Ho beccato delle serie da paura! Me le vedo in diretta o quando mi pare su RaiPlay. Gratis! Metto qui pochi titoli ma sarebbero un botto. Non ve le perdete, gente, perché non si parla d'altro sui social e agli aperitivi, sennò siete fuori. Pronti?
Sapiens - Un solo pianeta, a.C.d.C., La grande Storia, Passato e presente, Ulisse: il piacere della scoperta, SuperQuark (sarà minimo alla 30ma stagione), Cronache dal mito, Cronache dal Rinascimento, La vera natura di Caravaggio, ArtNight, Nessun dorma, Rock Legends, Città segrete, Kilimangiaro, Geo Magazine, Animals with cameras, Prossima fermata..., Museo Italia, Sciarada - Il circolo delle parole, Via dei Matti n.0 (appena riparte)... No, se non le avete viste non potete capire. Io chi non sta in fissa almeno con tre o quattro di queste figate, non lo concepisco proprio! [da GLI IMMORTALI, romanzo in stesura; pagg. 163/182]
17. MONDO C’era uno stadio che non somiglia a nessun altro, con una specie di enorme rete da pesca che copre una parte dei posti, diciamo una tribuna e una curva, e poi se ne va a coprire credo la piscina olimpionica; e tutto in un parco verdissimo pieno di altri stadi più piccoli e piscine di allenamento. Si è visto bene dalle riprese dell’elicottero. E c’erano tutte le bandiere del mondo a sventolare allegre sul bordo più alto della tribuna scoperta; e sotto, quello stadio pieno di gente fino all’inverosimile. E sopra a tutto un bellissimo sole. Dopo hanno cominciato a entrare le squadre nazionali di tutti i Paesi, uno dietro l’altro in marcia sulla pista di atletica, ognuno dietro la sua bandiera portata bella in alto, mentre una banda suonava delle musiche giuste per ogni nazione – non gli inni, credo, però che si capiva che tipo di musica sentono lì. La prima a entrare è stata la Grecia, perché le Olimpiadi le hanno inventate là e io lo so da Topolino e da Asterix, oltre che da papà ovviamente che mi ha detto: - Le Olimpiadi antiche se le inventarono gli Antichi Greci, a Olimpia, e sempre in Grecia, ad Atene, c’è stata la prima Olimpiade moderna nel 1896; però queste Olimpiadi moderne se l’è inventate un francese, De Coubertin, quello di “L’importante è partecipare”, e infatti sentirai che la lingua ufficiale dei Giochi è il francese, l’unica che conosco a parte l’italiano! - E papà, anche in Italia le hanno fatte no? - Uh, eccome! A Roma, pensa! Nel 1960, forse le più belle Olimpiadi di sempre! Quelle di Berruti, della Rudolph, di Benvenuti e Cassius Clay, e soprattutto di Abebe Bikila! - Quello scalzo, bravissimo, dell’Etiopia! Che arrivò al Colosseo, ho visto le foto! - Lui! …E lo sai che pure papà e mamma ci sono stati allo stadio a vedere qualche gara? - Beati! Quando le rifanno a Roma? - Eh, chi lo sa? Magari nel 2000! - Ci andiamo, allo stadio, sicuro! …Eh, mamma? - Sì, Paiu’, magari, tutti e quattro! Sarebbe bellissimo! Beato chi c’ha ‘n occhio… Questo mamma lo dice sempre, quando si tratta di una cosa che deve ancora succedere; pure dopodomani, figuriamoci tra ventott’anni! La lingua ufficiale sarà il francese, ma le scritte delle nazioni sono in tedesco, giustamente visto che siamo in Germania Ovest, a Monaco di Baviera: “Griechenland”, “Agypten” cioè Egitto, “Athiopen” cioè Etiopia, “Afghanistan” cioè Afghanistan e così via nell’ordine alfabetico loro; il telecronista Paolo Rosi ci fa il piacere di tradurle in italiano. Arrivano le Bermuda, in calzoni corti, come i miei, però loro sono grandi e grossi; “Li hanno inventati loro!”, dice mamma. Poi la Bolivia, che mentre marciano fanno una specie di saluto a braccio teso verso la tribuna; “’Sti fascisti!”, dice papà “E’ una dittatura militare; infatti sono quelli ammazzarono Che Guevara, con la CIA come sempre!”. Ma ecco il Brasile che mi stanno sempre simpatici, e le ragazze hanno una bella minigonna chiara! E l’Honduras Britannico ha un solo atleta, pure vecchio! La Danimarca invece sono tanti, tutti biondissimi. Il Dahomey ce n’ha due, una bianca e un negro. Ora entra la DDR, che è la Germania Est, e i tedeschi ovest gli fanno un sacco di applausi. - Papà, che vuol dire DDR? E perché ci sono due Germanie? - DDR vuol dire “Repubblica Democratica Tedesca” con le iniziali in tedesco; e due Germanie, Paiu’, è perché la Germania dove stanno Monaco, Francoforte, Amburgo e Bonn vuole essere amica dell’America, e quella dove stanno Dresda e Lipsia vuole essere amica della Russia. E Berlino è divisa a metà: un po’ coi russi e un po’ con gli americani. Ti ricordi che ci sono stato, no? - Sì sì, hai detto del Muro, e che Berlino Est è più buia e Berlino Ovest tutta luci e negozi… - E il Muro l’hanno costruito dieci, undici anni fa, in una notte, i russi per evitare che i tedeschi andassero tutti a vivere a Berlino Ovest, e all’Est non ci restasse più nessuno. Che gli americani lo sai che non mi stanno tanto simpatici… Mamma: - Ma perché poi? Vabbè. Papà: - …solo che questa divisione è una cosa brutta, e speriamo che passi presto! Pure la Francia prende un sacco di applausi. “Guarda che bei vestiti e cappellini”, dice mamma, “La moda francese è sempre di gusto!”, che detto da una sarta… E bellissimo il Ghana, coi vestiti africani addosso, lunghi e credo di tutti i colori! La “Grossbritannien” cioè l’Inghilterra, piena di atleti che salutano il pubblico. Intanto le nazionali già entrate si sistemano in ordine sul campo: quanti sono, già solo questi qui! Ecco l’India, tutti col turbante tranne una che è l’unica donna; l’Irlanda, con una musichetta simpatica da Far West; Israele, con un sacco di applausi, “E questo è un passaggio delicato”, dice papà, “perché queste sono le prime Olimpiadi in Germania dopo la guerra e cioè dopo il nazismo, e la nazionale di Israele ovviamente sarà composta tutta di ebrei, che il nazismo ha trucidato a milioni!” - Come Anna Frank? - Eh, sì Pallo. - Una volta mi spiegate bene, eh? - Sì, certo… Ecco l’Italia! Il portabandiera è Pamich, guardate, il marciatore! E passano prima le donne, saranno una trentina, che sembrano vestite come a scuola i maschi: un grembiulino scuro col fiocco bianco, chissà perché “Eh, mamma?” “Ah boh, però non è male!”; e dopo tutti gli uomini, tanti tanti. Forza Italia, vinci un po’ di medaglie! Ho visto Meneghin in prima fila, e là in mezzo Mennea. Però pensavo più applausi. Ecco il Giappone, la Jugoslavia, la Cambogia, il Camerun pure loro con le tuniche, Canada, Kenia, Cuba tutti col basco che poi si tolgono e salutano, Kuwait… non li sto scrivendo tutti, eh? Il Liechtenstein, che bel nome da mostro! Madagascar, altro gran bel nome. Il Mali ha un solo atleta, in tunica e ciabatte! Marocco, Messico coi sombreri, Monaco che è un’altra cosa da Monaco di Baviera: è Monaco in Francia, cioè Montecarlo. E mamma: - Guarda! Inquadrano Grace e Ranieri nel pubblico! E’ sempre bella lei, eh? - Chi è Grace, mamma? - Grace Kelly, un’attrice bellissima che si è sposata col principe Ranieri di Monaco, come in una favola! - Ma io l’ho vista in qualche film? - Te lo ricordi Delitto perfetto, Paiu’? - Forse… Quello della chiave sopra la porta che c’era e poi non c’era? - Bravissimo! Lei era Grace Kelly! - …E Massimo Ranieri c’entra niente? - No, Pallo, niente. La Mongolia, addirittura con tre guerrieri in prima fila in mutande, stivali e mantello! Il Nepal, con l’unica bandiera del mondo che non è rettangolare. La Nuova Zelanda, dall’altra parte esatta del mondo rispetto a noi; “Però non camminano a testa in giù!”, scherza papà. L’Olanda di zio Lello, il Niger in tunica bianca e cappellino e la Nigeria uguale, l’Austria applauditissima, il Pakistan tutti in fila indiana, Perù, Filippine, Cina… “Questa però è Formosa, non è la Cina di Mao Tse Tung”, spiega papà, e io: - Che vuol dire? - La Cina Cina, quella enorme con quasi un miliardo di abitanti, non è riconosciuta dal Comitato Olimpico per motivi politici. Allora gareggia un’isoletta che si chiama Formosa o Taiwan, abitata solo dai cinesi nazionalisti, quelli contro Mao. - Ah, va bene. Grazie! …Ma questi cinesi nazionali qui, quanti sono? - Nazionalisti. Pochissimi, forse tutti questi che sfilano con la bandiera. - Papà scherza! Romania, che sembra Roma o Romani ma invece sta da un’altra parte; San Marino, che è un paesino che sta tutto in Italia però è un’altra nazione; la Svezia, tutte biondissime; la Svizzera, vicini nostri; il Senegal, tutti altissimi: saranno i Vatussi della canzone? La Spagna, con la musica dei toreri; Siria, Togo, Trinidad e Tobago, due nomi per una nazione, la Cecoslovacchia, due nazioni in una bandiera sola… Ed ecco l’Unione Sovietica, forti e tanti che sono, con la bandiera rossa come il Partito Comunista! Non gli battono tanto le mani, però. - Papà mi ricordi che vuol dire URSS? - Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Però sulle maglie vedrai CCCP, ti ricordi? - Sì, perché loro scrivono in un altro modo dal nostro. Ungheria, Uruguay… E con la musica di When the saints go marching in, entrano gli americani: gli USA, Stati Uniti d’America, e tutto il pubblico applaude! Sono tantissimi. Mamma: - E sono i più forti del mondo! Papà: - Certo, grazie ai negri però! Che l’America prima ha fatto schiavi, per generazioni! Passa il Vietnam. Papà: - Qui invece gli americani gli stanno facendo una guerra schifosa! …O vogliamo dire di Sacco e Vanzetti? O del fatto che tre buoni che ce n’avevano, i due Kennedy e Luther King, se li sono ammazzati da loro? O che là contano solo i dollari? …E il maccartismo? E Charlie Chaplin cacciato via?... Mamma: - Eh, tanto con te non si può parlare! Io e Giorgio ridiamo, anche se pure io non ho capito proprio tutto. E per ultimi arrivano i padroni di casa, la Germania Ovest: che però sul cartello hanno scritto “Deutschland”, Germania, e basta. Pubblico impazzito di gioia, naturale. Inquadrano un signore in televisione, “E’ Willy Brandt”, dice papà, “una brava persona.” E dalla faccia sembra pure a me. Madonnina quanti sono! E con loro sul campo insieme a tutti gli altri, l’erba non si vede proprio più. - E dopo la sfilata delle squadre che succede? - Boh Paole’, è la prima volta che la vediamo pure noi! - Sì, a Città del Messico qui era di notte e la RAI non la fece, prima in Giappone peggio mi sento, e prima, a Roma, sinceramente non mi ricordo… - Mimmotto, non ci fu Consolini che leggeva il giuramento e si è commosso? - Ah sì, certo, ora ci sarà il giuramento! E poi la fiaccola: la torcia olimpica, eh? - Ghicio, vediamo! Piace pure a Giorgio, guarda come è attento! Però prima di quelle due cose che hanno detto mamma e papà, c’è una specie di danza di centinaia, migliaia saranno, ragazzini sulla pista, con dei fiori tra le braccia su una musica tipo classica. Si mettono in delle posizioni che dall’alto sono figure giganti, come altri fiori. Bello! Poi un uomo anziano si avvicina al microfono “E’ Avery Brundage, il presidente del Comitato Internazionale Olimpico”, dice Paolo Rosi in televisione, “che legge in tedesco il saluto del CIO al Paese ospitante. Ecco ora la parola al Presidente della Germania Federale Heinemann, che dichiara aperti i Ventesimi Giochi Olimpici di Monaco 1972”, e tutto il pubblico è in piedi e nessuno fiata. Entra nello stadio un’enorme bandiera bianca, coi cinque cerchi famosi, che sarebbero colorati anche se in tele sono uno nero e gli altri quattro grigi diversi: la bandiera delle Olimpiadi, che fa tutto il giro della pista e poi la alzano sull’asta più alta! - I cinque cerchi li so, stava su Topolino: sono i continenti, il cerchio giallo è l’Asia, quello nero l’Africa, facili tutti e due, rosso l’America forse per i Pellerossa, azzurro l’Oceania per il mare e verde l’Europa perché è rimasta l’Europa! - Bravo Iucco, e bravo Topolino! Adesso ancora delle danze, messicane stavolta. Chiedo: - Che c’entra il Messico? Mamma: - Forse perché l’altra volta le Olimpiadi stavano lì? …Sì, infatti adesso ballano come i bavaresi, coi calzoni corti di fustagno e i cappelli di feltro con la piuma: è una specie di passaggio di consegne! E ora liberano tantissimi piccioni bianchi, ma molti di più che a piazza San Marco! Il cielo è pieno di colombe! Volano in alto fuori dallo stadio. Paolo Rosi dice che porteranno la pace, dappertutto: questa è la speranza! Ma ecco la torcia olimpica finalmente! L’hanno accesa a Olimpia in Grecia, dice la televisione, tanto tempo fa, ed è arrivata qui passando da un corridore all’altro senza spegnersi mai. “Tedofori” si chiamano i corridori che si passano la fiaccola, sembra “semafori” ma non c’entra niente. L’ultimo tedoforo sale in cima allo stadio e con la sua torcia accende la grande fiaccola olimpica, come mamma accende il gas col fiammifero in cucina, però una cosa incredibilmente più grande! Dice che farà luce giorno e notte fino alla fine delle Olimpiadi. E adesso l’ultima cosa: il giuramento. Tutte le bandiere lasciano le squadre nazionali, dove intanto gli atleti si sono un po’ mescolati e parlano tra loro in tutte le lingue; le bandiere vanno a riunirsi in un punto in mezzo al campo liberato apposta; là c’è una ragazza, “Heidi Schuller, ostacolista della Germania Federale” dicono, carinissima dico io, che tenendo un angolo della sua bandiera dice, traduce Paolo Rosi: “Noi giuriamo che prenderemo parte a questi Giochi Olimpici rispettando e osservando le regole che li governano, impegnandoci nel vero spirito della competizione, per la gloria dello sport e l'onore delle nostre squadre!”. Applausissimi. E a me non so perché viene da piangere, di contentezza. Allora per non farmi vedere dico forte: - Ma non è per niente il francese la lingua ufficiale delle Olimpiadi! Quella ragazza ha parlato in tedesco, poi l’hanno solo tradotta in francese e in inglese! E papà: - A Paiu’, e me so’ sbajato! Avranno cambiato il cerimoniale nel frattempo! Mamma: - Vieni qua bello di mamma, che nota tutto lui! E mi abbraccia, che secondo me s’è accorta della mia commozione; e io la lascio fare. Tutto questo ieri: sabato, che dopo mi sono detto “Le inaugurazioni delle Olimpiadi le vedrò tutte quante, sempre!” E oggi è domenica 27 agosto 1972. Che ho fatto due cose, una seduta e una per niente. Quella seduta, oggi pomeriggio: mi sono riletto tutto d’un fiato il giornaletto di Eta Beta: Le follie di Eta Beta, perché era troppo che non lo leggevo. La storia in cui compare per la prima volta, che Topolino lo trova in fondo a una caverna misteriosa, è bellissima: L’uomo del 2000, si chiama, perché Eta Beta viene dal futuro. Dal 2447, precisamente, e precisamente lui si chiama Pluigi Psalomone Pcalibano Psallustio Psemiramide, ma Topolino dice subito “Troppo complicato, ti chiamerò Eta Beta!” Perciò Eta Beta è una specie di capsula del tempo al contrario: è stato sepolto chissà da chi tra cinquecento anni e noi lo ritroviamo adesso, e lui ci dà informazioni di quel futuro lontanissimo! Non ci avevo mai pensato perché non sapevo ancora delle capsule del tempo, e tanto meno ne avevo creata una come questa cosa che sto scrivendo; ecco perché. Lui mangia solo palline di naftalina, quelle che mamma e più ancora zia Renata mettono in dei cassetti dell’armadio. E con Eta Beta c’è il suo inseparabile gangarone, cioè una specie di cane del futuro: Flip. Nell’ultima storia del giornaletto, Lo strano potere di Flip, bellissima pure quella, Flip ha il potere che davanti a lui le persone non possono più dire nemmeno una bugia! Non solo dirle, ma neppure far finta di essere una cosa diversa da quello che sono: per esempio un bellimbusto, davanti a Flip perde il parrucchino, le spalline della giacca e la dentiera, e diventa un povero rachitico, e una donnona fatale perde trucco e ciglia finte, tacchi, gioielli e busto per la pancia, e diventa una racchia assoluta e scappa via piangendo! Cioè non è che Flip e Eta Beta fanno questo apposta per far soffrire la gente, però succede: è solo che davanti a loro la pura verità si fa vedere, bella o brutta. Magari un poveraccio che tutti prendono in giro perché non riesce a esprimere i suoi pensieri, che sarebbero belli, con Flip vicino tirerebbe fuori una voce meravigliosa e le parole più poetiche e tutti gli vorrebbero bene, gli chiederebbero un consiglio, lo terrebbero da conto come un re! Però io una storia così ancora non l’ho letta, in effetti, sempre se l’hanno scritta. Io dico qualche bugia, comunque. Più che altro per non far arrabbiare qualcuno, tipo mamma, se non ho ancora fatto quello che mi ha detto di fare, tipo i compiti; oppure per dare più importanza a qualcosa che voglio raccontare, tipo che una certa cosa io l’ho vista o fatta proprio, e invece la verità è che l’ho solo saputa o pensata. Vabbè. La seconda cosa che ho fatto oggi, ma stamattina, quella per niente seduta, è stata una maratona! Che cos’è la maratona me lo ha spiegato tanto tempo fa zio Werther; mi ricordo che gli chiesi, ma chissà perché: - Zio, che vuol dire “maratona”? - E’ un posto, Paoletto, un paese della Grecia. Devi sapere che tanti anni fa ci fu una battaglia importantissima proprio a Maratona: gli Antichi Greci contro gli Antichi Persiani, che però avevano un esercito quasi imbattibile… - Come gli americani? - Eh, una specie. E insomma chi vinceva questa battaglia vinceva la guerra, e per i Greci perdere voleva dire perdere tutto, diventare schiavi… Capirai! Infatti a combattere ci andarono tutti gli uomini validi, proprio tutti. Ad Atene ci restarono solo i vecchietti, i bambini e le donne. - Atene: la capitale della Grecia. Questa lo so! - Bravo! Allora ti dico solo che là in città se la facevano sotto dalla paura: se a Maratona vincevano i Persiani era proprio finita. Aspettavano tutti insieme in piazza, per farsi coraggio. Aspettavano, e quasi faceva buio… A un certo punto, mentre chi pregava e chi piangeva, qualcuno dalle porte di Atene vide da lontano una figura: un giovane con l’armatura e tutto, che correva a perdifiato… Più s’avvicina e più capiscono chi è: è Filippide, uno dei meglio soldati! ...Lo aveva mandato il generale, a Filippide che aveva già combattuto tanto… Lo mandava a strillare a tutta la città col cuore in gola “Ateniesi, abbiamo vinto!”… - Evviva!!! - Evviva proprio, infatti! In tutta la città salti di gioia! Te lo figuri, no, Paole’? …Però Filippide adesso stava per terra senza più fiato, perché con tutte le ferite si era fatto di corsa 42 chilometri, da Maratona alla capitale: e adesso il cuore non gli batteva più… - No. Che brutto… - Sì piccolo mio. Brutta la guerra, sempre e comunque: pure l’ultimo giorno… Però Filippide vive ancora, no? E’ vivo adesso che te l’ho raccontato! E soprattutto è vivo ogni volta che in onore di quel ragazzo eroe, si fa questa corsa come ogni quattro anni alle Olimpiadi, coi giovani di tutto il mondo a correre per 42 chilometri filati! Ecco, adesso sai tutta la storia. - Grazie zio! Ma io, a otto anni e mezzo, 42 chilometri, e 195 metri per la precisione, non sono allenato a farli, ovviamente: ne ho fatto uno, filato, tutto di corsa, nel quartiere intorno a casa. Che tra l’altro fra poco lascerò. Ho studiato il percorso sulle Pagine Gialle, che alla fine ci stanno le tavole con le strade di Roma e io me le guardo spesso per figurarmi com’è fatta questa città, anche le zone dove non sono andato mai. Veramente mi studio pure gli Elenchi Telefonici, ma quello solo per la curiosità dei cognomi; a Roma ci stanno tantissimi Rossi, più di tutti: cinque pagine quest’anno, e Giovanni Rossi più di tutti proprio. Andreozzi siamo due colonne, pensavo di meno: io ne conosco solo cinque, di grandi che hanno il telefono. E Calderigi invece ce ne stanno due e basta in tutta Roma: e li conosco tutti e due, per forza, sono nonno Arnaldo e zio Franco! Comunque sulle Pagine Gialle c’è tra le altre tavole stradali quella del quartiere Aurelio, io la trovo facilmente sull’elenco alfabetico delle strade cercando via Monti di Creta; e lì si vede che uscendo dal portone di casa verso sinistra, e poi girando sempre a sinistra ogni volta che c’è una strada – cioè non un cortile o un garage o un giardinetto, che non vanno da nessuna parte – alla fine si ritorna al mio portone. E misurando col centimetro la cartina io credo che la corsa sia di un chilometro circa. Sarebbe di un chilometro anche uscendo dal portone a destra e poi svoltando sempre a destra, ma preferisco nell’altro senso così arrivo in discesa ed è meglio visto che alla fine sarò più stanco. A mamma e papà ho detto che scendo, arrivo al portone di Andrea e sto un po’ lì con lui. Loro hanno detto va bene, ma attento che oggi Gianni il portiere è domenica e non ci sta a guardare il marciapiede. Va bene. Bugìetta. Allora scendo, esco dal portone, mi giro nella direzione già decisa, guardo il cielo che è una bella giornata; pronti: via! Arrivo subito allo slarghetto che è largo Luigi Monti, con Lorenzo il fornaio e appresso il lattaio, e giro a sinistra che comincia via Nostra Signora di Lourdes; qui corricchio in scioltezza passando davanti a Micci il barbiere, chiuso che è domenica, ma comunque il suo “leccalecca” appeso affianco al negozio c’è sempre e gira pure oggi. Chissà che vuol dire quel simbolo? Devo chiederglielo al prossimo taglio di capelli! Subito dopo Micci c’è la rampa del garage che in fondo c’è pure un magazzino di pentole e cose così, ma soprattutto questo passaggio è importante perché è il primo punto da cui vedo il palazzo mio, e precisamente il balcone degli zii, non il mio perché è nascosto da questo palazzo qui che poi è dove abitano Sante, Stefania e pure Claudia compagna mia di classe. A casa di Claudia non ci sono mai andato, anche se abitiamo così vicini, né lei da me; eppure siamo amici. Boh. Forse perché è femmina e io maschio. Superato il palazzo ecco un secondo punto da cui posso vedere il mio girandomi a sinistra, ed ecco il balcone di casa nostra! Primo piano, con la porta e finestra della camera da pranzo, poi la porta della cucina, poi la finestra stretta del bagno e infine la finestra larga della camera da letto; e tutti i gerani rossi e rosa di mamma lungo la ringhiera; e poi anche se da qui non si vedono, un po’ di giochi più grossi che in casa non c’è posto, tipo: una mini tenda indiana arrotolata, una scatola con delle macchinine un po’ grandi, un’altra con dei pupazzi vecchi, i pezzi rimasti del trenino e della pista. Sono cose che non ci gioco più ormai, e mi sa che nella nuova casa andranno direttamente in cantina. ODDIO E’ USCITA MAMMA IN BALCONE CON GIORGIO VICINO! MI STA PER VEDERE! …Con uno scatto sono uscito dalla sua vista, ecco sì: sto nascosto dal palazzo appresso. FIIUUU! Continuo a correre più veloce allora, che sto benissimo e voglio battere un record… Ma se è la prima volta che faccio questa maratona-un-chilometro, il record lo farò sicuramente! Vabbè, vado veloce uguale. Questi palazzi più nuovi sull’altro marciapiede hanno dei balconi stranissimi, belli con quei disegni colorati, sembrano dei quadri astratti – così mi ha detto Carla che si chiamano i quadri che non si capisce cosa c’è disegnato; sono un po’ ipnotici, e se non sto attento mentre corro prendo qualcuno magari col cane al guinzaglio. Ora a sinistra comincia via Santa Bernadette, e giro come da programma; se andassi dritto arriverei all’autoscuola del signor Gianni e praticamente alla piazza che ci si affaccia il dietro della “Clementina Perone”, ma svolto. E da qui la strada la conosco molto meno, giusto all’inizio, all’angolo, che c’è il grande giornalaio dove vanno gli zii a comprare giornali e riviste, e qualcosa pure per me tipo coriandoli e stelle filanti a Carnevale, e oggi è aperto pure se è domenica così passandoci davanti sento il suo buonissimo odore di carta e non so che, forse del Crystal Ball, che invece quell’odore l’edicola di papà e mamma a largo Boccea non ce l’ha, forse perché è aperta sulla strada e l’odore va via. Comunque da qui tra un palazzo e l’altro, sempre guardando a sinistra, dovrei riuscire a vedere ancora il mio… Infatti! Ecco un angoletto proprio del balcone nostro, vuoto mi pare: mamma è rientrata dentro. Da adesso mi sa che non lo becco più, fino all’arrivo, cioè al portone di casa. Sono solo, e lontano: avventurosissimo! …Un altro po’ e pestavo una cacca, attenzione. Che bella mattina! Dalle case si sentono le voci e i rumori dei giorni di festa, almeno credo che siano diversi dagli altri giorni; e specie in questa vietta tutta curve con diversi cortiletti dove giocano altri ragazzini che però non conosco, altre famiglie staranno su a casa, altre mamme a cucinare, che infatti qualche buon profumo arriva pure qui, o forse è quello del bucato, insieme a delle musiche che allora non è solo da noi che si accende il giradischi o si alza la radio proprio di domenica! E a proposito, dopo mi faccio un bel bagnetto come sempre, che arriva a fagiolo visto che tornerò bello sudato! Via Bernadette sta per finire, ecco che vedo già all’angolo il negozio Tuttisport dove siamo andati qualche volta, lo supero, e giro a sinistra per il pezzetto di via Domenico Tardini che mi tocca nella maratona: proprio un pezzettino, che è subito largo Boccea, dove qui a sinistra passo davanti alla Singer dove mamma ha comprato la macchina per cucire, e appresso c’è la rampa che porta giù in un posto pieno di biliardi e tavoli da ping-pong dove sono andato una volta sola, con papà e Riccardo a vederli giocare a ping-pong, e invece a destra, dall’altra parte della piazza, c’è UPIM, poi l’edicola, il materassaio, e continuando arriverei alla viuzza dello Splendid, e poi a quella di Galdino; e continuando qui su questo marciapiede invece arriverei al negozio delle scarpe e dopo alla chiesetta di San Leone Magno che essendo domenica sarà piena di gente dentro e fuori, e di ragazzini a giocare nel campetto di cemento affianco. Noi in chiesa non ci andiamo quasi mai, però le preghierine la sera quelle mamma me le fa dire sempre; e lei stessa dice sempre “Ringraziamo Dio!”. Ma questo, se andassi dritto lungo largo Boccea; e invece ecco che svolto ancora a sinistra, ho ancora un sacco di resistenza nelle gambe e di fiato, ed è già la strada mia: via Monti di Creta, sto sul rettilineo che porta al traguardo! Subito qui a destra, all’angolo, il bar pasticceria dove compriamo le torte, e poi da questa parte, sul mio marciapiede che comincia a salire, ecco la merceria di mamma; uh, le volte che ci sono venuto pure io! Il mobiletto coi rocchetti di filo di tutti i colori del mondo ordinatissimi un colore dopo l’altro, che non puoi nemmeno dire dove finisce il blu e comincia il verde, o il rosso e il giallo; tutti gli scaffali con le scatolette di tutti i bottoni possibili e immaginabili appiccicati fuori, che mamma ce n’ha una scorta in una scatola di ferro, e io glieli prendo per giocarci con le figurine per terra: il bottone è il pallone ovviamente; quella specie di ombrellino con appese chiusure lampo di tutte le forme e colori; e poi il bancone “magico”, dove vengono stese le stoffe, le fodere, i rasi e tutti quei nomi strani, e la magia è che la stoffa si srotola, lui, il merciaio con le mani lunghissime, la misura con un metro di legno che sta incastrato nel banco, poi la prende per un bordo, ci appoggia semplicemente le forbicione, e la stoffa si taglia, si separa in due con la forbice che l’attraversa come… come la pinna di un pescecane! E la merciaia con le borse sotto gli occhi come nessun’altro, che ride e mi dice se voglio la stoffa per la bandiera della Roma, e mamma che le chiede sempre “se mi fa uno sconticino” che io non lo sopporto!... Vabbè, ma sto continuando a correre, in salita, e ormai ho lasciato la merceria, ho superato il tabaccaio, il fioraio, la tintora, che è cugina alla lontana di zio Augusto; ecco il portone della signora maestra; ecco il calzolaio, la parrucchiera di mamma con quegli odori buonissimi di lacca, la legatoria dei volumi di Universo, il macellaio, un altro bar, di fronte c’è la farmacia dei Frati, poi qui appresso il vini&oli delle telefonate di prima che avessimo il telefono… Sto nel punto più alto della via, adesso devo solo superare Palletta il meccanico, che non si chiama Palletta ma nessuno sa il nome vero, come suo fratello non si chiama Seppiolino, però Seppiolino è sempre nero di grasso di macchina e Palletta è grasso ciccione lui – devo solo superarli, ecco, adesso… e poi si scende: in dirittura d’arrivo! Il portone della signora Santina, che viene a casa a provarsi i vestiti, poi il portone di Andrea l’amico con cui dovevo giocare stamattina, la bugìetta; ma ormai sono salvo, ecco il mio palazzo, ecco le finestre del pianterreno, ecco il portone: tiro fuori il petto sulla linea del traguardo, sono Abebe Bikila, sono Paavo Nurmi, sono Filippide, sono arrivato!!! …E sono un cretino, perché non saprò mai quanto ci ho messo! Non ho guardato l’orologio alla partenza, e comunque un orologio io non ce l’ho. Non ho battuto nessun record, nemmeno l’ho fatto il mio primo record. Vabbè, ma è stata una bellissima maratona uguale! La prossima volta chiederò a zio Augusto di cronometrarmi, per forza. Parto da sotto al suo balcone e ci torno alla fine del giro, e lui guarda l’orologio suo. Ma zitti e mosca: di lui posso fidarmi. Poi a pranzo il telegiornale ha detto che qualche giorno fa sono stati trovate in fondo al mare due statue di bronzo, dell’Antica Grecia, forse due atleti delle Olimpiadi di tanto tempo fa: superghicio, no? A Riace, in Calabria dicono; e adesso le stanno restaurando, e poi si potrà andare a vederle nei musei. E’ proprio tempo di antichi eroi, e pure moderni; e anche di imprese segrete! Da domani a Monaco cominciano le gare. 18. SI VINCE E SI PERDE “Le colombe della cerimonia inaugurale non sono bastate: non hanno portato la pace al mondo dallo Stadio Olimpico di Monaco di Baviera. E’ la guerra, invece, che dal mondo è arrivata fin dentro al Villaggio Olimpico e all’aeroporto.” C’era scritto così su Paese Sera il 6 settembre mercoledì, edizione del pomeriggio, che papà ha portato a casa tornando dall’ufficio. Perché il 5 era successa una cosa bruttissima alle Olimpiadi; cioè, non nello stadio o dove si fanno le gare, ma dove stanno le squadre a dormire, a mangiare, a vivere tra una gara e l’altra: il Villaggio Olimpico. Era successo che delle persone che con le Olimpiadi non c’entrano niente hanno scavalcato il recinto, sono entrate nella casa della squadra di Israele e hanno ammazzato e fatto prigionieri! Sono rimasti chiusi lì dentro: i cattivi, cioè una banda che si chiama “Settembre nero”, e i buoni, cioè gli atleti rapiti; chiusi tutto il giorno, e ovviamente quel giorno le Olimpiadi si sono fermate. Papà ha detto, tristissimo, che nell’Antichità erano le guerre tra i popoli a fermarsi, quando c’erano le Olimpiadi: “Pensa, Paiu’. Oggi invece ecco questo orrore. E le Olimpiadi moderne neppure le hanno fatte nel 1916 e nel 1940 e 1944, perché c’erano le guerre mondiali, la Prima e la Seconda. Stessa civiltà proprio eh?” Io ci ho pensato, e sì: è come diceva papà: stessa civiltà un bel niente! Poi, non solo: quando, di notte, i rapiti e i rapitori sono andati all’aeroporto per scappare, è arrivata la polizia per risolvere la questione e invece alla fine sono morti tutti: undici atleti di Israele, cinque rapitori e pure un poliziotto. Ho chiesto a papà e mamma: - Ma perché? Hanno risposto: - Paiu’, neanche noi lo sappiamo. E’ solo che la questione di Israele, Palestina, Egitto, Suez, Paesi arabi, è una questione talmente complicata che chissà se ha davvero senso dire “buoni” e dire “cattivi”. - Sì, bello di mamma: forse possiamo dire soltanto poveracci, povera gente, poveri figli. Fino a quel giorno le Olimpiadi erano state bellissime da vedere. C’erano stati i tuffi, c’era stata la ginnastica e c’era stato il nuoto, delle cose che mi piacciono. I tuffi, una cosa emozionantissima! Si buttano o dal trampolino di 3 metri, col rimbalzo su quel coso che intanto va su e giù, oppure dalla piattaforma di 10 metri, dove almeno ti butti da una cosa ferma come un balcone, ma alta anche come il balcone di zio Augusto e zia Renata con sotto il cortile! Ma pieno d’acqua, almeno. E non solo: mentre si tuffano fanno capriole, in avanti, indietro, si piegano da una parte, piegano le gambe, si toccano i piedi col naso, girano come trottole, e alla fine però cadono in acqua drittissimi con la punta delle mani sopra la testa e i piedi che entrano per ultimi, e senza manco tanti schizzi! Una cosa da fumetti! Coi coefficienti di difficoltà importantissimi, che chissà che vuol dire però. L’Italia ha vinto alla piattaforma, con Dibiasi, e terzo Cagnotto; e Cagnotto secondo dal trampolino. Alla grande! La ginnastica non è proprio come quella che facciamo a scuola con la maestra, proprio per niente. Non so se quello che faremo tra poco in Terza ci somiglierà, ma questi ginnasti sono pure loro dei supereroi: volano! Il cavallo, gli anelli, la sbarra, le parallele, il corpo libero… Tutte cose che in televisione hanno spiegato e sono bellissime da vedere, ma ti mette paura ogni volta che un atleta comincia l’esercizio perché se sbaglia si può fare male, e comunque fa una figuraccia che divento rosso io per loro! Qui non abbiamo vinto niente: il Giappone e l’Unione Sovietica sono i più forti. Una ragazza specialmente, una piccoletta russa, che dicono che ha 17 anni ma sembra poco più grande di me, Olga Korbut: una cosa incredibile! E il nuoto pure è bellissimo da vedere: tutti gli stili spiegati per bene, le staffette divertenti, un sacco di record battuti! I campioni sono stati: Roland Matthes della Germania Est che a dorso ha vinto tutto, e dice zia Renata che è bellissimo da vedere come galleggia: sembra fatto di sughero! E Shane Gould, australiana: tre medaglie d’oro! Ma soprattutto Mark Spitz, un americano coi baffetti simpatici, che ha vinto sette medaglie d’oro: sette! Battendo sette record del mondo! Un mostro! Dice papà che così, a memoria, prima di lui aveva vinto cinque medaglie d’oro Paavo Nurmi nelle corse lunghe, alle Olimpiadi di Parigi del 1924; e io Nurmi già lo conosco perché il nome “Paavo” è troppo bello, e poi è “Paolo” in finlandese! E me l’ha detto una volta zio Werther che se lo ricorda da quando era piccolo. Zio, non il corridore. E all’epoca i giornali italiani cambiavano i nomi stranieri nella nostra lingua, dice che il fascismo aveva pure questo vizio: volevano cambiare pure il suo, “Werther”, in “Degno”. Degno di che? Si è salvato giusto perché era un nome tedesco, e i fascisti e i tedeschi erano amici, e Werther è rimasto. Mi ha fatto vedere una foto sua a 12 anni, col pallone. Sua di zio, non di Paavo Nurmi. E un po’ ci somigliamo. E l’Italia del nuoto? Grande pure qua: Novella Calligaris ha preso due medaglie d’argento e una di bronzo, e ogni volta che andava sul podio piangeva e rideva insieme; e mamma appresso! Anche le gare più belle delle Olimpiadi, per me, cioè l’atletica leggera, c’erano state in parte prima di quel massacro: i 100 metri e i 200 metri maschili, i 10.000, i 3000 siepi, i 400 ostacoli, il salto triplo; e i 100 femminili, e il salto in lungo e il salto in alto femminile. 100 e 200 maschili li ha vinti Borzov, un russo serissimo che mette soggezione, ma nei 200 è arrivato terzo Mennea: medaglia di bronzo! Mennea è forte, specie sul rettilineo perché la curva la fa un po’ male, mentre invece Berruti, quello delle Olimpiadi di Roma, sulla curva era perfetto e su questo sono d’accordo tutti: papà e mamma, zia Renata e zia Rosaria. Nei 10.000 ha vinto alla grande Lasse Viren, finlandese pure lui, che ha fatto anche il record del mondo! Il nostro Beppe Cindolo ultimo nella batteria, vabbè. I 3.000 siepi poi sono bellissimi: i corridori ogni giro devono a parte saltare degli ostacoli, ma pure scavalcare una sbarra che dietro c’è una buca piena d’acqua! Ci mettono i piedi dentro, si bagnano tutti, poi escono fuori e riprendono a correre lasciando tutte le impronte: Giochi senza frontiere, quasi. Ha vinto Keino, keniano e dove sennò? Io tifavo Franco Fava, baffone piccoletto, ma è uscito in semifinale. Il salto triplo sto provando a capirlo, ma non è facile; ha vinto Saneev, URSS, che stava anche come personaggio nelle storie di Topolino sulle Olimpiadi però col nome cambiato, come fanno sempre, in “Sanaief”. E i 400 ostacoli, bellissimi, ha vinto John Akii-Bua – che bel nome – col record incredibile di 47”82, e sono tutti impazziti perché “è sceso sotto il muro dei 48 secondi!”; e io provo a immaginarmi questo muro, però non ci riesco. I 100 femminili sono andati alla Stecher, DDR, col record del mondo, e la nostra Cecilia Molinari è uscita subito. Però la Stecher non mi piace tanto; invece mi piace la Rosendhal che ha vinto il salto in lungo pure se c’ha gli occhiali, tedesca ovest, e ha battuto la bulgara di un solo centimetro! Salto in alto, c’era la nostra giovane Sara Simeoni che ha pure fatto il record italiano, 1.85, ma non è bastato: solo sesta; ha vinto la giovanissima Ulrike Meyfart tedesca ovest, col nuovo record del mondo di 1.92: a 16 anni, e saltando all’indietro “a fosbury”! Seconda la favoritissima Blagoeva che salta “ventrale”. Poi c’è stata quella tragedia brutta che ho detto. E dopo, altre gare importanti. I 200 femminili, che ha rivinto la Stecher, record del mondo, e i 1.500 femminili, che tutti tifavamo Paola Pigni che ha avuto pure un figlio l’anno scorso, e si è impegnata al massimo sul rettilineo d’arrivo però meglio di terza non è arrivata, a soli 2 centesimi di secondo dalla seconda: incredibile! Ha vinto la Bragina, sovietica, che è una che ha fatto il record del mondo in batteria, poi l’ha migliorato in semifinale, e dopo l’ha rimigliorato di tanto in finale: per dire. Sulla classifica scritta in televisione Paola Pigni si chiama “Cacchi”, che è il cognome del marito. Brutto, ‘sto nome, tra l’altro. E tra i maschi, i 110 ostacoli con tre americani ai primi quattro posti, e in mezzo il francese Guy Drut, riccio simpatico, secondo; i 1.500, che io stavo con Franco Arese, il secco lungagnone nostro, ma è uscito in semifinale, e ha vinto un altro finlandese, Vasala, e secondo Keino quello dei 3.000 siepi; i 5.000, che Viren ha vinto pure questi così ha fatto il bis “come Zatopek, il cecoslovacco, nel ’52 a Helsinki”, ha detto papà, “ma Zatopek vinse pure la maratona!” - E ti ricordi, Mimmo’, che la moglie Dana vinse il giavellotto lo stesso giorno? E poi l’abbiamo rivista a Roma! - E come no! Ma la maratona quest’anno l’ha vinta un altro, non Viren: un americano, Shorter; ma a vederla in televisione non è tanto entusiasmante, troppo lunga. E la maratona, con le staffette 4x100 e 4x400, uomini e donne, sono state le ultime gare di atletica leggera. Le staffette, divertentissime, le hanno vinte i maschi gli USA, record del mondo, e il Kenya, incredibile – con l’Italia ultima in finale della 4x100, ma almeno c’è arrivata, grazie a Mennea; e le femmine la Germania Ovest, record del mondo, e ho rivisto la mia Rosendhal, e Germania Est, record del mondo. Che belle le Olimpiadi! E adesso conosco bene anche gli inni nazionali dei Paesi che vincono di più, che quando vince un atleta alla premiazione si sente l’inno mentre sale la bandiera del Paese; più di tutti mi piacciono quello francese, quello americano, quello russo, quello tedesco Est, quello inglese e quello tedesco Ovest. Fratelli d’Italia così così, e poi praticamente l’ho sentito solo una volta con Dibiasi. Ma già lo conoscevo benissimo, ovviamente. Ancora tre cose, che poi c’è pure altro da raccontare qui. Primo: l’Italia ha vinto nella scherma, con un’atleta che si chiama Antonella Ragno e la scherma è divertente da vedere basta che non si fanno male, che questo mica è il cinema di Zorro e D’Artagnan! Secondo: abbiamo vinto anche coi cavalli, il torneo in cui devono saltare ostacoli e barriere tutte dentro un campo come quello del pallone; ha vinto un cavallo bellissimo che si chiama Ambassador: ha il colore che cambia man mano dal naso alla coda, inizia grigio chiaro e finisce grigio scuro però coi puntini grigio chiari su tutto il sedere, e coda e criniera sono bianchissime! Terza e ultima cosa: la pallacanestro. Noi siamo andati benissimo fino alle semifinali, però poi abbiamo incontrato gli USA e quelli si sa che sono i più forti del mondo: hanno vinto la medaglia d’oro in tutte le Olimpiadi dall’inizio! Ma la cosa importante è successa in finale: USA contro URSS. Ora, né io né papà, e neppure i telecronisti, siamo riusciti a capire niente di quello che è successo negli ultimi 3 secondi della partita. So solo che anziché 3 secondi, sono passati dieci minuti che nessuno giocava, tutti stavano addosso agli arbitri, gli arbitri stavano addosso ai giudici, i giudici correvano appresso agli allenatori, gli allenatori parlavano coi dirigenti in mezzo al pubblico, il pubblico era impazzito, come il tabellone dei punti e come la sirena che nel basket funziona come il fischietto dell’arbitro a pallone. Morale: ha vinto l’Unione Sovietica di un punto, e gli Stati Uniti si volevamo ammazzare per protesta! Che belle le Olimpiadi! Non vedo l’ora che arrivano le prossime: a Montreal, in Canada, tra quattro anni! Oggi è il 14 settembre 1972, mi sa che non l’avevo ancora scritto. |