2014! E neanche nel 2015-2016, riesce l’operazione, allorquando ormai il renzismo domina e il blocco di cui sopra ci prova adesso con una nuova versione dell’operaismo tradeunionista, cioè spingendo (non visto) la Coalizione Sociale di Landini; la quale però dura lo spazio d’un mattino, e Renzi (e la destra mascherata da centrosinistra che esso incarna) non ne viene scalfito punto. Mi piacerebbe solo poter credere che qualche buon seme di quell’esperienza abbia dato frutti dopo, al referendum del 4 dicembre 2016 in cui il ceto medio riflessivo ha riflettuto veramente e messo il proprio peso sul piatto della bilancia, smontando il tentativo renziano di trasformare il Parlamento a immagine e somiglianza del comitato d’affari del Giglio Magico e interessi forti vari. Ma non ne sono per niente sicuro! (E comunque c’ero, personalmente, e nei Viola e nella Via e nella Coalizione – e mentirei se dicessi di aver già capito allora natura e dinamica delle forze in campo così come me le spiego qui e ora insieme a voi. Spesso è la distanza nel tempo o nello spazio a far vedere meglio le cose come stanno. Infatti: è vero che le Sardine sono molto vicine nel tempo, ma io non ho partecipato attivamente al movimento – tranne affacciarmi a piazza san Giovanni a dicembre scorso, e dire ovunque che contro razzismo e fascismo piuttosto che niente meglio piuttosto –, perciò ne sono abbastanza distante da poter azzeccare un’analisi in diretta, stavolta, forse.) Quindi, dicevamo: stavolta l’operazione pare riuscita. Un elemento nuovo, intelligentemente messo nell’arena politica al momento giusto, un nuovo “prodotto” posto all’attenzione del gentile pubblico pagante (ehi, non c’è niente di male a definirlo così: tutto è “prodotto”! ...e a questo concetto affido il mix realistico tra spontaneità dei singoli e progettazione di massa) ha scosso quella fetta di elettorato altrimenti deluso e inappetente la quale, recandosi alle urne, ha impedito la vittoria della destra orribile (che invece piace tanto a tanti italiani, classe alta e classe bassa – in questo complici) almeno in Emilia-Romagna. Ne sono contento non per Bonaccini (di cui non apprezzo né storia né programma) e neppure per gran parte delle forze che lo sostenevano (anche Renzi, figuriamoci! ...anche Calenda, anche Bonino, anche Nencini, anche Bonelli!) ma perché, per prima cosa, sempre meglio un governatore di regione moderato che uno reazionario, e, secondo e soprattutto, perché la prima sconfitta elettorale di Salvini e Meloni potrà rallentare, almeno, la weimarizzazione in corso della società italiana; la quale, di solito, porta alle conseguenze peggiori immaginabili. Che altro ci dice il voto emiliano-romagnolo? A noi compagni e compagne dice che a sinistra della proposta che ha vinto c’è il nulla. I tre candidati, di Rifondazione Comunista, del partito di Rizzo e di Potere al Popolo – presentatisi separatamente, come vuole tradizione –, anche messi insieme prendono 23.000 voti, e le loro liste 26.000 (3.000 in più per il “voto disgiunto”): il nulla, appunto. Quindi, ormai, l’attrattore principale nel campo opposto alla destra becera, è diventato l’unico attrattore: un PD un po’ meno centrista che in passato, forse addirittura il “postPD” evocato da qualcuno giorni fa. E questo anche per diretta responsabilità di chi, a sinistra-sinistra in Italia, ha sciupato con precisione chirurgica dodici anni di crisi economica che avevano, come solo vantaggio, quello di dar base materiale alla radicalizzazione di un’alternativa al neoliberismo. Abbiamo fatto bancarotta, compagni e compagne! E solo noi qui, visto che altrove gli Unidos Podemos, i Bloco de Esquerda, le Syriza, le Linke, i Front de Gauche / France Insoumise e i “new/new” Labour alla Corbyn, hanno (o almeno hanno avuto, in stagioni più o meno durature) voce in capitolo nella dialettica politica dei rispettivi Paesi; qui no: la classe popolare italiana è stata regalata alla destra. Ma se la desertificazione si allunga per mezza generazione non è più il caso di dar la colpa al destino cinico e baro. Giriamo pagina, chi ha da farlo chieda scusa e sparisca, e gli altri (me compreso) si trovino altro da fare. Che cosa? Intanto: cosa abbiamo? Abbiamo che il Movimento5Stelle è avviato a rapida estinzione (un po’ come L’Uomo Qualunque di Giannini dell’immediato secondo dopoguerra), e chi lo votava con presupposti di destra seguirà gli altri ex-grillini che hanno già sposato la destra vera e propria, mentre chi lo votava con altri presupposti si avvicinerà al PD (via Sardine) se non l’ha già fatto; e soprattutto abbiamo che la sinistra moderata italiana ha finalmente trovato il modo (parecchio grazie alle Sardine, appunto) di piacere all’elettorato quel tanto che è bastato a stoppare l’onda nera apparentemente inarrestabile. Quindi adesso la parte di quel campo (cioè la sinistra moderata un po’ meno moderata e un po’ più di sinistra) cui è riuscita l’impresa, è oggettivamente in vantaggio sul resto, sui moderati centisti tendenti a destra che pure stanno sul carro del vincitore (i Renzi, Calenda, Bonino eccetera) o nel partito addirittura; e se una volta tanto il PD (rectius: la zona del PD meno compromessa col neoliberismo) ha imbroccato una mossa, e se la mossa è una rinfrescata da sinistra del partito e di tutto il campo che guarda al PD come attrattore (“votiamo, facciamo il congresso e ci spostiamo più a sinistra” Zingaretti dixit tre settimane fa, ricordate?), non potrà rimangiarsela autolesionisticamente tanto presto! E anche il fattore umano che tanto ha “funzionato” in questo passaggio (Santori e gli altri e le altre), e questa nuova modalità mediatico-organizzativa che tanta simpatia ha raccolto presso il vasto uditorio nazionale, ebbene sarebbe altresì masochismo puro mandarli in soffitta senza averne tratto altre e benefiche conseguenze! Senza contare la giusta ambizione personale dei fattori umani suddetti, che avranno senz’altro preso gusto al gioco e quindi non accetterebbero rottamazioni subitanee. Quindi: che succede adesso (su scala nazionale intendo, non in Emilia-Romagna)? E noi, compagni e compagne, che facciamo? Be’, succede – se non ho sbagliato analisi di brutto e se non sono pazzi gli attori sulla scena – che all’interno del PD si rafforza la zona un po’ più sociale e un po’ meno confindustriale; e che il partito tutto (volenti o nolenti i bastian contrari) dovrà istituzionalizzare, magari con un congresso vero e proprio e magari cooptando ex-compagni (di strada) come i bersaniani o altri cespugli di sinistra come Fratoianni e i suoi (i quali tutti adesso hanno qualche motivo in meno per mostrarsi distinti e lontani dal partitone del Nazareno), al limite cambiando pure ragione sociale, istituzionalizzare insomma il rinnovamento annunciato verso una labourizzazione (sempre pensando a Corbyn, non certo a Blair), nella migliore delle ipotesi, o una ulivizzazione quantomeno (perché in Italia il ceto medio riflessivo è teneramente nostalgico di quella lontana stagione – mai capito il perché). Il che, anche in un’ottica di sinistra-sinistra, è un bene – sempre pensando a quant'è brutta la destra in Italia qui e ora! Però, ecco – qui non analizzo, qui sto perorando –, non può e non deve trattarsi di un’operazione di mera facciata, lo spostamento a sinistra (anche di poco) del corpaccione del PD così come sembra volere il plus di opinione pubblica che ha inteso dargli credito in questo particolare momento. Voglio dire: dalle privatizzazioni degli Anni ’90 e 2000 al veltronismo che ha cacciato dalla scena politica la sinistra-sinistra, dai tecnocrati dell’austerity alle larghe intese con Berlusconi, dall’Articolo 18 stracciato ai Decreti Minniti-Orlando, da Renzi (senz’altre denotazioni) a De Luca (idem), il PD ha tanti di quegli scheletri negli armadi che manco un horror alla Tim Burton! Allora: è vero che l’operazione di cui all’incipit è riuscita, ed è vero che stante il tracollo 5Stelle crescerà la libertà di manovra del PD nel governo bi-colore (finché duri), ma proprio per questo adesso bisogna essere un pochino conseguenti; sennò la gente per bene che si è recata alle urne, passata l’acquolina per le novità in pescheria (fatemi fare la battuta), non vedendo cambiamenti rispetto al passato riprenderà a distaccarsi da quest’offerta politica e le forze in campo torneranno ad essere sbilanciate in favore della brutta destra che, invece, non perde adesioni (complessivamente) né mezzi di sostentamento (legali e non, nazionali e non). Ma io ci credo? Ebbene, io credo non già all’improvvisa redenzione dei decisori apicali del PD, che folgorati sulla via di Bologna passerebbero da una visione del mondo poco meno che neoliberista a un’altra socialdemocratica e pure ecologista; bensì credo (torno alla lettura ragionevole dei fatti, non sto più esprimendo desideri) che Zingaretti e le forze che lo sostengono, internamente ed esternamente al partito e agli interessi a contorno, abbiano ora una carta in più per mantenersi in sella – obiettivo comune a chiunque faccia politica – e che la giocheranno dando seguito al rinnovamento programmatico implicito nella fase nuova. Certo, cum grano salis: mica mi aspetto miracoli! E due bei granelli sapidi sarebbero (di nuovo: ciò che vorrei), nei rispettivi campi dei diritti umani e civili e di quelli sociali ed economici, un’iniziativa per l’abrogazione immediata dei famigerati Decreti Sicurezza di Salvini e un’altra per l’abrogazione (coi tempi lunghi delle modifiche costituzionali) del diktat anti-WelfareState imposto a suo tempo col pareggio di bilancio in Costituzione. Su questi passi potrebbero muoversi benissimo Santori e Sardine tutte, se volessero continuare a dare un contributo al PD, perché non perda presa sulla gente per bene riavvicinata al voto, e al Paese perché provi a staccarsi dal destino neorazzista-iperliberista (alla Gruppo di Visegrád, per capirci) cui sembrava condannato ancora ieri mattina; e dietro questo traino, cui per specificità generazionale (e simpatia diffusa) sarebbe concessa più spregiudicatezza politica, si accoderebbero anche altre forze interne o esterne al partito (penso anche alla CGIL di Landini) oppure ora esterne ma domani chissà (di nuovo: Articolo 1 e Sinistra Italiana). Morale: se tutto questo è vero, o almeno verosimile, ecco qualcosa da fare pure per noi, compagni e compagne. Cosa? Comprare tanti pop-corn e stare a vedere. Con occhio desto e stato d’animo ben disposto. Ma niente di più; ché dodici anni insegnano: siamo letali, perfino quelli che (come me) non hanno da scusarsi e sparire perché non ci si può certo accusare di perseveranza nell'errore né di induzione all’errore altrui! Però anche noi, quando facciamo politica attiva portiamo una sfiga che lèvati! Quindi: pop-corn, occhi aperti e scheda elettorale pronta all’uso con tanto raziocinio e un po’ di speranza. Anche perché se invece frana tutto, e il Paese riprende con le buone o le cattive (ricordate che l’opinione pubblica in Italia si orienta pure con le bombe, nere o mafiose che siano) la china di estrema destra che oggi come oggi parrebbe in pausa, ebbene la sua pendenza sarà decuplicata. E a noi servirà aver recuperato un po’ di forze per entrare in clandestinità, a quel punto, e solo da lì provare difendere in qualche modo ciò che resta della Repubblica e della Costituzione. [interno giorno
conferenza stampa gremita microfoni videocamere socialstreaming 27 gennaio] Grazie a tutti per essere qui. Vi prego di non interrompere questa mia, che a tutti gli effetti è una confessione, fino all'ultima sillaba, fino all'ultimo atto. Credo proprio che tutte le vostre domande troveranno implicita risposta in questa dichiarazione, per cui vi ho invitato qui come professionisti dell'informazione. Vado al punto. E mi rivolgo direttamente al vasto pubblico. Riguardo ai migranti noi vi stiamo letteralmente rimpinzando di menzogne. E io tra i primi, evidentemente. E' falso quello che vi diciamo riguardo al fatto che il nostro Paese ne avrebbe finora accolti più degli altri. Falso che se anche accogliessimo tutti i migranti che provano ad arrivarci, questo sarebbe insostenibile economicamente o logisticamente: anzi, vi arricchirebbe! Falso che abbiamo preso accordi affinché i luoghi dove quei poveracci si stipano prima dell'ultima traversata, siano luoghi sicuri; è vero il contrario: noi sappiamo perfettamente che sono luoghi infernali; ed è vero che paghiamo chi comanda laggiù affinché i migranti restino perlopiù in quegli inferni, e provino a scapparsene in minima parte e solo quando serve a noi. [brusio] ...Falso che le ONG, coi loro volontari e i loro mezzi, siano fiancheggiatori dei trafficanti di esseri umani o quantomeno favoreggiatori anche involontari delle sofferenze e delle morti dei migranti; è vero il contrario: lo sappiamo benissimo che la loro opera è incredibilmente meritoria, è perciò che le osteggiamo e le calunniamo. E' falso che sarebbe difficile o impossibile creare corridoi umanitari per andare a prenderli là dove nasce il loro viaggio disperato e così salvarli tutti; è vero che non vogliamo farlo: finirebbe il gioco! E' falso che ai migranti che facciamo entrare mettiamo quei soldi in tasca che lasciamo credere alla gente, falso che li alloggiamo comodamente come facciamo sì che venga messo in testa al pubblico, falso che costino alle pubbliche casse come invece lasciamo che qualcuno dichiari che costerebbero. E' falso che gli immigrati tolgano il lavoro alla nostra gente, ovviamente. Falsissimo che portino malattie, ma che scherziamo!? E ovviamente è falso che essi delinquano in quantità e qualità tale come pure viene spacciato dai media, che ovviamente vi raccontano quello che noi gli diciamo di raccontarvi. [brusio] E' vero, piuttosto, che di tanto in tanto succede qualche fatto di cronaca nera commesso da uno straniero, ma se vediamo che per troppo tempo non ne capitano naturalmente allora stranamente la nostra capacità di prevenire il crimine si abbassa, proprio in certe realtà territoriali, ed ecco che ci scappa il reato del migrante. [brusio forte] Scusate, per favore... Perché facciamo questo? Perché tutte queste menzogne sui migranti? Perché, da anni, ogni giorno, da tutti i canali di comunicazione e di informazione di massa? Perché funziona! Perché per governare le masse senza che tu possa, o sappia, o voglia, rendergli la vita migliore, per governarle con un consenso sufficiente nonostante il loro scontento, non c'è che un modo: dargli qualcuno da temere e da odiare, così che non odino te che li governi male e ti rispettino almeno perché li difendi da chi essi tanto temono. Funziona da sempre. Con i cristiani al tempo dell'Impero Romano: erano loro il nemico del popolo. Con gli eretici e le streghe al tempo dei Papi-Imperatori: ecco nemici pronti all'uso. Coi protestanti nell'Europa della Controriforma. Con gli Africani e i loro discendenti negli Stati Uniti d'America. Con gli ebrei nella Russia degli Zar. Con gli Armeni nella Turchia di inizio '900. Con gli ebrei, ma in modo scientifico, in Germania e in tutta l'Europa occupata dai nazifascisti. Con gli indù in Pakistan e coi musulmani in India. Coi VietCong, coi Curdi, coi Ceceni, con gli Uiguri, coi Rohingya, coi Saharawi... Coi 'terroristi' dall'11 Settembre in poi. Con gli zingari, così ci capiamo, un po' sempre e dappertutto. Coi froci, così ci capiamo ancora meglio, un po' sempre e dappertutto. Coi diversi, coi matti, con gli intellettuali, coi forestieri, un po' sempre e dappertutto. Con le donne, certo, spesso e volentieri: nemiche dell'Umanità, intesa come Uominità, per cui serve il patriarcato a tenerle a bada, o minimo il paternalismo e il sessismo da caserma che si è riusciti a far introiettare pure a loro. Ma questa è storia. Un nemico ci serve per governarvi, capite? Anzi, meglio: ci serve affinché voi ci lasciate fare quella cosa che noi e voi si chiama 'governare' ma che invece noi sappiamo essere 'predazione'. [brusio] Specie adesso, cioè da un po', che in questo Paese la grande criminalità organizzata è passata dall'essere talvolta strumento del potere politico o talaltra ricattatrice del medesimo, ad essere potere politico in prima persona. Figurarsi se possiamo governare a vantaggio della gente! [brusio forte] Figurarsi se una classe dirigente come la nostra attuale può permettersi di fare a meno di capri espiatori! Saremmo pazzi, politicamente suicidi. [brusio e commenti] Così, in questa fase storica di crisi ci siamo guardati intorno, e abbiamo afferrato la fortuna che il caso ci offriva su un piatto d'argento: da una parte i disperati del mondo che provano a salvarsi la pelle spostandosi da dove la loro vita non vale un centesimo fino a lidi migliori, come il nostro Paese o simili, dall'altra la gente di qui già rincoglionita abbastanza da ingoiarsi qualunque bugia purché allestita ad arte e ripetuta scientificamente. [brusio forte] Per favore, fatemi finire... Avrete il vostro scoop. Noi facciamo questo, sto dicendo: aumentiamo la dose di inferno in Terra per migliaia di povericristi, ve li facciamo intravedere, e però mai conoscere davvero, e facendoveli temere e odiare a forza di falsità possiamo mantenere il potere, che è ripeto il potere essenzialmente di derubarvi. [brusio] Lo facciamo a mente fredda. Senza rimorsi, nessun rimpianto. Altrimenti ci caccereste a bastonate. E lo sanno tutti che questa è la verità, tutti quelli che tanto o poco bazzicano il potere, e tanto o poco ci guadagnano. Anche moltissimi di quelli che stanno in questa sala adesso, alla conferenza stampa cui assistete o di cui leggerete. [proteste] Zitti, fatemi finire... Non fate le verginelle, e non ve ne pentirete! Lo sanno in migliaia pur solo in questo Paese, che così stanno le cose; ma sono sempre pochi rispetto ai milioni, centinaia di milioni considerando anche il resto del mondo, che nemmeno se lo immaginano, e che si rimpinzano delle menzogne nostre e degli altri sistemi di potere. Le masse sterminate, quelle solo contano! Non importa quanta gente faccia parte del cerchio magico che sa la verità, e campa grazie alla menzogna, tanto rispetto a popoli interi cui essa viene nascosta, e che perciò accettano qualunque sopruso da parte dei rispettivi governi, tutta la gente che conosce l'enorme raggiro è poca cosa: e quindi la catena di comando è sempre al sicuro. Non temiamo spifferate di nessuno. E anche dopo questa mia confessione, che virtualmente raggiungerà la massa appunto, vedrete che non cambierà nulla. Ci sono cento modi, per quelli che fanno il mio stesso mestiere, cioè il mestiere di esercitare il potere che svolgevo fino a cinque minuti fa, cento modi di smentirla, di farmi passare per esaurito, per farla seguire da una anti-dichiarazione, sempre con la mia faccia, di dire che era tutto uno scherzo, che era un lancio pubblicitario, un film... [risatine] Anche se qui ho una piccola contromisura... Allora perché? Perché vi ho convocati qui, perché sto svelando tutto a tutti, ora, così, proprio oggi 27 gennaio il Giorno della Memoria? C'entra la memoria infatti. La mia. Io non riesco più a dimenticare. Non riesco più a dimenticare di aver visto certe immagini, immagini che voi, pubblico, non avete visto, che vi abbiamo nascosto volutamente, che sono molto peggiori di quelle che tramite i professionisti dell'informazione come quelli seduti o in piedi qui davanti a me adesso, abbiamo deciso potessero arrivare ai vostri occhi. Sono peggiori, così come è tutto peggiore di quanto crediate: peggiori noi, peggiore ciò che facciamo, peggiore il vostro destino di popolo in mano a questa nostra banda scellerata. Non ve le mostriamo così come non vi diciamo tutto, anzi quasi nulla: ci sarebbe un'insurrezione per motivi etici, altrimenti, che è la più ingestibile! ...Ma il fatto è che io non ci riesco più, prima sì: a vederle, e a dimenticarle, e a dimenticare di aver firmato una certa decisione iniqua, di aver commesso una certa nefandezza travestita da amministrazione; e dunque riuscivo a vivere normalmente come i miei pari. Poi non so come, da un certo momento in poi, di vederle ho cercato di fare sempre più a meno, e comunque riuscivo a scordarmele per la maggior parte, ma poi... da un po' di tempo... io le vedo e le rivedo nelle mia mente senza soluzione di continuità. [brusio] E non solo quelle fotografie di torturati e morti, ma vedo e rivedo la concatenazione di tutte le mie azioni di potere, dagli inizi, e quella delle azioni dei miei efferati colleghi, quelle che so direttamente, che so per interposta persona, quelle che immagino e deduco, tutto quello che i media, per convenienza del sistema, bollano come dietrologia o deridono come complottismo... Contenere tutto questo, ritenerlo continuamente è insopportabile. [brusio forte, commenti] Scusate, fatemi finire, poche parole ancora... devo sbrigarmi: quelli che erano i miei colleghi nel gioco del potere, saputo già senz'altro cosa sto dicendo, non ci metteranno ancora molto a venire qui e interrompermi in un modo o nell'altro, scusate. Ma, dicevo, io, che nella mia vita adulta non mi ero mai posto la minima questione di coscienza, che avevo scalato le posizioni di comando per puro ed esclusivo vantaggio personale mio e dei pochissimi esseri umani a me cari, che francamente me la ridevo sia del dolore del mondo che di quello individuale, sia delle esternazioni moralistiche di qualche personaggio in vista contro la condotta empia della classe dirigente di cui ho fatto parte, ebbene io sono stato colpito da questo orribile caso: come se dentro di me avessi alzato il sipario sull'orrore, generato da me stesso e dalla mia classe, e non potessi più riabbassarlo, né distogliere lo sguardo. E ci ho provato in tutti i modi: terapie, medicina, droghe, preghiere, sesso estremo, meditazione, sport da rimetterci il collo, microchip di realtà virtuale... ma sono mesi, guardate! Senza nessunissimo risultato: l'orrore, e la coscienza dell'orrore, albergano nel mio corpo come una malattia incurabile. Il tutto, senza dar nulla a vedere fuori, neanche coi colleghi più intimi, perché sapete: se uno di noi mostra di vacillare, di compromettere il lavoro di squadra, quelli non ci mettono niente a terminare te e famiglia ...Quanto li invidio, me la ricordo quella spietatezza! Ho provato a guarire, insomma, ho sperato, ho lottato contro questa cosa che un romanziere forse chiamerebbe 'la riscossa del bene', ma che a me fa solo male immenso, però niente: non posso più staccare un istante dalla sensazione nitidissima del dolore fisico e mentale che a causa mia e nostra migliaia e migliaia e migliaia di persone hanno provato, stanno provando e proveranno. Non ce la faccio più. Sono come una rana morta, il cui corpo continua a scuotersi al passaggio della corrente elettrica. Quindi dopo accurata e segreta preparazione, pochi giorni fa ho spedito i miei cari in un punto del mondo lontanissimo da qui. Vivranno in totale agiatezza grazie agli averi da me conseguiti col potere. Non gli mancherò, certo non sono poi così amabile. Avranno falsa identità per questa e per le prossime due generazioni, e va bene così. [brusio forte] E oggi vi ho chiamati qui per questo, per quest'ultima scarica. [commenti ad alta voce, grida. estrae dalla giacca una pistola. si - bang - si spara un colpo in bocca, che dal palato sfonda cervello e cranio e finisce sul muro alle sue spalle. silenzio. silenzio. accenno di brusio. trambusto da fuori della sala. entrano trafelati alcuni volti noti coi loro guardaspalle] Non c’è solo Schindler’s List, e non c’è solo Se questo è un uomo. Non c’è solo il Jüdisches Museum di Berlino, e non c’è solo la casa di Anna Frank ad Amsterdam. E non ci sono solo tutti gli altri luoghi della memoria ricavati da quegli stessi gironi infernali, e tutti gli altri monumenti a quel dolore inaudito innalzati in tutto il Mondo, e tutti gli altri libri, testimoniali o romanzi, scritti su quel male assoluto, e tutte le altre opere di cinema, teatro, musica, arte, poesia, documentali o fantastiche, concepite perché i secoli a partire dal XX dell’Era Volgare non possano mai dire “non sapevamo”. Non ci sono solo i numeri dell’orrore, incalcolabili eppure calcolati, certificati, innegabili. Non ci sono solo le indagini inequivocabili, le sentenze inappellabili. Non ci sono solo le storie tramandate a voce, dalla bocca di chi vide all’orecchio di chi vuole ascoltare, e dalla bocca di questi ad altro orecchio, e ancora e ancora e ancora, indimenticabilmente.
Non c’è solo tutto questo, che pesa come il Mondo sulle spalle. Oltre le pagine, le pellicole, le pietre, c’è che erano della mia stessa carne. Ricordate il monologo di Shylock, Shakespeare, Il mercante di Venezia, atto terzo, scena prima… E qual è il motivo? Sono un ebreo. Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? Che fossero ebrei o zingari o disabili nel corpo o nella mente o omosessuali o dissidenti religiosi o oppositori politici o prigionieri di guerra… Stessa aria nei loro e nei miei polmoni, le mie stesse labbra quando le mossero per l’ultimo sorriso, stesso sale nelle lacrime, il mio e il loro, stessi sogni bambini stessi ricordi di vecchi, stessa identica capacità di amare, di sperare per amore, per amore soffrire, stesse paure, stessi abbracci, la stessa incapacità di comprendere l’incomprensibile, le corde vocali, le stesse, da lacerare in un urlo che non si estingue mai. Solo che loro li hanno fatti urlare fino a che la gola gli è scoppiata e gli occhi gli sono esplosi, mostrandogli i loro figli contorcersi tra le fiamme prima di bruciarli essi stessi. E io, cui arriva solo un’eco trascritta, infinitesima, già muoio un pezzo. Tanta è la potenza di quel buco nero, indicibile. E un'altra cosa. Che mi prostra l'anima. Millecinquecento anni di cristianesimo tedesco, mille anni di architettura tedesca, di mercantilismo e municipalismo tedesco, cinquecento anni di protestantesimo, di sistema bancario, di professioni liberali, cinquecento anni di pittura tedesca, trecento anni di musica, trecento di filosofia, duecento anni di letteratura tedesca, di organizzazione statale, militare, cento anni di scienza, di industria, di politica, di sindacato, di crescita economica, di emancipazione sociale, tutti questi secoli di solida distanza tra la cultura tedesca e la barbarie non hanno minimamente impedito che Auschwitz, Treblinka, Bełżec, Sobibór, Chełmno, Majdanek, fossero. Che siano stati, essi soli, quei sei campi principali, in un solo triennio, fauci alacri dello sterminio di tre milioni di esseri umani. Più altrettanti sterminati in Germania, in Austria, in Polonia, in Ungheria, Romania, Croazia, in Italia, nella Francia occupata, nella Grecia occupata, in Boemia, Ucraina, nei Paesi Baltici, ovunque sia arrivata la peste nazista e si sia insediata, perdurante la guerra più distruttiva di sempre (cinquantacinque milioni di uccisi complessivamente) da essa peste voluta e innescata. Tutti ingoiati dalla morte attraverso le pratiche più atroci. Perpetrate da altri esseri umani, volontariamente. I volenterosi carnefici di Hitler non è solo un titolo agghiacciante e polemico. Non erano alieni quelli che a milioni approvavano, quelli che a decine di migliaia eseguivano, quelli che a centinaia prendevano decisioni mostruose e ne ordinavano l'esecuzione contando sull'approvazione della maggioranza: erano esseri umani. Perfino Hitler fu un essere umano, un Homo Sapiens. Come lo sono io e voi siete. È questo che hanno svelato il nazismo, la Shoah e l'entusiasmo delle masse (tedesche e non) per crimini abietti commessi nel nome del razzismo, del nazionalismo, del bellicismo, dell'imperialismo, del conformismo, della grettezza, dell’egoismo, in pieno XX Secolo acme della modernità, e al centro dell'Europa continente civilizzatore per definizione: che la Civiltà è ancora soltanto una patina superficiale stesa sul macigno della ferocia, il quale è sempre pronto a muoversi e a rotolare schiacciando ogni progresso umano, specie morale, a fatica conquistato dai migliori tra noi e reso pane condiviso grazie a una splendida, costante, critica, fragile impresa collettiva. Il mio corpo soffre per quei dolori strazianti e inconcepibili, la mia mente geme per questa assunzione di responsabilità. Ecco cosa voglio dire oggi. Ricordare domani, nel 75° anniversario dell’entrata ad Auschwitz dell’Armata Rossa. E ricordarlo sempre. Domani, domenica 26, le regionali in Emilia-Romagna (e in Calabria).
Io non sono di lì e quindi non voterò, ma se lo fossi andrei senz’altro a votare. Chi? Poi lo dico. Dalla lista dei candidati presidenti di Regione (Emilia-Romagna) evinco ancora una volta la dispersione delle forze di sinistra (ci arrivo dopo) ma registro pure, ancora una volta, l’insoddisfazione mia personale nei confronti della candidatura principale nel campo della sinistra appunto. Soprattutto, quest’ultima, che è Bonaccini, a causa delle forze che lo sostengono. Infatti è candidato dal PD zingarettiano (che già... lasciamo perdere), da Articolo 1 bersaniano (leggermente meglio), da Sinistra Italiana di Fratoianni ed epigoni (ancora un pochino meglio), da èViva di Laforgia (bah), da Europa Verde di Bonelli+Civati, diciamo (buh), da piùEuropa per Bonaccini di Bonino+Nencini (bleah), da una convergenza tra Italia Viva di Renzi (oddio), Azione di Calenda (madonna) e Italia in Comune (che mi piacevano, ai tempi, ma guarda ora con chi stanno), e da Volt che è una struttura di scala europea ispirata all’ecologismo e alla socialdemocrazia (gli unici del mazzo che salverei). E la dispersione che dicevo eccola qua. A sinistra di Bonaccini si presentano infatti ben tre candidati: Collot per Potere al Popolo, Bergamini per il PC di Rizzo, e Lugli per Rifondazione + P.C.I. + L’Altra Emilia-Romagna + Partito del Sud. Tre candidati che insieme prenderanno si è no il 3%. Poi c’è il grillino Benini (per carità). E poi c’è la terribile Borgonzoni per Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Cambiamo (di Toti) e Il Popolo della Famiglia (di Adinolfi): l’orrore puro. E quindi? Quindi io, se fossi emiliano-romagnolo, andrei a votare e voterei per Bonaccini. Sì perché la legge elettorale regionale dell’Emilia-Romagna è a turno unico con elezione diretta del presidente a maggioranza relativa, con premio di maggioranza alle liste del più votato tale che esse avranno in ogni caso almeno 27 seggi su 50 in Consiglio regionale. Il che vuol dire che se Borgonzoni prende anche un solo voto in più di Bonaccini, la sua cordata di destraccia si prende la maggioranza assoluta dei consiglieri regionali! Ed è vero che le forze che sostengono Bonaccini non mi piacciono, ed è vero che le tre proposte alla sua sinistra non assommeranno più di qualche punto percentuale, però con questa legge elettorale a turno unico e premio di maggioranza pure un solo voto che vada al candidato di Rifondazione ecc. o di Potere al Popolo o del PC di Rizzo potrebbe essere quello che manca a Bonaccini per non essere battuto da Borgonzoni e le forze nere che la sostengono! Così, mentre in Calabria i giochi sono fatti, purtroppo (capirai: la Lega ha già preso perfino la Riace di Mimmo Lucano!), e la destra vincerà facile (perciò se stessi in Calabria, o non andrei a votare o voterei per un bel candidato di estrema sinistra, se esiste, col solito istinto di testimonianza inutile), invece in Emilia-Romagna la partita si svolge sul filo di poche schede. E perciò farei come ho detto: Bonaccini puramente come anti-destra, e nonostante chi gli sta dietro! Volevo dir questo, tutto qui. Prendetelo per quel che è, tanto il problema della sinistra che manca in questo Paese, e che invece servirebbe come il pane, non lo risolviamo né a questo appuntamento né con le Sardine (nonostante tutto) né coi testimonial né boh. L'ennesimo voto "contro", darei, dunque. A quelli "per", ci penseremo mi sa un'altra vita. Ma contro una destra così mi pare l’unica cosa da fare qui e ora. “Io non dico le bugie! E dico sempre ciò che penso!”
Concesso. Tutte e dieci le parole che adoperi quando rendiconti un accaduto aderiscono al fatto di cui parli. E voglio anche credere che tutte e dieci quelle che usi quando espliciti un pensiero lo rendano per quel che è. Ma questa è l’idea di verità che può avere un bambino interrogato da papà o mamma, o quella di una vecchia o un sempliciotto nel confessionale. Che non sa ancora, il bimbo, o ha dimenticato, la vecchina, o non saprà mai, il ruspante, che tra ognuna di quelle parole e la seguente o precedente ne esisterebbero tante quanti sono gli altri aspetti di quel fatto o quel pensiero, veri altrettanto; che a non menzionarli non si dice bugia, d’accordo, ma neppure si testimonia la realtà! Né sanno o immaginano – l’infante, l’anziana, il semplice – che prima e dopo e intorno a quel fatto o quel pensiero, esiste un contesto, ci sono catene di altri accaduti, alberi di comportamenti, interpretazioni, intenzioni, solo al cui interno il fatto e il pensiero acquistano senso e sostanza, e sono quindi suscettibili di resoconti veridici o meno e, più importante ancora, si offrono alla comprensione reale da parte di chi ascolta le tue parole (e tua stessa, magari – che non guasta). La verità del verbalino sulla scrivania del brigadiere, può forse rassicurare da noie ulteriori il malcapitato chiamato a deporla. Ma non serve ad altro; neppure al brigadiere, che infatti la passa all’inquirente il quale chiamerà ancora il testimone e gli chiederà ben altro conto dello stato delle cose e dell'animo suo! E allora non basteranno le parole: conta che fai, chi sei. “Io non dico le bugie! E dico sempre ciò che penso!” Già, ma come pensi? E poi: se una bugia la fai? O, addirittura: se la sei? Ossia: se non fai ciò che la tua responsabilità di adulto o adulta abile alla società (né bambino né vecchietta né zuccone, dunque) richiederebbe naturalmente; o seppure fai ciò che dovresti, però lo fai sciattamente, senza attenzione, senza cura, senza convinzione, comprensione, memoria, speranza, amore; o peggio se fai tutt’altro, se fai male poiché pensi male, e autogiustificandoti in un modo qualsiasi, per esempio ammettendo con violento candore ciò che pensi (di nuovo: puerilmente come un discolo a scuola, o come un reduce da chissà che guerra – non sapendo o fingendo di ignorare che la stessa guerra incombe su ciascuno). In tali casi puoi anche dire tutta la verità che vuoi, ma la verità non la stai facendo: al contrario, così le bugie le poni direttamente in essere nella misura in cui vieni meno alla fiducia di chi ti sta intorno, vicino o lontano, e si aspetta il giusto da te in quanto adulto normodotato nelle relazioni, in un progetto, in una rete di impegni, in una sfera di affetti. Vieni meno, nei fatti, a te stesso, a te stessa: al buon progetto di te che avevi formulato e col quale ti eri accreditato al mondo. E se un simile modo di farle, le bugie, diventa il tuo abito esistenziale, allora proprio tu sei una menzogna! Diventi e sei un’unica grande falsificazione rispetto al tuo stesso essere, qualunque esso sia, qualunque ruolo ricopra nella vita concreta e reale (quella in cui le parole contano fino a un certo punto – a meno che tu sia capace con le parole di orientare i comportamenti della collettività; ma saremmo così nel campo di eccellenze, nel bene, o di virulenze, nel male, che non ci riguardano). Falso o falsa intrinsecamente, divieni e resti, rispetto al vero dell'uomo e della donna; al nostro retaggio migliore. “Io non dico le bugie! E dico sempre ciò che penso!” E credono così di aver assolto a tutti gli obblighi (gioiosi, se ne afferri il senso; perfino salvifici) della nostra complessa, rotonda, più ricca umanità. Dev’esserci un girone apposta, all’inferno, per chi commette peccati contro la realtà della vita come quelli che ho provato a descrivere. Dante, in tutta la sua eccellenza, non ce ne ha parlato. Ma forse è perché non stanno all’inferno, quei poveretti e quelle poverette (badate: la pietà non esime dal considerare il loro essere un pericolo per quelli cui tocca averli a tiro e, soprattutto, per chi è costretto per una ragione o l’altra a farci affidamento; anzi: io se obbligato, tra una vittima così di sé stessa e la sua stessa vittima, so benissimo chi scegliere per proteggere – sempre che ne sia in grado). A fatica immagino un modo peggiore di questo, di sprecare l'esistenza. La loro pena è qui e ora: il buio negli occhi, il silenzio nel cuore – pur con tutte le dieci parole dette e proclamate in osservanza stentorea della loro misera verità. a Emanuele Severino Postulato assoluto: l'Essere è uno.
Tre quarti di postulato e un quarto di acquisizione sperimentale: l'Essere è fatto di due Universi, quello Fisico e quello Psichico; quello Fisico è tutto quello che esiste a prescindere da me, che esisterebbe anche se non fossi nato (ammesso che io sia nato, come credo proprio), che esisterà anche dopo la mia morte (ammesso che morirò, come temo e spero insieme) e che esisteva prima che nascessi (ammesso che qualcosa come il prima e il dopo abbia senso): io lo chiamerei Verità; e quello Psichico è tutto ciò che io chiamerei Realtà, materiale e non, compresi i Principi Logici, i Teoremi Matematici, le Leggi Scientifiche e i Sistemi Filosofici, e compresi i Ricordi, i Progetti, i Sogni e le Paure. Chiamo questo Universo Psichico ovvero Realtà perché è tutto ciò che io vado sapendo della Realtà cosiddetta e lo vado sapendo dentro di me per definizione, non fuori, anche se comprende tra l'altro le Stelle, gli Atomi, Te che leggi e l'Amore tra due o più senzienti; e dell'altro Universo, Fisico (ossia la Verità), posso solo supporre che somigli moltissimo all'Universo Psichico, anzi più che supporlo neutralmente me lo auguro con tutto me stesso, primo perché altrimenti mi sentirei pazzo come chi disallinea irriducibilmente Verità e Realtà, e secondo perché solo ciò consente la relazione (vedremo dopo). Ciò detto, lasciamo l'Universo Fisico alla sua autosufficienza mio malgrado e concentriamoci su quello Psichico, che chiamerò semplicemente Universo. Acquisizione sperimentale, e da qui in poi saranno tutte così: l'Universo è fatto di due Mondi, quello dei Biota e quello degli Abiota; quello dei Biota è il Mondo vivente, che si riproduce, quello degli Abiota è l'altro, quello dei Minerali, dei Gas, dei Raggi di Luce, dei Campi di Forza. Lasciamo per un po’ i Biota da una parte, e approfondiamo intanto gli Abiota. L’Universo (osservabile da noi, con gli strumenti attuali, e deducibile con le attuali conoscenze) è una sfera di 45 Ga-l di raggio. (nota 1: a-l = anno-luce, pari a 10Tkm; nota 2: T = tera, mille miliardi di ..., G = giga, un miliardo di ..., M = mega, un milione di ...) Nell’Universo: - il 70% è Energia Oscura (pura forza repulsiva) - il 25% è Materia Oscura (pura forza gravitazionale) - il 5% è Materia/Energia ordinaria La Materia/Energia ordinaria è organizzata in 300G di galassie, distribuita in nove Grandi Strutture: - Grande muraglia di Ercole (la più grande: 10x7x1 Ga-l) - Grande Muraglia CfA2 - Giant GRB Ring - Huge-LQG - U1.11 - NQ2-NQ4 GRB overdensity - Clowes-Campusano LQG - Sloan Great Wall - Filamento dei Pesci-Balena Il Filamento dei Pesci-Balena (1 Ga-l x 150 Ma-l) è l'insieme di iperammassi e catene o regioni di galassie che include: - Iperammasso dei Pesci-Balena - Catena Perseo-Pegaso - Catena Pegaso-Pesci - Regione dello Scultore - Iperammasso Laniakea L’Iperammasso Laniakea (dall'hawaiano: Lani e Akea, Cieli Immisurabili) è un insieme di superammassi e muri di galassie che include: - Superammasso dell'Idra-Centauro - Superammasso Pavo-Indo - Muro della Fornace - Superammasso Locale Il Superammasso Locale contiene circa cento tra gruppi e ammassi di galassie (il più grande è l'Ammasso della Vergine), tra i quali il Gruppo Locale (sito al bordo del superammasso, e che si muove lentamente verso il suo centro) Il Gruppo Locale include: - Sottogruppo di M31 (con Andromeda) - Sottogruppo di M33 (con galassia del Triangolo) - Sottogruppo di NGC 3109 - altre galassie libere e/o di confine - Sottogruppo della Via Lattea Il Sottogruppo della Via Lattea contiene circa venti tra galassie nane e nubi stellari (tra cui la Grande e la Piccola Nube di Magellano) e una sola galassia ordinaria: la Via Lattea. La Via Lattea, a spirale barrata (diametro 100.000 a-l, spessore al centro 1.000 a-l) contiene 300G di stelle (e relativi sistemi) distribuite come segue: - Centro Galattico - quattro bracci principali: - Braccio di Perseo - Braccio Regolo-Cigno - Braccio Scudo-Croce - Braccio Carena-Sagittario - due bracci secondari: - Braccio del Centauro - Braccio di Orione Il Braccio di Orione, che contiene la quasi totalità delle stelle e degli oggetti non stellari (come le nebulose) visibili a occhio nudo dalla Terra, è così articolato: - Regione del Cigno - Regioni di Cefeo - Regione di Orione - Unicorno e Cane Maggiore - Ramo delle Vele - Ramo Esterno - Regione Locale La Regione Locale consta di tre parti: - il Bordo Interno - la Nube di Perseo - la Fascia Centrale La Fascia Centrale si distingue in due zone: - la Nube del Toro - la Cintura di Gould Nella Cintura di Gould (un anello di 3.000 a-l di diametro) si trovano molte stelle note all’Umanità da tanto tempo, tra le altre: - Aldebaran - Betelgeuse - Rigel - Antares - la Polare - le stelle del Mezzo Interstellare Locale Nel Mezzo Interstellare Locale (di 300 a-l di diametro) si trovano altre stelle note, tra cui: - Castore - Polluce - Mizar - Arturo - Vega - le stelle della Bolla Locale Nella Bolla Locale (di 30 a-l di diametro), tra le altre: - Altair, a 17 a-l dal Sole - Procione, a 11 a-l dal Sole - Sirio, a 9 a-l dal Sole - il sistema Alfa Centauri (composto da Alfa Centauri A e Alfa Centauri B, a 4.4 a-l dal Sole, e da Proxima Centauri, a 4.2 a-l – la stella più vicina alla Terra, Sole escluso) - il Sistema Solare Il Sistema Solare è una sfera di 1 a-l di diametro posta a 30.000 a-l dal centro della Via Lattea, ed è così strutturato a partire dall’esterno verso l’interno: - la Nube di Oort, da cui provengono le comete di lungo periodo, come Hale-Bopp, e (forse) vi si trovano Sedna, un piccolo planetoide roccioso, e Tyche, pianeta gigante gassoso - Il Disco Diffuso, da cui vengono le comete di periodo più breve, come Halley, e vi si trova il planetoide Eris - la Fascia di Kuiper, dove si trovano molti asteroidi e qualche planetoide, come Haumea, Makemake e Plutone (col suo satellite maggiore Caronte e altre quattro lune), e più piccoli come Quaoar, Varuna e Orcus - i Centauri, zona con detriti e asteroidi o planetoidi come Chirone e Cariclo - la Zona dei Pianeti Gioviani (giganti gassosi più o meno densi): - Nettuno (con Tritone e altri dodici satelliti) a 4.5Gkm dal Sole - Urano (con Titania, Oberon, Umbriel, Ariel, Miranda e altri ventidue satelliti) a 3Gkm dal Sole - Saturno (con Titano, Encelado e altri sessanta satelliti, oltre al celebre sistema di anelli) a 1.5Gkm dal Sole - Giove (con Ganimede, Callisto, Io, Europa e altri settantacinque satelliti) a 800Mkm dal Sole - la Fascia degli Asteroidi, dove si trovano tra gli altri Cerere, Vesta, Igea e si formano i meteoriti (le "stelle cadenti") quando l’orbita della Terra la attraversa - la Zona dei Pianeti Terrestri (più piccoli e rocciosi): - Marte, 3.400km di raggio, con i satelliti Fobos e Deimos, a 230Mkm dal Sole - Terra, 6.400km di raggio, col solo satellite Luna, a 150Mkm dal Sole - Venere, 6.100km di raggio, nessun satellite, a 100Mkm dal Sole - Mercurio, 2.400km di raggio, nessun satellite, a 58Mkm dal Sole - il Sole, 700.000km di raggio, stella di categoria nana gialla, a 5.500°C in superficie e 15M°C al centro, con 5G di anni di vita finora e probabili altrettanti da vivere Ora che siamo arrivati sulla Terra, terzo pianeta del Sistema Solare a partire dal Sole e unico (al momento) sul quale è dimostrata l’esistenza della Vita (attuale, non solo fossile), riprendiamo l’esame a partire dai Biota. Il Mondo dei Biota è fatto di due Alberi, quello dei Ribosa e quello degli Aribosa; quello dei Ribosa è l'Albero dei viventi che si riproducono utilizzando un acido ribonucleico, l'altro quello di chi ne fa a meno come i Prioni. Lasciamolo da parte. L'Albero dei Ribosa è fatto di due Imperi, quello dei Cytota e quello degli Acytota; quello dei Cytota è l'Albero dei Ribosa che hanno inventato le cellule, l'altro quello di chi le parassita come i Virus. Lasciamoli da parte, e parliamo dei Cytota della Terra che sono gli unici che al momento conosciamo (Acytota e Aribosa non terrestri, almeno fossili, sono stati riscontrati su comete, asteroidi e altri pianeti solari e loro satelliti). L'Impero dei Cytota è fatto di due Domìni, quello degli Eukaryota e quello dei Prokaryota; quello degli Eukaryota è il Dominio dei Cytota nelle cui cellule il materiale ribonucleico è in un nucleo ben definito, l'altro quello con cellule dagli acidi presenti in forma diffusa come i Batteri e gli Archaea. Lasciamoli da parte. Il Dominio degli Eukaryota è fatto di cinque Regni: gli Animali, le Piante, i Funghi, i Cromisti e i Protisti. Per ora parliamo solo di Animali, cioè degli Eukaryota con differenziamento cellulare, eterotrofi, e mobili durante almeno uno stadio della loro vita. Il Regno Animale è fatto di trentacinque Tipi, uno è quello dei Cordati. Parliamo di quello, cioè degli Animali con una struttura di sostegno interna (o notocorda). Il Tipo dei Cordati è fatto di diciassette Classi, una è quella dei Mammiferi. Parliamo di quella, cioè dei Cordati che allattano la prole. La Classe dei Mammiferi è fatta di quaranta Ordini, uno è quello dei Primati. Parliamo di quello, cioè dei Mammiferi che hanno: cinque dita su ogni zampa, con pollice opponibile e corte unghie per una presa salda su rami e cibo; dentatura non specializzata, caratteristica di dieta onnivora (prevalentemente vegetariana); e visione variamente colorata e binoculare, cioè con gli occhi rivolti in avanti. L'Ordine dei Primati è fatto di tredici Famiglie, una è quella degli Ominidi. Parliamo di quella, cioè della Famiglia di Primati composta come segue. La Famiglia degli Ominidi è fatta (agli studi attuali) di quattordici Generi, dieci estinti (Ankarapithecus, Gigantopithecus, Sivapithecus, Ardipithecus, Australopithecus, Paranthropus, Praeanthropus, Sahelanthropus, Kenyanthropus, Orrorin) e quattro viventi: i Generi Pongo, Gorilla, Pan e il Genere Homo. Parliamo di quello, cioè del Genere di Ominidi composto come segue. Il Genere Homo conta oggi una sola Specie, Sapiens (gli Esseri Umani), estinte che sono altre quattordici (agli studi attuali): Antecessor, Cepranensis, Denisova, Erectus, Ergaster, Floresiensis, Gautengensis, Georgicus, Habilis, Heidelbergensis, Naledi, Neanderthalensis, Rhodesiensis, Rudolfensis. Lasciamole da parte e parliamo di Sapiens, caratterizzati come segue. Tutti gli Esseri Umani manifestano cose come Ricordi, Progetti, Sogni, Paure, Amore e Dolore, e hanno attitudine per cose come i Principi Logici, i Teoremi Matematici, le Leggi Scientifiche, i Sistemi Filosofici, le Creazioni Artistiche e le Credenze Spirituali; non sono gli unici Animali a manifestare alcune di quelle cose e ad avere attitudine per alcune di quelle altre cose: sappiamo di innumerevoli altre Specie, di moltissimi altri Generi, di tanti altri Ordini, di non poche altre Classi e perfino di interi altri Tipi del Regno Animali che provano Dolore e Paura, che hanno Desideri e Ricordi, Sogni e Affetti, e che dimostrano Capacità Simboliche e Logiche; la differenza, da quel che se ne sa ad oggi, è soltanto che gli Esseri Umani sarebbero l’unica Specie i cui Individui indistintamente possiedono tutte queste doti contemporaneamente, almeno in potenza. (Ora, poiché le caratteristiche del mio Universo Psichico – vedi sopra – sono evidentemente funzione del modo in cui da Essere Umano vado sapendo della Realtà cosiddetta, quando dichiaro che dell’altro Universo di cui è fatto l’Essere, l’Universo Fisico o Verità, posso solo supporre, anzi augurarmi, che somigli moltissimo all'Universo Psichico, intendo dire che se è così – se cioè nella Verità esistiamo io e altri Umani fatti più o meno come io ci vedo fatti nella Realtà – allora è intanto possibile instaurare un dialogo tra Sapiens in quanto tutti condividiamo quel dato modo di andar sapendo la Realtà cosiddetta, e perciò, prima cosa, si tratterebbe di relazioni intersoggettive e non di proiezioni solipsistiche, e, seconda, l’Universo di ciascuno è sufficientemente somigliante a quello di ogni altro così da potersi comprendere quando ci si relaziona. Però ogni altra Specie degli Animali i cui Individui, come si sa, provano Dolore e Paura, che hanno Desideri e Ricordi, Sogni e Affetti, e che dimostrano Capacità Simboliche e Logiche, condividerà tra i propri membri altrettanti Universi intersomiglianti; e poiché non esiste alcun criterio per stabilire quale di queste Realtà di Specie, compresa la nostra, sia la più somigliante alla Verità, il massimo che posso fare – ma è una scelta etica personale – è rispettarle tutte il più possibile.) Acquisizione sperimentale, di quel rango particolare che è l’esperienza storica: noi, i Sapiens, siamo un tutt'uno dal punto di vista del concetto improprissimo di razza, ma siamo di fatto divisi. Non già dalle linee di confine delle Nazioni cosiddette, e neppure dalle differenze tra le Lingue con cui ci esprimiamo, bensì essenzialmente riguardo a due cose: la facoltà concreta di perseguire il nostro vantaggio individuale, e l’attitudine a farsi carico del vantaggio comune. La facoltà di perseguire il proprio vantaggio individuale è per ogni Essere Umano funzione di due cose: saperlo riconoscere in quanto tale, e poterlo di fatto conseguire; e anche l’attitudine a farsi carico del vantaggio comune è per ogni Essere Umano funzione di due cose: di nuovo, saperlo riconoscere in quanto tale, e volere che sia di fatto conseguito dalla pluralità di riferimento (i consanguinei, i conoscenti, i prossimi territoriali, i prossimi simbolici, tutti i Sapiens, tutti gli Animali, l’intero Mondo dei Biota). Quindi le divisioni più profonde entro l’unità intrinseca dei Sapiens di ogni Nazione o Lingua sono essenzialmente causate da: il sapere o non saper riconoscere il proprio vantaggio individuale e/o il vantaggio comune, il potere o non poter di fatto conseguire il proprio vantaggio individuale, e il volere o non voler che sia di fatto conseguito il vantaggio comune a una pluralità più o meno ampia. Sapere, o non sapere. Potere, o non potere. Volere, o non volere. Più ampia, meno ampia. E cos’è che causa per ogni Essere Umano il posizionarsi dall’una o dall’altra parte della virgola in ciascuna delle quattro alternative di cui sopra? Esaustivamente la Lotta di Massa – dall’alto verso il basso, ossia la conservazione con ogni mezzo della supremazia di pochi Sapiens brutali su molti Sapiens abbrutiti, e dal basso verso l’alto, ossia il Diritto e la Giustizia, la Cultura e la Libertà, la Democrazia e l’Eguaglianza, la Rivoluzione quando occorre. Così siamo arrivati in fondo. Il Genere Homo conta oggi una sola Specie, l’Homo Sapiens. E la Specie Sapiens (l’Umanità) è fatta di due Masse: la Massa di chi ha qualcosa e ne fa qualcosa, e la Massa di chi non ha abbastanza per farne alcunché. Non le ho denominate, ora che ci penso. Probabilmente i loro nomi rispettivi hanno la sostanza del Tempo, dal Passato al Futuro. Staremo a vedere, a fare. Le prossime esperienze storiche, le prossime acquisizioni sperimentali, saranno l’archivio di senzienti a venire. L’Essere, uno, per definizione di trascendenza non si può dire se ne sia toccato tanto o poco. Postulerei di no, affatto. Quindi, riassumendo tutto: io, Paolo, sono uno dei circa 7.5G di individui ora presenti nella Specie Homo Sapiens (Genere Homo, [Tribù Ominini], Famiglia Ominidi, [Parvordine Catarrine], Ordine Primati, [Infraclasse Euterii], Classe Mammiferi, [Sottotipo Vertebrati], Tipo Cordati, [Sottoregno Eumetazoi], Regno Animale, Dominio Eukaryota, Impero Cytota, Albero Ribosa, Mondo Biota), che è una delle circa 10M di Specie oggi viventi sul pianeta Terra, che è uno dei corpi in rivoluzione gravitazionale intorno alla stella Sole che con tale varietà di oggetti intorno forma il Sistema Solare, che insieme ad altre stelle (le Alfa Centauri, Sirio...), con relativi sistemi, forma la Bolla Locale, che insieme ad altre stelle (Mizar, Vega, Arturo...) e sistemi forma il Mezzo Interstellare Locale, che insieme ad altre stelle (Aldebaran, Betelgeuse, Antares...) forma la Cintura di Gould, una delle due zone della Fascia Centrale, che con altre due parti forma la Regione Locale, che insieme ad altre sei tra regioni e rami forma il Braccio di Orione, che è uno dei due bracci secondari che con i quattro principali e il centro galattico, forma la galassia Via Lattea, che insieme a circa venti tra galassie nane e nubi stellari forma il Sottogruppo della Via Lattea, che insieme ad altri tre sottogruppi, oltre a varie galassie libere e/o di confine, forma il Gruppo Locale, che insieme a circa altri cento tra gruppi e ammassi di galassie forma il Superammasso Locale, che insieme ad altri tre superammassi o muri forma l’Iperammasso Laniakea, che insieme ad altri quattro tra iperammassi, catene o regioni forma il Filamento dei Pesci-Balena, che insieme ad altre otto Grandi Strutture costituisce l’organizzazione di tutta la Materia/Energia ordinaria, la quale rappresenta il 5% (il 95% essendo Materia Oscura o Energia Oscura) di tutto l’Universo osservabile o deducibile allo stato attuale delle conoscenze della specie Homo Sapiens; conoscenze alle quali io, Paolo, ho attinto per scrivere questo riassunto schematico del senso delle proporzioni che mi tocca avere stando così le cose. ...Sempre che esistano, le cose (me compreso) – le quali nell'uno Universo (Psichico, ossia la Realtà) sono tanto autoevidenti e/o esperibili storicamente e/o dimostrabili sperimentalmente e/o deducibili logicamente –, anche nell'altro Universo (Fisico: la Verità) e che somiglino abbastanza a tutto quanto ho detto fino ad ora. E sennò resta sempre e comunque valido ciò che segue: un Essere è. (Anche se non le riempi, così, le biblioteche.) a Volfango Rupolo nato in aprile, e in aprile morto giovane come Raffaello, e come Il Gricio micio adorato a Volfango che lesse la prima stesura del 2009 e ne trasse una serie di quadri bellissimi di uomini e di alberi, che mi onora sempre a Rupolo, il mio compagno di liceo Fate da voi l’esperimento; io l'ho fatto, e ci sono rimasto di sale. Ho esaminato le foto di due classi elementari di Roma, primi Anni '70, due classi diverse: una era la mia, l'altra no. E il fatto è che a guardarle rapidamente ho avuto difficoltà a capire quale fosse la mia classe e quale l'altra! Eppure quella foto – quella "giusta" – l'avrò guardata centinaia di volte lungo quasi cinquant'anni: sapevo a memoria la disposizione dei bambini, me compreso, ricordavo le facce, il taglio dei capelli, quel poco di indumenti visibili da sotto i grembiuli... Mi sembrava addirittura di ricordare – ma sicuramente è una ricostruzione posteriore della fantasia, non memoria pura – cosa stessimo dicendo prima e dopo quello scatto del fotografo nell'atrio della scuola. Quell'immagine, insomma, fa parte di me: della mia identità profonda. Tuttavia, su un social o su una chat qualunque, un bel giorno mi passa davanti agli occhi in successione con quell'altra e io non so decidermi su quale sia davvero la mia classe se non dopo attento esame: quasi non mi ritrovo più neanch'io, cercandomi su entrambe! In effetti diamo così tanto la stessa impressione d'insieme... Sia qui che là c'è quello paffuto e c'è quello spilungone, c'è la bambina coi ciuffi e quella con la zazzera, il ragazzino che ride a occhi stretti, quello con le fossette, un paio che cercano di darsi un tono, più di un calzettone bianco bene in vista, qualche ginocchietto scoperto, la stessa proporzione di mani giunte e di braccia conserte, la stessa linea ondulata che unisce idealmente le testoline di tutti... La differenza, a essere schietti, è solo che da una parte ci sono io e dall'altra no. Ma per il resto... Oggettivamente – ecco la mia tesi a valle del primo esperimento, involontario –, direi che gli uni e gli altri non siamo che due diverse inquadrature di una medesima entità: la generazione della metà degli Anni '60, di una metropoli italiana, di un quartiere a metà strada tra centro storico e periferia, e appartenente per famiglia alla classe media, diciamo al ceto impiegatizio e mercantile, che infatti scelse per quei bambini la scuola elementare pubblica e gratuita. E Paolo? Diluito lì dentro, nell'entità collettiva. Un bel colpetto a quell'identità profonda dell'io, no? Questa nuova sensazione derivante dalla tesi, lo ammetto, mi disturbava un po’; ma una buona dose di raziocinio mi ha subito soccorso: la mimetizzazione tra le due scolaresche, e conseguente compressione dell'individualità, si dovranno senza dubbio – mi son detto – all'arcaica usanza del grembiulino, e inoltre al fatto che tutti i bambini alla fine erano stati comunque docili alle metodiche indicazioni di maestra e fotografo. Uhm... Allora passiamo al secondo esperimento, stavolta di proposito, e vediamo se confortandomi a questo modo ho ragione oppure no. Andiamo avanti con gli anni: saltiamo fino al liceo, dove c’è spirito d'indipendenza perfino nelle foto di gruppo; e nessun grembiule! Ma qui mi è proprio preso un colpo! Perché? Perché ho osservato tre (non due) classi diverse, inizio liceo scientifico, giusto a cavallo tra i '70 e gli '80; e qui le espressioni dei ragazzi e delle ragazze sono ancora più delineate, si vede meglio la personalità di ciascuno. D'altronde, ve lo ricorderete tutti, erano anni cruciali: quelli dell'adolescenza, dei primi richiami sessuali, dell'emergere dei ruoli – leadership, attitudine gregaria, retroguardia –, della distribuzione lungo tutto l'arco costituzionale ed extraparlamentare, dai "pariolini" alle "zecche", e soprattutto della riconoscibilità dello specifico strato di provenienza della classe economica (che era media per tutti o quasi). Di quella foto (una sola delle tre, ovviamente) ricordavo tutto, stavolta davvero, anche a occhi chiusi: avrei potuto dirti come eravamo messi, chi stava vicino a chi, quanto avevamo discusso per sceglierci i posti in base ai piccoli clan all'interno del collettivo, come eravamo vestiti (ciascuno secondo la propria moda, liberi dall'uniforme delle scuole primarie), come ci pettinavamo e chi voleva spettinarsi a tutti i costi. Ricordavo chi mi piaceva tanto, di chi mi fidavo, chi proprio non digerivo, chi mi amava, chi mi temeva... Insomma, se l'io profondo del sottoscritto doveva scaturire (secondo me, prima di questi esperimenti – e secondo chiunque, immagino, relativamente a sé stesso) già dall’aspetto di Paoletto nella foto delle elementari, figuriamoci dalle prime foto liceali! Ossia: l'uomo che sono oggi, là in progetto semi-definito, coi suoi pregi e difetti – mi sarei detto –, io, Paolo Andreozzi, coi miei sogni, giovani ma solidi, le molte speranze e già qualche disillusione... Ecco, ritenevo che quella fotografia della mia classe – con me al suo interno – dichiarasse tutto questo a chiare lettere perfino a uno sguardo sbrigativo. E invece... E invece eccomi a scorrere con attenzione quelle tre immagini, e io... proprio io ci devo mettere un bel po' a riconoscere i miei compagni! E perfino a individuare il mio bel faccino adolescenziale!!! Porca miseria. Qui, poi, non ci sono scuse di omologazione forzata. Anzi, ricordo benissimo quanto all'epoca mi costasse spuntarla coi miei genitori perché il modo in cui andavo a scuola (vestiti, capelli, scarpe, accessori, colori...) rappresentasse me, esattamente me e il mio carattere! E come me facevate tutti, ricordate? Tutti ragazzi e ragazze davvero unici, ci sentivamo e volevamo apparire: non più bimbetti piegati al volere di mamma, papà, insegnanti eccetera. Giovani uomini e giovani donne, invece, esseri umani liberi – o almeno sulla strada della liberazione, a suon di dischi comprati o scambiati e libri in prestito, e attività sportive o di quartiere, discussioni politiche, amori raggiunti o rincorsi, viaggi fatti o sognati, generosità, perfidie... Chi è che non possa dire, pensando a quegli anni e a quell'età, "io ero io, e nessun altro"? Be'... amici e amiche, io stavo sì in uno di quei tre scatti, ma avrei potuto trovarmi perfettamente integrato in uno qualunque degli altri due. E anche delle vostre, di foto liceali, se siete miei coetanei e congeneri per poche altre condizioni a contorno. Tre, cinque, dieci... chissà quante inquadrature diverse di una stessa medesima entità: la generazione della metà degli anni '60, di una metropoli italiana, agglutinata in un liceo del centro storico, e appartenente per famiglia alla classe media, diciamo al ceto impiegatizio-mercantile e delle professioni, che infatti scelse per quegli adolescenti uno dei migliori licei (statali) della città. Non sto dicendo che all’epoca fossimo tutti uguali – attenzione. Al contrario: in ogni collettivo c’era grande varietà di tipi di adolescenti. Ma – sto dicendo – più badavamo a diversificarci in quell'ambito di venti/trenta personcine, più lo sguardo d'insieme su una pluralità quegli ambiti diversi offre ora panorami quasi indistinguibili. Cioè si direbbe che eravamo non tante identità l'una affianco all'altra, bensì una identità sola dall'aspetto composito; anche se essa identità si prestava a mostrare tante diverse facce al proprio interno. Alle elementari – esperimento fatto. Al liceo – idem. ...E se ne facessimo altri, su scatti sempre più recenti? Già: immaginate di confrontare la fotografia scattata a un matrimonio cui siate andati di recente (il classico gruppone di parenti e amici) con una qualsiasi altra foto simile di qualche vostro conoscente nello stesso periodo; oppure due foto di gruppo aziendali; o di vacanze al villaggio; o di gruppi sportivi amatoriali; o... insomma ci siamo capiti. E osservate (mentalmente) il vostro volto nell'immagine che vi riguarda davvero, ma poi chiedetevi se c'è un motivo serio perché voi non compariate invece in una qualsiasi dell'altre foto (oltre al motivo fattuale, ovviamente, che voi non ci state). Questo motivo, logicamente, non esiste. Perché è un caso se io nel 1970, in Prima Elementare, mi sono trovato in quella classe, e ho avuto quella maestra, e quei compagni e quelle compagne per cinque anni importanti e formativi, i cui vettori hanno contribuito a determinare la mia risultante esistenziale non troppo meno dei vettori familiari in senso proprio. Ed è un caso – come una caduta probabilistica di biglie entro tubi a colonne parallele – se io nel 1978, in Prima Liceo, mi sono trovato in quella classe, e ho avuto quei professori e quei compagni e quelle compagne per altri cinque anni ancora più importanti e formativi, i cui vettori hanno plasmato il mio stesso diventare ciò che sono adesso. Un caso le scuole medie, analogamente; un caso pure l’università; un caso la piccola o grande collettività sul posto di lavoro, che pure quella hai voglia se determina le ore, ore che fanno i miei giorni, giorni che fanno i miei anni, anni che fanno chi sono; un caso chi conosco e con chi mi lego nelle attività del tempo libero: sport, cultura, politica, volontariato... Un caso tutti gli incontri della vita. Un caso aver io incrociato gli occhi di una determinata donna, donna che ora è mia moglie e che, se ne avessimo, sarebbe la madre dei nostri figli – ciò che di meno casuale per me io riesca a concepire! Vien da pensare che siamo tutti intercambiabili. Almeno da un certo punto di vista. Ma se non è disturbante questo... Rendersene conto non fa bene. ...O invece fa bene? Secondo me, superato il primo trauma può far bene! Nel senso che sì, abbiamo or ora assaggiato la perturbante idea che tutta l’individualità volitiva e l’identità profonda che ci spettano sono, più o meno, le stesse di una fogliolina attaccata a un ramo insieme a tante altre, in mezzo a tanti rami in una folta chioma di un albero bello grosso! Ogni foglia è unica in qualcosa – per chi sa osservarle –, e guai a dire a una fogliolina che è uguale a un’altra foglia; però agli occhi di chi foglia non è, quello che si percepisce è un albero con tante foglioline identiche (diverso da un altro albero, di specie differente, e riconoscibile in quanto tale dal fogliame – anche). Allora, come ne usciamo? Come lo superiamo il trauma dell’artificiosità (da un certo punto di vista) dell’ego? Perché se non lo superiamo c’è anche il rischio di mandare tutto in vacca, sapete. Io per esempio potrei andare da mia moglie e dirle papale papale che tutto il nostro amore, la nostra vita insieme, i nostri ricordi, i nostri progetti – che tutto questo è solo fumo imponderabile del mero caso, altro che scelte e volontà! Dirle che io non l’avrei incontrata se non avessi frequentato quel certo posto che bazzicava suo fratello che poi me l’ha presentata, e non l’avrei frequentato se non avessi avuto voglia di scrivere per il teatro, e non ne avrei avuto voglia se non avessi conosciuto quel gruppo di creativi, e non li avrei conosciuti se non avessi avuto quel libro tra le mani, e non avrei avuto quel libro tra le mani se prima al lavoro..., e niente prima al lavoro se non prima ancora all’università..., e niente prima ancora all’università se non ancor prima al liceo..., ma niente ancor prima al liceo se io non ci fossi andato in quel liceo, con quei professori e quei compagni, vettori esistenziali come già detto, e non ci sarei andato se non avessi avuto alle medie l’amichetto del cuore il cui fratello maggiore andava già in quello stesso liceo, e non avrei avuto alle medie quell’amichetto se non avessi cambiato casa alla fine delle elementari, altri vettori, e non avrei cambiato casa se non fosse nato il mio fratellino, e non sarebbe nato il mio fratellino se non... be’ questo dovrei chiederlo ai miei, ma mi sa che è tardi. Comunque, mia moglie – dinanzi a me, armato di tali impeccabili argomentazioni – a questo punto avrebbe già fatto le valige, e giustamente. Ma sarebbe un peccato, perché – caso o non caso – siamo una coppia felice! E’ ben per ciò che dicevo – posto che tutto ciò da me sinora elucubrato è assolutamente vero e reale, e una volta assaporato con la mente non si torna più indietro dallo status di foglia, diciamo così – dicevo che il trauma va superato in avanti. Propongo questo, e concludo. Siamo solo foglie sì, ma dobbiamo anche sapere che il nostro metabolismo è quello dell’albero – già! E lo è proprio dal momento in cui siamo foglie che sanno di esserlo. La coscienza di sé – da Socrate a Marx, già, o forse da Buddha addirittura a Neo (di Matrix) perfino! Dunque proviamo a metterla così: io sono una foglia, però penso come l’albero. Sono una foglia – e anche tu lo sei, e tu e tu e quell'altro e quell’altra. Siamo tutti foglie perché rispetto all'esistenza della pianta intera viviamo una stagione molto breve, lo siamo perché bene o male in molti condividiamo lo stesso ramo e tutti quanti il medesimo tronco, lo siamo perché senz'acqua si muore e senza sole si è tristi, lo siamo perché un paio di facce ciascuno ce le abbiamo eccome, e lo siamo perché basta un soffio di vento più forte del normale e... ciao. Sono una foglia, e per sentirmi davvero a posto dovrei soltanto svolgere al meglio il mio importantissimo ruolo: la sintesi clorofilliana – che grazie all'energia solare trasforma le risorse dell'acqua, dell'aria e della terra in ottimo nutrimento per tutta la pianta, per le altre foglie come me e per me stesso. Dovrei riuscire a pensare come un albero, come l'albero che mi dà la vita e a cui io do la vita. Dovrei sentire profondamente che il mio destino è in tutto legato ad ogni altra parte del grande organismo. Dovrei capire senza sforzo che la mia crescita – se esclusivamente egoistica, e magari fuori misura – non farà che togliere luce a qualcun altro ed energia al tutto. Dovrei studiarlo, l'albero – conoscerne radici e corteccia e polpa e linfa e nodi e rami e foglie e gemme e fiori e frutta e semi; conoscerlo e averne cura, e godere nel mentre. Dovrei fare la mia parte, cioè essere messo in condizione di farlo; tutto qui. Un fatto di sistema e di persone insieme, credo. E’ un buon modo di uscirne? O è solo la scorciatoia per il lettino di uno psichiatra, come tocca a chi veda i Marziani in giro per le strade? Ai posteri, come si dice, una sentenza purchessia. |