Cap.11 UNIVERSO
- Ma lo sapete che oggi il Giro parte da Roma? E passa pure a piazza Irnerio, che poi prendono l’Aurelia e fanno tutta la costa fino all’Argentario! Così ha detto stamattina papà prima di andare in ufficio, oggi 31 maggio 1972, mercoledì. E allora io, che ancora per oggi vado a scuola di pomeriggio poi basta e se ne riparla in Terza, ho detto subito a mamma: - Se devi fare la spesa, mamma, stamattina anziché farla al mercato piccolo della via dietro alla “Clementina Perone”, perché non la fai al mercato grande di circonvallazione Cornelia dove andavamo prima? - Ma così dobbiamo uscire e poi rientrare, e poi riuscire ancora per andare a scuola all’una. Invece come facciamo sempre usciamo solo una volta, un po’ prima dell’una, io faccio la spesa poi tu entri a scuola e io torno a casa con Giorgio!... - Sì ma hai sentito: oggi vicino al mercato grande ci passa il Giro! Dài mamma, per favore! - Ma non sappiamo nemmeno a che ora passa! …Si sa, Vini’? - No, non lo so con precisione. Partono da piazza San Pietro, però non so quando. Forse verso le dieci… Dieci e mezza a piazza Irnerio, non lo so. Adesso vado, ciao Mimmotta, ciao Paiu’ ciao Giorge’, a stasera! …Se vedete i ciclisti me li salutate? Ed è uscito ridendo. Mamma, quasi tra sé e sé: - Che lo possino, tanto qui ci sto io no? - Dài, mamma mammuzza mammina mammonza! - Eh, giusto mammonza! …Vabbè… - SIIIIII’! GRAZIEEEE!!! - …Ma non staremo lì ad aspettare: io faccio la spesa, e poi ci affacciamo dal fondo del mercato sulla piazza; e se siamo fortunati… - EVVIVAAA!!! Mi porto le figurine, così li riconosco quando passano! Ma ti aiuto, eh mamma? Tu porti Giorgio, io il carrellino della spesa! Siamo entrati al mercato passando affianco all’UPIM, come facevamo sempre, e la prima parte del mercato come sempre ha i banchi delle cose che non si mangiano: posate, bicchieri, lenzuola, pennarelli e blocchi, ventilatori, sedie a sdraio, fiocchi, giocattoli… Non mi sono fermato ai giocattoli, primo perché stavamo lì per il Giro e secondo perché i giocattoli li preferisco al negozio di largo Boccea, “Il regno dei bimbi”: ha i Lego all’infinito, e animaletti e macchinine, e giochi in scatola come Monòpoli e L’allegro chirurgo, e cose da femmine, e a Carnevale le maschere. Il negozio di animali e macchine migliore però è “Giorni”, sta vicino a via Cola di Rienzo e ci siamo andati solo due volte. Dopo questa prima parte del mercato, stretta e lunga, si scendono dei gradini e c’è la seconda, stretta e lunga uguale, coi banchi delle cose da mangiare ma non carne e non pesce: frutta, insalata, fagioli, salame, pane, formaggio… Giorgio mi sa che era la prima volta che ci veniva, stava buono nel passeggino anche se sa camminare da un mese; io, dice mamma, all’età sua mi mettevo praticamente in piedi nella carrozzina e mi buttavo a destra e sinistra verso i banchi per prendere chissà che! Mi conoscevano tutti. Poi crescendo mi sono calmato, ma qualche negoziante si ricordava o mi riconosceva, e diceva a mamma “Quanto è bello ‘sto figlio! Pare una femmina! Gli occhi che c’ha so’ due olive nere!” Infatti in questa parte del mercato ci sono anche le olive, verdi o nere, da vendere nel cartoccio che si prendono con un cucchiaio grande bucherellato da un secchio di plastica bianca trasparente, e affianco sempre c’è il secchio delle fusaie, che si prendono uguale e si mettono in un altro cartoccio. Buone le olive verdi! Le fusaie no, si deve sputare la buccia e perdo ancora più tempo che a sputare l’osso delle olive. Che non è un osso, ovviamente. Ma adesso tutti i complimenti erano per il piccoletto; giusto: è proprio carino, poi gli sono cresciuti i capelli, molto più chiari dei miei, e ha due ciuffi di lato simpaticissimi; due soli, non tre, sennò somigliava troppo a Ciccibum di Pippo e Lalla. Mamma comprava e metteva nel carrellino, io portavo il carrellino stando attento. E guardavo già laggiù in fondo alla terza e ultima parte del mercato per capire se il Giro stava passando, doveva ancora passare o era già passato. Sui gradini tra la seconda e la terza parte ci stavano come sempre quelli coi sacchi pieni di semi da vendere, ma pure fagioli di tutti i colori, lenticchie e cose così, che ci metti le mani dentro, le tiri su unite a piattino e i semi ti cadono a destra e sinistra come i dollari di zio Paperone nel suo mitico deposito! Chi se li compra i semi? Boh. La terza parte del mercato è quella che puzza un po’, vendono la carne e il pesce, e per terra è sempre tutto bagnato che si scivola allora ci mettono la segatura che però secondo me è pure peggio. Ci sono i banchi con le galline senza piume appese a testa in giù; quelli con degli animali senza pelle che potrebbero essere piccole pecore, guardando la faccia e soprattutto gli occhi grandi e neri, o conigli grandi, non lo so, sempre tutti a testa in giù. Una volta ho visto nonna Iolanda che a tavola per secondo mangiava una testolina così, cotta ovviamente, oppure delle zampette di gallina abbrustolite. Boh. E il banco del pesce è il più tremendo: si muove tutto. I pesci muovono le branchie, le vongole nelle bacinelle si aprono e si chiudono, degli animali brutti grigi e bianchi con degli occhi piccoli in cima e tante zampe, che si chiamano pannocchie, provano addirittura a scappare finché il pescivendolo non le riacchiappa, le pesa, le incarta e la signora se le mette nella borsa: ma non ha paura? Via, via! Alla fine arriviamo al banco più normale di questi qui: vende semplici fettine e salsicce e fa gli hamburger con una macchina interessantissima. Ma non stiamo qui per studiare! Dico a mamma: - Chiedi per favore al macellaio se sa niente del Giro? Lei non fa in tempo che lui subito dice: - Signora bella, quant’è che non veniva! Come sta? Ah, adesso c’ha un altro bel bambino, e il primo quant’è cresciuto! Ma lei signora, glielo devo di’, c’ha un viso che è sempre una miniatura, complimenti! Che je do, signora mia? Fettine? Un po’ di fegato? Guardi, c’ho pure il cavallo: si squaglia in bocca e fa bene ai pupi! Trippa? Pajata speciale? Mamma è diventata rossa, secondo me. Intervengo io: - Scusi signor macellaio, non è passato ancora il Giro d’Italia là sotto in piazza? Poi a scuola avevo davanti Massimiliano, Fabrizio e Alessandro, e Maurizio, Roberto, Giancarlo e Massimo, e gli raccontavo: - No, dovevate starci! Sono passate prima le motociclette della polizia, ma tante eh? Dopo un po’ la macchina di Torriani, lui sempre in piedi che usciva dalla capote gesticolando coi suoi baffoni… E poi i ciclisti, tutti in gruppo che erano appena partiti! - Ma dài! - Sì! C’erano le squadre ancora tutte raggruppate, con le magliette uguali tutte vicine: quelli della Scic tutti bianchi con le maniche nere, che ho visto Dancelli benissimo… - Ghicio! - …E poi la Salvarani, celeste, e ho visto Gimondi… - No! - …E pure Marino Basso, con la faccia da matto! Mi stavano a sentire anche Tiziana e Alessandra, pure se di ciclismo non sanno niente. - Poi la Filotex, azzurra, con Bitossi in mezzo però con la maglia tricolore del campione d’Italia, e la Dreher con la maglia divertentissima che sembra la bandiera americana perché la squadra si chiama anche Brooklyn come le gomme… - E Merckx? - Be’ certo, è passata tutta la sua Molteni, con le magliette marroncine e la riga nera, ma lui con la maglia rosa davanti a tutti! - Che bello! E te? - E io stavo su una specie di balconcino alla fine del mercato, dove stanno le fontanelle, un po’ in alto, e ho visto tutto quanto comodo comodo! Alla fine, quando erano passati tutti, ecco le ammiraglie con le bici di scorta legate sopra, poi altri poliziotti in moto, e poi una macchina con delle bandiere che significa che il Giro è passato: “potete riprendere ad attraversare la strada”. Dopo, quando sono tornato a casa il pomeriggio, ho saputo che la tappa l’aveva vinta Zilioli; ma tanto Merckx è sempre primo in classifica. Ghicio! E la sera a cena abbiamo visto Ajax-Inter, la finale della Coppa dei Campioni, che ha vinto l’Ajax 2-0 con due gol di Cruijff. Io questi olandesi nemmeno sapevo che giocassero a pallone; invece papà dice che sono forti, che giocano in un modo nuovo. Sicuramente sono nuovi i capelli, tutti lunghi, e i numeri che hanno invece dei soliti da 1 a 11, per esempio: il 12, il 13, il 15… Cruijff ha il 14, sulla maglia loro bianca con la fascia rossa verticale, e mi piace come corre e dribbla, e come tira. Zio Lello che vive ad Amsterdam tiferà Italia o Olanda? A proposito di calcio, domenica è finito il campionato. Abbiamo battuto il Verona 1 a 0, siamo finiti settimi a 35 punti; lo scudetto l’ha vinto la Juventus, e sono quattordici; capocannoniere Boninsegna, 22 gol, secondo Riva. Il nostro migliore, Zigoni, solo 7. E pensare che stavamo secondi o terzi in classifica, poi abbiamo perso quella partitaccia col Napoli ed è finita la festa. Vabbè. Adesso a giugno c’è un torneo piccolo che si chiama “Torneo Anglo-Italiano”, vediamo che fa la mia Roma. E sempre domenica è tornata l’ora legale, ci siamo svegliati che invece delle otto erano le nove; e la sera, il giorno dura fino alle nove e passa. Sarà così fino a fine estate, come sempre. Perché? “Per risparmiare la luce”, mi dicono, però io non sono proprio convinto. Vabbè. Ma con l’estate arriva Giochi senza frontiere! SIIIII’! Anzi pure un po’ prima: infatti già giovedì c’è stata la prima puntata, con quella sigla bellissima e tutti i simboli di tutte le televisioni come la RAI degli altri Paesi; poi parlano Giulio Marchetti e Rosanna Vaudetti che però non si vedono, perché questa puntata non era in Italia perciò in mezzo ai giochi c’erano i presentatori di quel posto, che era il Belgio, oltre ovviamente ai due arbitri simpaticissimi Guido Pancaldi e Gennaro Olivieri con la giacchetta a righe, che parlano tutte le lingue ma il via alla gara lo dicono sempre in francese: “Attention! Trois… Deux… Un…” e poi il fischietto che dice via! L’Italia aveva Ostuni, che sta in Puglia hanno detto, e siamo arrivati ultimi, perfino dietro Francia e Belgio; ha vinto l’Inghilterra, ha battuto i fortissimi tedeschi! Hanno giocato meglio il jolly, anche se i tedeschi al fil rouge sono stati bravissimi. Ma tanto era solo la prima puntata, la prossima tra due giovedì. Giochi senza frontiere se fosse un giornaletto sarebbe un quattordicinale! L’ultimo numero dei Fantastici Quattro è stato preoccupante: dove i miei supereroi se la sono vista brutta contro altri quattro, ma supercriminali: Wizard, l’Uomo Sabbia, Pete l’Uomo Colla e Medusa. Praticamente ognuno di loro è il nemico ideale di ognuno dei Fantastici Quattro, ideale per dire: Wizard è intelligentissimo, Uomo Sabbia non può essere fermato dalla Torcia Umana perché la sabbia non brucia, Pete l’Uomo Colla ha delle colle così forti che pure la Cosa deve faticare a liberarsi, e Medusa coi suoi capelli lunghissimi, rossi, che sembrano vivi, fa delle azioni come la Donna Invisibile col suo campo di forza. Però abbiamo vinto noi. E ormai è tutto a colori anche questo giornaletto, meno male. Avevo detto che dovevo cercare Einstein sull’enciclopedia, dopo che l’avevo letto sul numero del Dottor Destino. Noi abbiamo due enciclopedie. Una nuovissima: l’Enciclopedia monografica di Scienze Naturali della Arnoldo Mondadori Editore, fatta di undici volumi rossi; l’undicesimo però non lo apro mai, si chiama “Guida e Indice”. Gli altri dieci sono uno meglio dell’altro: “Minerali e Rocce”, “Piante inferiori”, “Piante superiori”, “Invertebrati”, “Insetti”, “Agnati e Pesci”, “Anfibi e Rettili”, “Uccelli”, “Mammiferi” e “Fossili”. Ci sono disegni bellissimi, più le tavole per capire le parentele tra gli animali, si capisce tutto perfettamente. E’ qui, nel volume “Mammiferi”, che per esempio ho conosciuto il famoso pangolino, che una volta che stavamo al cinema io e papà a vedere un documentario, un bambino seduto vicino a me ha chiesto al suo papà “che cos’è questa cosa in mezzo all’erba”, e lui “ma… dev’essere una scatola di legno o di metallo”, e io a voce alta “no, è un pangolino!”, e poi la voce del documentario ha detto “ecco vediamo il pangolino acquattato nel suo ambiente naturale, con le sue tipiche scaglie protettive”, e il bambino ha detto “ma papà, lo sapeva pure questo bambino!”, e papà a me “Paiucco, ssssst… Vieni, spostiamoci un po’ più dietro che qua mi viene il torcicollo. Scusate…” Però l’enciclopedia vera di casa è Universo. Diversa da quell’altra primo perché non parla solo della natura ma di tutto quanto, e poi perché quella è arrivata tutta insieme e invece Universo papà l’ha comprata un po’ di pagine ogni settimana; poi quando i piccoli album sottili erano abbastanza andava in legatoria qui a metà di via Monti di Creta, e là li rilegavano in un volume, con la copertina rossa, liscia però mentre quella delle Scienze Naturali è ruvida. E un volume dopo l’altro siamo arrivati a dodici. Io li ho visti crescere uno per uno, e ho visto crescere Universo sullo scaffale. L’enciclopedia è in ordine alfabetico, ovviamente, e io addirittura mi ricordo senza vederle le lettere che dicono dove inizia e dove finisce ogni volume! Mamma mi sfida, me le chiede: lei sta davanti all’enciclopedia in corridoio, io sto in cucina e dico “A–Ast, Asu–Camo, Camp–Colo, Colp–Di, Dj–Form, Forn–Id, Ie–Lom, Lon–Neg, Neh–Pis, Pit–Sag, Sah–Tag e Tah–Z” E lei: “Azzeccati tutti, bello di mamma! Ma come fai?” Universo invece è della De Agostini Novara. Gli stessi che fanno il Calendario Geografico ogni anno. Altri ragazzini hanno le enciclopedie per ragazzi come Sapere o Conoscere. Io no, io questa per grandi. Normale che il volume che ho avuto più tempo sottomano, il primo, io lo sappia quasi a memoria. Mi è piaciuto da subito: alla prima pagina la lettera A si vede così come la scriviamo noi, maiuscola, ma anche come la scrivevano gli Egizi, che sembra la testa di un toro di profilo, poi la A “semita”, lo stesso toro ma senza occhio e senza orecchio, poi la A “fenicia”, che è come la nostra ma appoggiata per terra verso sinistra, e la A “greca”, come la nostra però zoppa: le manca la fine della zampetta sinistra, ma sta in piedi uguale. E qualche pagina dopo ecco la voce “Alfabeto”, dove c’è proprio una tavola intera con gli alfabeti antichi di tutto il mondo! E affianco, la fotografia di una cosa importantissima che si chiama la Stele di Rosetta, ma il pane non c’entra niente, che ha fatto capire cosa scrivevano gli Antichi Egizi coi loro geroglifici! Prima di “Alfabeto”, un’altra pagina che so a memoria è “Abitazione”: c’è un disegno del mondo con piccoline le case tipiche di tutti i popoli antichi e moderni, dagli indiani agli eschimesi, e una “isba”, una “jurta”, tende, capanne, palafitte, di tutte le forme e colori. Dopo, un’altra è “Alcool”, che sta nel vino ma pure sullo spirito c’è scritto “alcool denaturato”; è interessante una tabella con gli effetti dell’alcool, da 0.5 grammi, che è mezza bottiglia di vino, a più di 5 grammi, che sono più di tre bottiglie, si passa da una “zona d’allarme: stato euforico, leggera alterazione psicomotoria, riflessi rallentati, guida dell’autoveicolo irriflessiva” a “zona mortale: stato di coma, che può condurre alla morte”. Mamma mia! Comunque stavo lì per Einstein, Volume Quinto. E alla voce dice: “Einstein, Albert, fisico teorico (Ulma, Germania 1879 – Princeton, Stati Uniti 1955). Fondatore della Teoria della Relatività*, alla quale è legata la grandissima fama che circonda il suo nome.” E colonne di altre informazioni, e fotografie. Sembra un po’ Charlot, però spettinato. Ora, quando c’è quella cosa * che si chiama “asterisco”, significa che bisogna andare a cercare quella voce per saperne di più; e siccome è “Teoria della Relatività” io vado a cercare alla R di “relatività” anziché alla T di “teoria”, perché di teorie ce ne staranno tante; esiste pure la teoria del contropiede a pallone! Infatti, al Volume Decimo, ecco qui la voce; e dice: “In fisica è la teoria, più precisamente conosciuta come Teoria della Relatività Ristretta o Particolare, elaborata da Albert Einstein nel 1905 per risolvere l’apparente contraddizione alla quale si era giunti nello studio dell’elettrodinamica dei corpi in movimento…” …Vabbè, vado avanti… Parla dell’”esperienza di Michelson-Morley” sulla velocità della luce… E poi dice “Quantitativamente il rapporto di equivalenza fra l’energia E e la corrispondente quantità di massa m acquistata da un corpo, è fornito dalla celebre equazione di Einstein: E = mc2”, col 2 piccolo e in alto. Bohissimo! Lasciamo perdere, stavolta. Comunque, torno a stasera del 31, che papà è tornato dall’ufficio e dopo i baci a tutti e tre ci ha chiesto “Allora, il Giro d’Italia?”, e mamma: “Macché, erano già passati un’ora prima. Ce l’ha detto un negoziante. Non ce l’avremmo fatta mai; e seppure, anche arrivati là in tempo non ci facevano avvicinare, io con un bambino, il passeggino con un neonato e il carrello della spesa. E dal mercato non ha visto niente nessuno. Evvabbè. No Paole’?” - Sì sì, poi mamma mi ha comprato la pizza bianca buonissima lì al “Pizza rustica” solito, e a me non mi dispiaceva già più. Mi è piaciuto rivedere il mercato!... Però… Loro due insieme: - Però? - Però ai compagni di scuola gli ho detto che invece avevo visto tutto, gliel’ho raccontato per filo e per segno! - No! - Sì. Andavo a memoria sapendo le figurine. E la storia era bella da raccontare. E’ piaciuta a tutti! Mica ho fatto una cosa di male! Mamma: - Ma è una bugia! Grossa come una casa… Papà: - In effetti… E nessuno l’ha messo in dubbio? - Dei maschi no, erano felici di sentire da vicino il passaggio dei campioni. Due femmine mi sa che non ci hanno creduto, però tanto non gli interessava. - E chi erano? - Tiziana e Alessandra. - Quelle che ti conoscono meglio. - Tiziana a un certo punto se n’è andata, ma prima si è toccata la punta del naso guardandomi. Nessuno se ne è accorto. Meno male. Mamma: - Ma dimmi tu! Papà: - Le bugie non si dicono, Pallo. A mamma e papà poi mai, va bene? Mai, che a noi ci puoi dire tutto! - E infatti ve lo sto dicendo! Papà: - Evvabbè. Mimmotta, Paolo voleva essere come papà suo che da ragazzo ha visto il campionissimo da vicinissimo! Io: - Raccontamela un’altra volta, dài papà! Mamma: - Vabbè, venite in cucina però, sennò stasera non si cena, che poi volete pure vedere non so che partita. Ci spostiamo, tutti e quattro, Giorgio in braccio a papà, che attacca: - Ordunque. Anno 1952, Giro d’Italia, tappa a cronometro da Roma a Rocca di Papa. Papà vostro, nonché Mimmotto tuo, ha diciott’anni, e con gli amici decide di partire dal quartiere Trionfale con le Lambrette, salire su per la via del Laghi e giungere all’arrivo per applaudire i nostri miti, uno ad uno. Dopo però, lungo gli ultimi tornanti ci fermano, perché da lì in poi intralceremmo la corsa… - E allora? - E allora buttiamo le motociclette sull’erba e ci piazziamo meglio possibile, aspettando il prossimo campione… - Finché? - Finché da sotto, dalla valle giù sotto ai Castelli, si sente un brontolio che sale, un brivido che scuote il vulcano di Roma, quasi l’accende, e diventa un saluto, un grido, un osanna! - Mimmo… - Sì sì. Dalla rampa proprio sotto di noi vediamo già la gente che alza le braccia al cielo, all’unisono con la scalata dell’Airone. Che se la ride della pendenza che quasi blocca tutti gli altri, e si raddrizza sul nuovo rettilineo… La sua maglia è biancoceleste, a trenta metri da noi. Ora venti. Dieci metri, nel boato. - E poi papà? Giorgio intanto lo guardava negli occhi e sulla barba. - E poi, senza neanche sapere perché mi sono inginocchiato, senza neanche volerlo forse. E quando mi è sfilato a mezzo dentro ho strillato “Fausto Coppi, sei un dio!” …E’ stato un attimo, lui si è girato, mi ha guardato, mi ha sorriso! …Bello quasi come il sorriso di questo angioletto qui! E lo faceva ballare con le braccia. Poi non so perché papà ha cominciato a canticchiare ballando il valzer con Giorgio, tra la credenza e la macchina del gas dove stava mamma; una canzone napoletana: E diceva: “Core, core! / Core mio luntano vaie Tu me lasse e io conto l’ore /Chi sa quanno turnarraie!” Mamma ha risposto subito: Rispunnev’io: “Turnarraggio / Quanno tornano li rose Si stu sciore torna a maggio / Pure a maggio io stonco ccà” E poi insieme, vicinissimi, con Giorgio lassù nel mezzo, e io attaccato ai fianchi di tutti e due. Si stu sciore torna a maggio / Pure a maggio io stonco ccà”. Poi la cena, la partita di Coppa, e insomma questo l’ho già scritto. Maggio del 1972 finisce così, e anche questo giorno è nella capsula del tempo. _______________ da "Gli immortali" romanzo in fieri
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Penso alla fine della quarta elementare, che ero un bambino e ci fu la strage di Brescia, il 28 maggio, a piazza della Loggia, nel 1974. E io e due mie compagne di classe, dovendo fare la ricerca di fine anno da esporre poi alla maestra e agli altri, decidemmo di farla su quell’infamia; ritagliammo foto e titoli di giornale, e scrivemmo delle paginette e schede, e unimmo tutto su un grande foglio quadrato di carta da pacchi, con la colla, lo scotch e i pennarelli per il titolo: LE BOMBE NERE FANNO STRAGE.
Ed eravamo soddisfatti, emozionati, ci sentivamo anche un po’ adulti mentre srotolavamo il pannello sulla lavagna davanti alla classe, e la maestra alla cattedra guardava i nostri compagni che leggevano il titolo e vedevano il nostro lavoro accurato. Poi però si gira, guarda e legge anche lei; allora diventa paonazza, si alza di scatto e si butta verso la lavagna. Strappa da lì il nostro foglio, lo strappa ancora in due quattro, otto pezzi con le pagine e le foto incollate sopra; e grida “Chi ve le ha dette queste cose?!? E in classe non si fa politica!!!”. Poi butta tutto nel cesto delle cartacce. E meno male che noi tre eravamo fra quelli più bravi, sennò mi sa che ci andava di mezzo pure la pagella! Neanche lo dissi a casa, per non dare un dispiacere. Tanto poi mancava solo un anno con quella maestra. Centocinquant'anni fa esatti, il 28 maggio 1871, la Comune di Parigi muore – ossia, ne viene uccisa quella parte che in un capitolo di Storia può esser distrutta; ma è solo una parte, appunto: il resto sono voci e pensieri, e azioni guidate dall’esempio, che non si estingueranno mai.
Comunque domenica 28, giorno del Signore, le armate del governo attaccarono l'ultimo ridotto formato da boulevard de Belleville, rue du Faubourg du Temple, rue des Trois Bornes e rue des Trois Couronnes. L'ultimo cannone federato tacque a mezzogiorno a rue de Belleville, nel pomeriggio l'ultimo colpo di fucile fu sparato dalla barricata di rue Ramponneau. La Comune era caduta, Mac-Mahon lanciò il messaggio: “Parigi è stata liberata! La battaglia è finita oggi; l'ordine, il lavoro, la sicurezza stanno per essere restaurati”, e Thiers telegrafò ai prefetti: “Il suolo è disseminato dei loro cadaveri. Questo spettacolo spaventoso servirà di lezione”. Non solo il suolo. Sulla Senna una lunga scia di sangue segue il filo dell'acqua e passa sotto il secondo arco delle Tuileries. Una scia di sangue che non s'interrompe mai. Nella prigione della Roquette in quel solo giorno vengono uccisi millenovecento federati, in quella di Mazas oltre quattrocento gettati in un pozzo del cimitero di Bercy. Colonne di prigionieri e di sospetti sono avviate a Versailles. Lungo il percorso, un generale li ispeziona. Fatti uscire dalle fila i più anziani, dice loro: “Voi avete visto il giugno 1848, perciò siete ancora più colpevoli degli altri!” e li fa fucilare sul posto. Cadono così ottantatré uomini e dodici donne. Ed è solo l’ultimo giorno della Settimana di Sangue, iniziata il 21 maggio, che si piange ancora oggi tra i fiori rossi, sempre freschi, al Muro dei Federati su al cimitero. Il massacro continuò nei giorni successivi. Il 29 maggio capitolò il forte di Vincennes. Mentre nei giardini del Luxembourg e nella prigione della Roquette si continuava a fucilare, nella caserma Lobau le mitragliatrici uccisero altri tremila parigini: i cadaveri furono scaricati nella square Saint-Jacques, dove una parte venne sommariamente sepolta, un'altra parte bruciata e il resto prelevato dalle carrette funerarie. Al Père-Lachaise i prigionieri furono condotti a gruppi di centinaia e allineati a ridosso di una lunga e profonda fossa scavata davanti a quel muro che aveva visto cadere gli ultimi difensori della Comune. Le mitragliatrici aprirono il fuoco e, morti o feriti, i federati rotolarono nella fossa e vennero ricoperti di calce viva. Non esiste un calcolo preciso delle vittime della repressione. Le cifre ufficiali del governo ne sottostimarono il numero a 17.000. Per Chastenet e Rougerie furono 20.000, per Lissagaray e Levêque 23.000, per Bourgin 25.000, per Pelletan e Kergentsev 30.000, per Zévaès 35.000. Di certo fu il massacro più sanguinoso della storia civile della Francia. La strage degli Ugonotti, nel 1572, nella notte estiva di San Bartolomeo (in orrore alla quale Voltaire, ogni 23 agosto della propria vita, era preso da violenta febbre psicosomatica), fece alcune migliaia di vittime; durante tutta la Rivoluzione Francese furono giustiziate a Parigi circa quattromila persone e in tutta la Francia non più di 17.000, Grande Terrore compreso, ad opera di Madame la Ghigliottina. Perché allora contro il popolo della Comune una reazione tanto barbara? Elenco alcune motivazioni validissime per i mandanti, i rappresentanti di potere e ricchezza in ogni dove:
Capite? Non poteva farla franca. Non doveva ingolosire un solo giorno di più gli sfruttati di tutto il Mondo. “Schiacciateli tutti, e terrorizzate tutti gli altri.” Eppure siamo ancora qui a parlarne, a leggerne e scriverne, in tutte le lingue del Mondo! Eppure di lì a neanche mezzo secolo si è accesa l’alta fiamma della Rivoluzione Russa, di cui la Comune fu luce guida espressamente! E se non fosse per le giuste le restrizioni dettate da questo assedio pandemico che subisce la gente di tutti i Paesi, per i centocinquant’anni dalla Comune il pellegrinaggio laico e proletario, libertario e internazionale a Parigi, Père-Lachaise, Mur des Fédérés, avrebbe dimensioni epocali, con tutte le istanze vecchie e nuove di emancipazione, di liberazione, di progresso, di giustizia. Compagne e compagni di quei giorni incredibili, non avete lottato invano! Altre testimonianze e considerazioni, qui. |