Dopo un anno buono di lavori preparatori alla costituzione in Italia di un “Comitato promotore per una campagna di adesioni individuali al Partito della Sinistra Europea” (adesioni individuali consentite espressamente dallo statuto del PSE), Comitato, che nascerà domani 1° marzo, il quale si dà statutariamente il tempo non breve di altri due anni per trasformarsi in Associazione degli iscritti individuali al PSE, ebbene alla notizia comunicatagli da parte degli animatori del progetto, il Segretario del Partito della Sinistra Europea così risponde: “Caro compagno [...], grazie per l’informazione. Gli aderenti individuali sono benvenuti. Stiamo discutendo il loro ruolo. Fraterni saluti.”
Al che io leggo la risposta, gentilmente inoltrata dal compagno [...] a tutti gli animatori (tra cui me) di cui sopra che da un anno eccetera, e mi salta agli occhi che non c’è nessuna differenza tra questa e una risposta eventuale all’informazione che fosse stata trasmessa, diciamo nel 2019, ai vertici del PSE riguardo all’esistenza di aderenti individuali al Partito in un punto qualsiasi della piccola grande Europa! Ossia: il valore aggiunto di essere (e di voler essere) noi un collettivo, rispetto a una pluralità di individui (ciò che siamo già con la semplice iscrizione, senza alcuna necessità di progettare alcunché, di lavorare per nulla), semmai il Segretario l’abbia còlto, tuttavia nella sua risposta non trapela affatto. E anche la sua chiosa “stiamo discutendo il loro ruolo” è un ribadire il netto dirigismo dall’alto del Partito, insofferente se non contrario a un movimento di organizzazione dal basso, per quanto calma e giudiziosa, qual è l’impulso del nostro piccolo progetto. Fatto presente questo mio pensiero ai compagni di avventura, mi sento però replicare che “dovevamo aspettarcelo, e anzi il tono è di minor chiusura del previsto, e comunque quella del Segretario è simpatia per il progetto laddove invece l’organizzazione politica che in Italia afferisce in blocco al PSE ha già mostrato un certo nervosismo per i nostri propositi.” Puntuale, ci arriva poi una mail di uno dei vicesegretari del PSE, italiano e già a lungo segretario di Rifondazione Comunista; e devo dire che neppure se io avessi chiesto a Ferrero di scriverci una noterella fittizia solo per mostrare che ho ragione nella mia tesi, neppure così lui sarebbe stato altrettanto (involontariamente) esplicito nell'allocuzione che realmente ci ha mandato. Traslittero liberamente: "questa voce coordinata e autonoma degli iscritti individuali non s'ha da fare, state buoni qui intorno al partito piuttosto e chiacchieriamo un po' amabilmente dell'universo mondo!" Ora, siamo tutti grandi e come tali ciascuno in diritto di scegliere i propri passatempo; pertanto non provo minimamente a dissuadervi dal vostro, che fino a una settimana fa era anche il mio. Ma per me, oggi, penso che se per agire politicamente devo smarcarmi dalla tutela dei dirigenti di un partito (parlo del PRC) addirittura senza farne parte, allora tanto varrebbe entrarvi: nel partito almeno avrei gli strumenti statutari per combattere (teoricamente) alla pari con qualunque altro iscritto, dirigenti compresi. Invece, alla mia idea di partecipazione politica, accettare di esser sedotta e abbandonata così, senza regole e diritti, prima ancora di aver le gambe su cui muoversi, e anzi proprio per impedire che le abbia, ebbene sembrerebbe di essere affetta da qualcosa di simile alla sindrome di Stoccolma. E questo non lo vogliamo, né lei né io. Allora tiro le somme, per quel che mi riguarda. Seriamente, se dinanzi a un impegno politico individuale e collettivo quale quello che spetta a persone di buona volontà e retto pensiero, e azioni conseguenti, nella stagione più dura per la gente comune in Italia, in Europa, dalla fine della guerra al nazifascismo, impegno al quale la nostra piccola idea non vuol altro che aggiungere una piccolissima forza, ebbene il primo fuoco da cui dobbiamo difenderci è non quello del nemico di classe, del nemico della Civiltà, del nemico dei diritti umani, bensì il “fuoco compagno” (più sgradevole ancora del “fuoco amico”, evidentemente, come concetto), per di più da dirigenti politici che hanno già dimostrato tutta la propria sagacia riducendo organizzazioni di massa a circoli meno numerosi del mio giro di amici del calcetto, e se tutto questo capita non dopo chissà che fuga in avanti ma, al contrario, dopo un lavorio felpato e circospetto (fin troppo, per il mio carattere, come ho ripetuto spesso da posizioni di obbediente minoranza) lungo un anno intero, allora io davvero non capisco qualcosa. Né del PSE, né di Rifondazione Comunista, e né del progetto in sé e dei compagni che lo hanno concepito e lo nutrono oltre me. Ed è qualcosa di importante, questo è sicuro. Quindi, per provare a capirlo, per sperare di riuscirci, e non è detto, ho bisogno ora io di tempo politico e di lavoro sui concetti; tempo e lavoro che dovrò riguadagnare rispetto a quelli connessi al contribuire al progetto stesso, inevitabilmente. Saluto dunque oggi, fraternamente, i compagni che proseguono la strada, e chiedo loro di voler comprendermi se non posso più considerarmi parte del collettivo a valere da ora. Grazie comunque delle suggestioni condivise, e di cuore buona fortuna. Resterò ovviamente iscritto al Partito della Sinistra Europea, come sono già dal 2016 (anche se qualcuno, incaricato di farlo, dimenticò di darne notizia al partito, parlo del PSE; e pure questo mi pare coerente col quadro emerso da ultimo), per le buone ragioni che ho già espresso anche ultimamente qui.
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310 milioni di anni fa il pianeta Terra si presentava così: le terre emerse accorpate in due grandi supercontinenti, che noi chiamiamo Laurasia (quasi tutta a nord dell’equatore) e Gondwana (quasi tutta a sud), e in mezzo a loro il grande mare che chiamiamo Paleotetide e tutto intorno lo sterminato oceano. Di lì a 20 milioni di anni, i due supercontinenti si riuniranno in un solo zoccolo immenso, la Pangea, circondato da tutte le acque salate del pianeta, la Panthalassa; e solo dopo, da questa configurazione nasceranno per spostamenti progressivi i continenti come noi li conosciamo, e i nostri oceani e i nostri mari. (Per inciso, gli spostamenti delle terre emerse e la riorganizzazione conseguente delle acque sono sempre in corso, e quindi tra decine e centinaia di milioni di anni l’aspetto della Terra sarà ancora e sempre differente.) Ma torniamo a 310 milioni di anni fa, al periodo geologico che chiamiamo Carbonifero (quinto dei sei in cui dividiamo l’èra detta Paleozoico – una volta chiamata Primaria – che è la prima delle tre dell’eone Fanerozoico, quarto e ultimo finora dopo l’Adeano, l’Archeano e il Proterozoico – tutti e tre insieme detti anche Precambriano). E’ ad allora che dobbiamo risalire a ritroso lungo il cammino evolutivo dei viventi, e in particolare degli Amnioti – il nostro clade specifico all’interno della superclasse Tetrapodi, sottotipo Vertebrati, di cui facciamo parte –, per trovare il momento in cui la linea che conduce alla classe dei Mammiferi si stacca da quella che porterà alle due classi a noi più prossime: i Rettili e gli Uccelli. Classi molto strettamente imparentate tra loro, queste. I Rettili avranno il loro lungo momento di gloria e di fama popolare con l’epopea dei cosiddetti Dinosauri, dai 230 ai 65 milioni di anni fa, dal Triassico avanzato a tutto il Cretaceo (passando per il celebre Giurassico, a coprire cioè quasi tutta l’era Mesozoica – in passato detta Secondaria) finché un meteorite invadente, centrando la Terra all’altezza del punto dove ora il Golfo del Messico abbraccia lo Yucatàn, non renderà gli ecosistemi planetari meno adatti a loro e assai più ad altri ordini, famiglie, generi e specie (e alla lunga, ma proprio di recente, pure a noi Homo). E gli Uccelli, evolutisi durante quella lunga stagione proprio a partire dal ceppo dei Rettili stessi (il più antico anello di congiunzione tra Dinosauri e Uccelli è l’Anchiornis, fossile di circa 160 milioni di anni, precedente di 10 milioni di anni rispetto al famoso Archaeopteryx che deteneva il primato ai tempi dei miei studi scolastici), la gloria e la suggestione del volo naturale ai nostri occhi di bipedi ancorati al suolo ce l’hanno da sempre, e sempre l’avranno nonostante tutti gli artifici che l’intelligenza Sapiens ha realizzato e realizzerà ancora per librarsi nell’atmosfera terrestre e oltre. Comunque, da quella linea evolutiva che 310 milioni di anni fa si separa dalla nostra di Mammiferi, gemmeranno le seguenti (menziono soltanto le principali): quella che conduce alle tartarughe (300 milioni di anni fa), quella che porta ai coccodrilli (250 milioni), le due che daranno iguane e camaleonti da una parte e serpenti e lucertole dall’altra (210), quella che conduce agli uccelli propriamente detti (120), tra cui quella che porta agli struzzi e simili (100) e quella che va agli infiniti passeracei (sempre 100), e le due che daranno da una parte tutto il pollame e dall’altra tutto l’anatrame (80 milioni di anni fa). Ora, se ricordate (ma sennò non fa nulla), il 31 gennaio avevo pubblicato qui sul blog la paginetta Parenti stretti, dando conto con l’allegato pdf della distribuzione tassonomica di noialtri Mammiferi. E oggi pubblico qui altri due fogli di parentele, uno dei Rettili e uno degli Uccelli (tanto cugini tra loro da poter considerarli un solo clade, i Sauropsidi), proprio perché appena fuori dal cortile di casa nostra, dove noi allattiamo la prole (questo ci qualifica Mammiferi), c’è quest’altro bel cortile – doppio – e credo che conoscerlo sia la prima base dei doverosi (e gratificanti) rapporti di buon vicinato.
Uscito ieri sul grande quotidiano progressista nazionale (sezioni per abbonati):
Le mani delle mafie su negozi e aziende: così il Covid ha favorito la criminalità organizzata 23 febbraio 2021 I dati elaborati da Cerved in esclusiva per Repubblica. Migliaia di imprenditori e commercianti in ginocchio costretti a cedere le loro attività a investitori legati ai clan. E oltre 140mila società sono a rischio usura e riciclaggio, il doppio rispetto all’anno scorso. L’equazione è semplice e inquietante. Durante la prima fase della pandemia, nella provincia di Napoli hanno cambiato proprietario 663 tra aziende e negozi. Si tratta del 2 per cento del totale, molto più di quanto accadeva negli anni precedenti […] Dico io: ma dài?!? Uscito dieci mesi fa su questo stesso minuscolo blog tendenzialmente (e tendenziosamente) ecosocialista: Non si vive di sole mascherine 27 aprile 2020 E così le espressioni “merce a prezzo imposto” o “vendita a prezzi calmierati” non sono più bestemmie, neppure nel modello di sviluppo neoliberista in cui viviamo da un quarantennio filato! C’è voluta una pandemia, però, per arrivare a tanto coraggio intellettuale! E comunque si parla sempre e solo del bene supremo del momento: le mascherine! Meno male, intanto: il governo italiano mette tutti e due i piedi nella sacra logica intoccabile del profitto privato, nella libera impresa capitalista, nella concorrenza commerciale, e dice, stante l’emergenza inaudita in corso, che le mascherine saranno sì obbligatorie per una quantità di casi e momenti, però saranno non più introvabili e inoltre a prezzo accessibilissimo per legge! Allora, se la congiuntura unica ha aperto uno spiraglio nella porta dei dogmi economici imperanti, io provo a mettere un piede tra quella porta e lo stipite prima che si richiuda. E chiedo: perché deve valere solo per le mascherine? Passo indietro, storico-merceologico-sociale. C’è stata una mostra, diversi anni fa al Vittoriano di Roma, sulle memorie fotografiche e le suggestioni artistiche e letterarie di quella rete capillare di spacci perlopiù alimentari che fu l’insieme dei punti-vendita dell’Ente Comunale di Consumo (a Roma, nel caso della mostra – ma fu a lungo realtà nazionale consolidata). Specie di piccoli fabbricati bianchi, di solito col solo piano terra, due o tre porte su strada e una tettoietta per l’ombra e per la pioggia, che fino alla mia infanzia costellavano i quartieri popolari e la cintura periferica delle borgate, soprattutto. Ancora oggi se ne trova qua e là una vecchia insegna, in sobrio carattere maiuscolo e color blu-nero, a indicare però che ora lì sotto c’è semmai un esercizio commerciale, di ristoro o intrattenimento, tanto cool da voler evocare quell’antica modestia mentre appronta e vende la propria mercanzia di qualità, non proprio a prezzi stracciati. Furono istituiti nel 1946, gli Enti Comunali di Consumo, obbligatoriamente nei Comuni con più di 200.000 abitanti, e facoltativamente in tutti gli altri. Perché l’Italia usciva da una guerra che oltre a tutto il resto aveva praticamente sdraiato ogni fondamentale (PIL, occupazione, propensione al risparmio e all’acquisto, liquidità, solvibilità, fiducia), e perché nel 1946 il governo del Paese era ancora nelle mani della coalizione che aveva combattuto la Resistenza contro il nazifascismo e conquistato la Liberazione (meraviglioso 25 aprile), e che stava scrivendo la Costituzione che sarebbe stata promulgata un anno e mezzo dopo: democristiani attenti alla dottrina sociale, comunisti, socialisti, azionisti-repubblicani, liberali (ma non liberisti ottusamente). Poi però – fatto arcinoto – dopo il viaggio di De Gasperi in America, il varo del Piano Marshall e l’arrivo di tanti dollari in cambio della rassicurazione che qui da noi le sirene egualitarie della Sinistra conseguente sarebbero state silenziate, comunisti e socialisti furono accompagnati fuori dalla porta della stanza dei bottoni, e le elezioni del 1948 (18 aprile da incubo) ratificarono la svolta centrista e monocolore del Paese per tanto tempo a seguire. Ma per fortuna rimaneva sulla scena il frutto prelibato della Costituzione. E restarono anche, per qualche decennio, alcuni presìdi di pianificazione economica (come l’IRI e le grandi aziende pubbliche) e di distribuzione calmierata (ecco che ci siamo: gli Enti Comunali di Consumo). Ci restarono, almeno, finché l’ubriacatura della privatizzazione universale, comune a Centrodestra e Centrosinistra, non ebbe l’effetto di smantellare tutto ciò che impediva di sbrigliare gli istinti e gli appetiti del grande e del piccolo capitalismo. Privatizzazione e precarizzazione – per inciso – i cui effetti nefastissimi nel comparto basilare della sanità scontiamo come non mai proprio ora, alle prese col Covid-19. Comunque, gli Enti Comunali di Consumo furono trasformati (insensatamente) in SpA nel 1993, e poi del tutto abrogati (inevitabilmente) nel 2008. Fine del passo indietro. Quello che la pandemia produce e produrrà in Italia e non solo (oltre ai tanti, troppi morti), è un crollo dei fondamentali economici che ha il solo precedente della Seconda Guerra Mondiale – ciò a detta di tutti gli analisti. Perderanno il lavoro a centinaia di migliaia nel nostro Paese, forse a milioni; e a centinaia di milioni nel Mondo, forse a miliardi. Centinaia di migliaia di famiglie in Italia si troveranno senza un reddito onesto, e non so quanto potranno durare gli ammortizzatori sociali approntati o approntabili dalle pubbliche casse (specie se nessuno avrà il coraggio politico di andarle man mano a rimpinguare drenando con una sacrosanta tassazione, e col correlato pugno duro contro l’evasione endemica, i cespiti privati maggiori). D’altro canto alle famiglie, tutte (sia quelle che resistono sia quelle che non ce la faranno), occorrerà per la pura e semplice sopravvivenza un paniere articolato di beni che certo non può ridursi ai soli dispositivi di protezione individuale – per quanto importanti! Ultima osservazione: per alcuni dei beni imprescindibili nel paniere eventuale è la stessa filiera produttiva ad esser messa a grave rischio dalla pandemia, non solo per la chiusura dei normali punti vendita degli esercizi privati, dettaglio o ingrosso, che non rialzeranno la saracinesca, ma addirittura perché mancano e mancheranno braccia nei campi o nelle fabbriche o nella logistica, a causa del depauperamento di occupabili per il blocco degli spostamenti di forza-lavoro tra Paesi, tra continenti, che sono stati la regola dei decenni di globalizzazione. E allora? E allora chiudo con le mie due proposte: una piccola, e illogica (poiché incompleta), l’altra grande e logica. La prima è che il governo italiano abbia la sensatezza di decretare al più presto un duraturo calmiere dei prezzi di un nutrito stock di beni e servizi – altro che le mascherine soltanto! – con la fondatissima giustificazione che le persone e le famiglie in questo Paese saranno alle prese con problemi di sopravvivenza ben oltre il raggio temporale del rischio-contagio in sé; e non vogliamo che siano preda né dell’usura criminale né della fame direttamente – come ha già detto autorevolissimamente Papa Bergoglio. E’ una proposta piccola, rispetto alla scala del problema, e illogica in quanto alla lunga i produttori (privati) di quei beni o servizi a prezzo imposto riterranno insostenibile continuare a operare a meno che lo Stato ci metta del proprio (da quelle pubbliche casse che però abbiamo già visto in sofferenza) per rifonderli. Tuttavia la formulo e la sottoscrivo come una benda su una ferita che sanguina – sperando che qualche forza politica la faccia propria, almeno questa. La seconda affronta il male alla radice. E postula né più né meno che l’applicazione sostanziale della Costituzione Italiana in una costellazione di articoli beli e importanti: 2, 3, 4, 35, 36, 37, 41, 42, 43 e 46. Infatti io dico: quei valori (materiali e non) di cui al paniere calmierato dovrebbe essere lo Stato stesso a produrli e a commercializzarli (tramite spacci di prossimità territoriale simili a quegli antichi Enti Comunali di Consumo, o invece con catene di ordine e vendita on line, in caso di merci vere e proprie, e altro ancora quanto ai servizi – non importa saperlo ora), certo: con braccianti di Stato, operai di Stato, artigiani di Stato, tecnici di Stato, progettisti infrastrutture di Stato, addetti alla logistica di Stato, rivenditori di Stato, ingegneri dei sistemi di Stato, professionisti di Stato, studiosi di Stato, creativi di Stato, esperti di comunicazione e di marketing di Stato, scienziati della pianificazione di Stato, eccetera eccetera eccetera! Perché? Perché ci sarà a breve un esercito di disoccupati da una parte, purtroppo, e dall’altra un esercito di bisognosi di ciò che è basico, purtroppo – masse per di più sovrapponibili spesso e volentieri; e ci sarà da rifondare un intero sistema-Paese semplicemente perché l’abbrivio privatistico con cui l’Italia si è mossa negli ultimi decenni (creando forbice socioeconomica, sacche di depressione e inclinazione all’illegalità – ma non voglio ora fare il solito discorso) si è arenato non contro manifestazioni oceaniche di antagonisti politici bensì contro un organello lungo un decimillesimo di millimetro: il maledetto coronavirus. E dunque, ripensare tutto per ripartire nel migliore dei modi, se non ora quando? – come disse un Grande. Pianificare per la sostenibilità ambientale, programmare per minimizzare le scorie, ingegnerizzare secondo le esigenze reali e non più per i bisogni indotti del consumismo, impiegare meritocraticamente le competenze, la preparazione, le aspirazioni individuali, creare uno scenario di occupazione di qualità dal quale i cervelli non vogliano né debbano più fuggire: compiti che solo il potere nazionale può intestarsi, non certo la galassia degli operatori economici in concorrenza tra loro. D’accordo: se serve coraggio strategico per realizzare la prima delle due proposte, quella minima (la semplice estensione, a una classe di merci essenziali, del calmiere già decretato per mascherine e simili), figurarsi per questa organica e globale! Occorrerebbe un ceto politico dello spessore non tanto inferiore a quello che, uscito vittoriosamente dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, donò al Paese e alla Storia la Costituzione più bella del Mondo… E di sicuro non siamo oggi così tanto fortunati. Ma io lo lascio ugualmente qui, questo mio spunto azzardato. Perché non si sa mai: la natura solida dei nudi fatti, refrattari alla lunga a ogni deformazione ideologica e anche alla pavidità umana di chi è chiamato a decidere per le comunità, potrebbe un giorno compiere il miracolo di mostrarci assai convincentemente che è arrivato il momento di fare sul serio – o morire. E qual è la morale di tutta questa storia? Perché ho voluto fare questo accostamento tra la notizia di ieri e il pensiero di quasi un anno fa? La morale, amarissima, è che di questo passo soffieremo man mano sulla prima candelina di TUTTE le occasioni che si sono perse per intervenire sulla crisi sanitaria in modo che NON fosse l’occasione per il crimine di far soldi e per la destra di crescere ancora! Già. La parte sana del Paese (ammesso che sia ancora viva e vitale, o almeno vegeta) sembra sempre più un personaggio di Baricco, Oceano mare... - A volte mi chiedo cosa stiamo aspettando. - Che sia troppo tardi, madame. Ma davvero – mi chiedo stamattina – è quella gente, quella pasciuta a Striscia la Notizia, che non sa ridere se non sente sonora una scureggia e non piange se non il giorno in cui non può proprio farla sotto il naso al fisco, quella gente che semmai esca dai confini nazionali cerca sempre e comunque pastasciutta, pizza e cotoletta, che storpia i nomi che non conosce e i pensieri che non capisce, e si crede la più furba al mondo e fa spallucce al valore e all’onore, e s’inchina solo per paura o convenienza, e tradisce tutti e tutto sbandierando le parole fedeltà e verità – davvero è questa gente che non sa nulla e di nulla si cura, quella cui abbiamo consegnato in ostaggio le nostre vite? Davvero. |