Fu quella mattina che vedemmo uscire da un portone la prima persona che indossava una tuta anti-contagio integrale, con le calzature, i guanti, la calottina e la maschera per gli occhi; tutto in una tinta verde erba brillante, del quadrifoglio lucido di rugiada.
Aveva una ventiquattrore da professionista; un notaio, forse, o un avvocato, un dirigente di banca, d'azienda, un ingegnere, un architetto, un cattedratico, un alto magistrato, un medico importante, un broker di rango, un investitore, un politico, un direttore di testata... chissà. Camminava deciso e a proprio agio lungo il sottile marciapiede della stradina in centro dominata dalla residenza storica da cui era uscito, nel sole della mattina bella di metà marzo; arrivò all'angolo, svoltò e non lo vedemmo più. Dissi a Giovanni: - Stiamo messi così male? E lui: - Ma no! È che di ricchi strambi ce n'è, e questa è la loro zona a Roma. - E quella borsa? Non rende tutto ancora più drammatico? - Drammatico sei tu, Lorenzo! Lì dentro avrà magari delle bellissime décolleté da mettere a destinazione, quando sarà passata così com'è, borsa compresa, attraverso il box decontaminante che avrà installato dove lavora, e si metterà comoda! - Cioè? - Cioè è una donna! E te ne saresti accorto se solo avessi occhi anche per altro che non siano le grandi proposizioni analitiche o metafisiche. Andiamo a prenderci un signor caffè da uno dei pochi coraggiosi aperti! Ma al gran caffè non arrivammo mai: ogni vicolo immissario della piazzetta era già bloccato e presidiato militarmente, e al di là delle transenne ciò che vedevamo era un via vai di lettighe speciali tra il palazzo antico e tre o quattro ambulanze speciali anch'esse, come quelle con cui ormai la gente aveva dimestichezza prima dalla televisione e poi direttamente, per prassi quasi quotidiana in città e paesi. Ci allontanammo. E anche Giovanni ora aveva cambiato umore. Disse: - E' incredibile. Appena l'estate scorsa io ho battuto queste vie, si può dire tutto il centro di Roma, per scrivere L'eterno presente. Quanto sembra adesso tutto irreparabilmente passato, invece. Mah! Sentii allora, dopo aver salutato il mio vecchio amico che se ne andava per i fatti suoi, il bisogno fisico, non metafisico, di ricapitolare mentalmente ciò che era accaduto: quel che avrebbe segnato l'anno 2020 sui libri di Storia a venire. Forse. Mi accoccolai sui gradini della piccola fontana davanti al Pantheon, chiuso ovviamente, nella piazza pressoché deserta, e mi accesi una stupida sigaretta.
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Queste sono notizie dall’aggiornamento delle ore 16 di oggi, giovedì 27 febbraio, sul sito di Repubblica (rilevo en passant che avendo Repubblica già sposato da ieri, l’avrete notato dalla totale assenza di enfasi sul 13° e 14° deceduto in Italia, la richiesta governativa di abbassare ove possibile i toni, tali notizie sono semmai limate per difetto, non certo arrotondate per eccesso, e quindi la realtà dei fatti potrebbe addirittura esser peggiore).
Ma eccole, sulla diffusione del contagio in Europa e dintorni. Primi casi in Danimarca: un impiegato della tv pubblica TV2 rientrato il 24 febbraio dall'Italia dove era stato a sciare con la famiglia in Lombardia. Romania: qui si tratta di un uomo che aveva ricevuto una visita da un italiano la scorsa settimana. In Svizzera i casi confermati salgono a quattro: l'ultimo è un informatico di 28 anni residente a Ginevra, da poco tornato da Milano. In Spagna secondo caso di contagio nella regione di Valencia, che porta il totale in tutto il Paese a quattordici casi confermati: il paziente è un uomo che il 19 febbraio scorso si era recato a Milano insieme ad altri tifosi del Valencia per assistere alla partita di Champions League contro l'Atalanta. Oggi il primo caso di coronavirus in Israele: si tratta di un uomo rientrato dall'Italia quattro giorni fa. Regno Unito: altre due persone sono risultate positive al test da coronavirus, portando il totale dei contagiati nel Paese a quindici, entrambi i pazienti sono ricoverati in Inghilterra, a Liverpool e a Londra, ed entrambi devono il contagio a fonti italiane, uno arriva infatti da Tenerife, dove un albergo è in quarantena dopo che il virus è stato individuato in quattro turisti italiani, l'altro era "passato per l'Italia": lo ha precisato il chief medical officer. Ora, a meno di voler credere che tutti questi Paesi si siano accordati per additare ingiustamente l’Italia e gli italiani come fonte e veicolo di questa brutta epidemia, è evidente che l’influenza ha sul territorio italiano una viralità estrema anche se, per fortuna, una bassissima letalità. In pratica, sempre se non vogliamo immaginare che tutti questi passaggi in Italia da parte degli stranieri prevedessero contatti minimamente intimi con locali già infetti, sembra basti davvero niente per prendersi il coronavirus dalle nostre parti. Ma se ciò vale per gli stranieri di passaggio, allora vale anche per noi, ovviamente, e anzi di più – visto che meramente di passaggio invece noi non siamo. Pertanto, a dispetto di ogni disposizione di salute pubblica (restrizioni di movimento, igienizzazione di spazi, riduzione anche involontaria – inconscia, automatica – dei contatti di prossimità tra estranei…), io mi aspetto un aumento ancora notevolissimo nel numero dei contagiati italiani. E proporzionalmente, purtroppo, di quello di chi non la supererà. Ma se lo aspettano, di sicuro, anche le istituzioni variamente titolari di un ruolo sulla scena, se è vero che hanno annunciato (e già applicano) un’inversione nelle logiche dell'informazione pubblica e perfino della prevenzione diffusa: tamponi solo ai casi sintomatici (ma allora a che serve?), conteggio solo dei ricoverati (non di tutti i contagiati), meno storytelling sui morti, tanto rilievo alle guarigioni. Ed è comprensibile: il sistema-Paese, per motivi anche validi, teme più ancora che un’epidemia patologica (purché essa non si trasformi in una carneficina) la desertificazione economica (che invece è sepoltura certa degli operatori economici in massa). Al che però io mi domando, e vi domando: posto che gli operatori economici sono in effetti moltissimi (con differenze enormi tra l’uno e l’altro, beninteso), ma che persone in carne ed ossa siamo tutti quanti per definizione, allora il livello accettabile di rischio (per citare una bella analisi che ho letto di recente su altro argomento) da fissarsi in questa occorrenza nazionale tanto critica, e in base al quale si decida poi la concreta dialettica tra rigidità e flessibilità nelle precauzioni e nelle comunicazioni (il "ritorno alla normalità" già auspicato apertamente), non dovrebbe essere – non dico discusso tra 60.000.000 di teste pensanti, ma almeno – esplicitato e motivato pubblicamente da chi esercita il potere di determinarlo? Non si fa così, mediante il consenso informato, quando un adulto deve accettare (o meno) un trattamento medico-sanitario (non obbligatorio)? Clemenceau diceva “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali”; allora forse questa crisi senza precedenti è una cosa la cui gestione è troppo seria per lasciarla (solo) alle istituzioni formali. Sì, perfino in un sistema come il nostro che ormai di socialdemocratico non ha quasi più nulla (con tutta la buona volontà di Padri e Madri Costituenti, e pur con la bellissima stagione riformatrice dei lontani Anni ’60 e ’70) e che è da tempo tutto votato al neoliberista profitto privato, di clan, di classe. Altrimenti diremo, parafrasando ora von Clausevitz, che le morti che patiremo dal virus non saranno state che "la continuazione dell’affarismo con altri mezzi". E alla fine resta sempre da capire com'è possibile che, irrintracciabile il paziente zero, in Italia si siano concentrate quantità e qualità tanto devastanti di quel maledetto virus da renderne la trasmissione di una semplicità terrificante. Fantastico. Ora Conte (“Sarò l’avvocato degli italiani!” disse, ricordate?, quando fu pescato dal mazzo per fare il premier del governo grillini/legaioli al guinzaglio di Di Maio e Salvini) ebbene tuona che gli altri Stati non devono permettersi di limitare la libertà di spostamento dei cittadini italiani a spasso per il Mondo.
Bene. Spiegarlo allora, però, ai cittadini eritrei, etiopi, somali, nigeriani, senegalesi, maliani, siriani, curdi, afgani eccetera cui invece l’Italia, oh altroché!, ha posto e pone ostacoli di ogni sorta mentre si muovono non per altro che per salvarsi letteralmente la pelle! E quest’altra perla? “In questi giorni in Italia si è esagerato con la prova tampone!” (sempre Conte che parla, e io ho ancora l’impressione che somigli vagamente a come parlo io quando ho bevuto). Cioè a dire che se sappiamo di avere tanti contagiati, più di tutti al Mondo tranne la Corea del Sud (Cina a parte), ebbene vi faremo fronte… facendo meno controlli! Eccerto. Come se in caso di diffusa guida in stato di ebbrezza (appunto!) il provvedimento migliore fosse diminuire i test col palloncino! La Corea del Sud ha quasi 800 contagiati e mi pare otto o nove decessi finora, l’Italia ne ha un po’ più di 300 ma ha già undici morti il che ne fa il primo Paese al Mondo (tra quelli con dati certi) per deceduti, sempre Cina esclusa. Quindi, a meno che si voglia dire quantisticamente che l’esperimento del tampone interviene sul fenomeno fisico delle morti misurate, io se sento ancora la stronzata che è perché noi li cerchiamo, i contagiati, mentre gli altri non lo fanno, che ci capita questa sciagura, allora metto mano alla fialetta! Comunque a me questa cosa che a ogni nuovo morto il tam tam si sbriga ad aggiungere che (tanto) era vecchio e malconcio, mi fa senso. Sì, sarà anche vero, e sì, sarà anche utile a dimensionare correttamente i fatti in corso, però mi fa senso uguale. Specie il sollievo generalizzato che l’aggiunta repentina suscita, anzi la previsione del sistema che il sollievo così sarà suscitato. E’ una cosa che sta dalle parti di “i vecchi (e i bambini) subito alle docce”. Non so se mi sono spiegato. Vabbè. ...E qual è il motivo? Sono un italiano.
Ma un italiano non ha occhi? Un italiano non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di uno che non è italiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?... Eppure molti di noi italiani quante volte avranno (e anch'io magari) coi propri comportamenti e con le parole suscitato mortificazione, o indignazione addirittura, in chi per esser soltanto oggetto di una qualificabilità di esseri umani (gli africani, i cinesi, gli arabi, i balcanici, gli zingari, gli omosessuali... o gli ebrei, per tornare al Mercante di Venezia), peraltro del tutto insignificante quanto a informazioni sensibili (al contrario dei personali pregi/difetti onesto o disonesto, solidale o egoista, aperto o gretto, alacre o parassita, mite o violento, colto o ignorante, brillante o sciocco, e della dirimente collocazione ideologica fascista, razzista, sessista, fondamentalista, oscurantista, nazionalista, bellicista, e degli ancor più basilari dialleli socioeconomici ricco/povero e libero/schiavo), ebbene si è visto associato a una colpa che gli era del tutto estranea come individuo concreto, e per essa proprio da noi additato, deriso, escluso, pregiudicato, ghettizzato, perseguitato, martoriato? Ci trattano ora come appestati, e ciò ci fa tremare di rabbia. È giusto che reagiamo, dicendo che questo è il principio stesso della disumanità! Purché però facciamo tesoro della sensazione orrenda che si prova a stare dall'altra parte della linea, fittizia e malvagia, tra il noi e il loro, come forse non ci succedeva da quando gli italiani, tutti, venivano associati in blocco all’epiteto di fuorilegge a causa dei criminali di qui emigrati all’estero e ivi creatori di attività e cosche illegali. Sensazione che in un secolo abbiamo evidentemente dimenticato, viste anche le discriminazioni in uso tra noi stessi a cominciare da quella settentrione/meridione, per non parlare dell'obbrobriosa questione atavica uomini/donne. Ma dobbiamo invece ricordarlo sempre. Giacché infatti, e chiudo ancora maltrattando Shakespeare, l'unico problema che abbia senso è essere o non essere, umani. "Aggiorna protezione anti-virus"
Ma mi prendi per il culo? La prima cosa buona dell’epidemia: Le Iene e Barbara D’Urso in studio senza pubblico! La seconda sarà se le trasmissioni salteranno per mancanza di conduttori. Romania, Austria, Francia e le Mauritius non ci fanno più entrare. Chi di porti chiusi ferisce… Ordine del giorno riservato tra la provincia di Massa Carrara e quella di Pesaro Urbino: "Ma la vogliamo rialzare la Linea Gotica?" In Veneto chiuse tutte le chiese! - ...Purché no ghe chiuda anca i bar! Il Coni sta pensando di organizzare alla svelta mondiali in tutte le discipline. Vuoi vedere che così qualche medaglia la pigliamo? - Amore, vieni qui… - Ma… ti sembra prudente? - Mi sa che hai ragione. Mandiamoci tante labbrucce wozzap sdraiati uno affianco all’altra! L'intelligenza artificiale ha scoperto nuovi asteroidi in rotta di collisione con la Terra, con impatto non prima di 111 anni da oggi. - Meno male, credevo di dovermi estinguere per il coronavirus, il riscaldamento globale e la guerra tra Paesi sovranisti. Il Papa ad ogni buon conto fa sostituire le belle alabarde delle Guardie Svizzere con i più efficienti AK47. Imbracciatura disegno Missoni. Nessuna limitazione, invece, all'ingresso di italiani in Svizzera. Pecunia non dat contagionem. Entrate, depositate e andate a morire dove vi pare. Rinviato sine die il processo Ruby-ter. L'avevano detto i legali a Berlusconi: "Qua se salta la prescrizione qualcosa bisogna inventarsi!" "Ghe pensi mi! ...Vladimiruccio, giocate sempre con le fialette voi?" In Lombardia chiusi cinema e teatri, università, scuole e pure la Scala. Leghisti e meloniani chiedono in massa a Siri, Cortana e Alexa di cosa si stia parlando. I grossisti di Amuchina sono ladri? Ma lo sapete a quanto è schizzata un'inserzione TV durante la diretta diRaiNews24? Ma quali mari esotici? Per questa estate un sicurissimo b&b a Focene, con ombrellone e sdraio a Coccia De Morto e barcone ogni mezzogiorno per la secca davanti alla Fiumara. Prenota subito, eviterai la fila! Ma la verità vera è che in Italia siamo tutti dei gran pomicioni. Il dipinto murale in un quartiere popolare è per sua natura un grido identitario, un'istanza di resistenza e protesta e/o una traccia di speranza, di sogno, un vettore risultante di linee di forza che dalle finestre di case dimesse, da campetti spelacchiati dove giocano ragazzini e cani, siedono anziani e disoccupati discutono, punta verso un possibile riscatto comunque alternativo, anticonformista se non antagonista. Questo in tutto il mondo, i murales: dal Bogside di Derry ad Harlem, dalle favelas di Sao Paulo a Gaza a Tor Marancia, a ovunque da sempre.
Ma poco fa al Trullo, Roma, ho visto un murale della faccia di Chiara Ferragni. È finita, almeno qui. E ce lo meritiamo. Non ci estingueremo. Benché lo meritiamo, ripeto. Però forse svuoteremo di qualche linea il cono del futuro. Ai tempi della Peste Nera per esempio, dopo Giotto e i primi discepoli suoi, i Gaddi i Daddi i Lorenzetti, dovemmo aspettare un secolo prima che si riformasse l'humus statistico perché sorgessero eccellenze nuove, i Masaccio i Donatello i Ghiberti i Brunelleschi gli Alberti, e da lì dritti fino al Rinascimento maturo, con quel secoletto appunto di ritardo causa pandemia. Adesso, coronavirus imperante, quali linee di futuro ci perdiamo? Un po' di tronisti e di veline, un po’ di livorosi parolai, di prodotti in serie osannati come talenti, di tantissima fuffa spacciata per pensiero. Non male: tarderemo così di un secolo l'avvento del Rintombamento. “Chiudere. Blindare. Espellere. Serrarci dentro.” Questi non vedevano l’ora. L’epidemia gli sta facendo il più gran favore. Se qualcuno tempo fa gli avesse chiesto: “Ma dopo l’emergenza migrazioni, che avete suscitato e sfruttato, dopo quella criminalità / legittima difesa, idem, quale regalo vorreste per far diventare gli italiani ancora più diffidenti e rancorosi, e quindi manovrabili?”, pensandoci un po’ avrebbero risposto: “Be’, un bel virus! Ma sarebbe pura fortuna, quello mica possiamo inventarcelo!” Ah, quasi dimenticavo. Il primato degli Italiani. I primi a isolare il patogeno? Falso. Il Paese che non confina con la Cina che ha più contagiati. Vero. Il governo ha appena approvato un decreto d'urgenza che dà poteri speciali al ministro dello sport e a quello della scuola: potranno impedire manifestazioni agonistiche e gite scolastiche rispettivamente. Poi si decreta che i comuni (o il ministro degli interni) potranno impedire l'uscita delle persone dal confine del dato territorio a rischio. Forse con le mura medievali, fossati e i ponti levatoi? Col filo spinato, le torrette armate e i cavalli di frisia? Ma, dico, si sospende la Costituzione ogni inverno quando con l'influenza ordinaria si contagiano a milioni e muoiono di media in cinquecento? Comunque l'irrompere di ipereventi come questo in corso (o la Grande Crisi del 2008, l'11.IX, il Crollo del Muro...) ha di buono soltanto che dimostra impietosamente che l'astrologia e ogni altra pretesa predittiva non razionale sono stronzate. In particolare se l'iperevento ha natura sanitaria, come questo, dimostra altresì che sono puttanate l'omeopatia e ogni altra pretesa curativa non scientifica. Ma per tutto il resto mi aspetto il peggio, dall'uomo egoista, superficiale e gretto così come il sistema se l'è andato modellando negli ultimi decenni di involuzione antropologica per i propri fini di profitto e controllo. Infine, con tutto che tra Cina e Russia esiste una linea di contatto ininterrotta di oltre 4.100km, che se fosse un fiume sarebbe il 12° al mondo per lunghezza (dopo il Niger), in tutta la Russia sterminata abitata da 150 milioni di anime si contano solo 3 (tre!) contagi: una coppia di cinesi, tra l'altro, e un passeggero della Diamond famigerata. Ma russi che stessero in Russia al momento zero della pandemia, niente! O è culo, o hanno una sanità d'acciaio, oppure. E tra Cina e Mongolia, tradizionale stato filorusso cuscinetto tra Cremlino e Pechino, il confine corre addirittura per quasi 4.800km (sarebbe l'8° tra i fiumi, dopo il Mekong) e purtuttavia dei 3 milioni di abitanti mongoli i contagiati sono al momento zero! O è culo, o idem, oppure (con la differenza notevole che la Mongolia non ha né la tecnologia scientifica né interessi geopolitici tali da). ...Ma non è che a Codogno, per caso, è stata trovata una fialetta con scritte in cirillico? Betelgeuse sta perdendo colore, sbiadendo verso il giallo; e sta cambiando forma, rimpicciolendosi. Da un anno, almeno; davanti ai nostri occhi (e strumenti).
Una stella così grande che se fosse al posto del nostro Sole il suo volume ingloberebbe le orbite di Mercurio, Venere, Terra, Marte, degli asteroidi della fascia omonima e di Giove; una stella così luminosa da essere tra i dieci oggetti più brillanti del cielo notturno, Luna e pianeti esclusi; quella stella che dall'inizio della Civiltà umana, da quando l'uomo guarda il firmamento, occupa il vertice in alto a sinistra della figura detta Orione, di cui quello in basso a destra è Rigel e i tre astri allineati al centro sono la celebre Cintura – ebbene questo colosso tra le stelle imperturbabili (‘fisse’ si diceva un tempo) forse sta morendo. Ora. Ossia seicentocinquanta anni fa; giacché infatti Betelgeuse è a circa 650 anni luce di distanza da qui, e perciò ogni segnale luminoso, elettromagnetico, radioattivo che emette impiega almeno seicentocinquanta anni per raggiungerci – per esistere semplicemente alla nostra coscienza. Ma una supergigante rossa, così com’è rubricata Betelgeuse (tra le varie tipologie di stelle: rosse, azzurre, gialle, bianche... giganti, nane, pulsar, buchi neri...), non muore in un flebile gemito, come invece accade al desolato mondo di Eliot, bensì in un'apocalisse: un'esplosione di supernova capace di brillare, per l'istante in cui deflagra, quanto la somma di ogni punto di luce della Via Lattea, e tracimare poi per eoni gli elementi di cui era composta, sintetizzati nella fornace nucleare che di fatto è ogni astro acceso, verso tutto il circondario infragalattico: saranno quegli elementi a finire nei sistemi in formazione, nei pianeti giovani ancora in fusione, negli agglomerati molecolari che forse diventeranno vita. In questo senso proprio siamo 'figli delle stelle'. La statistica astronomica dice che nella nostra galassia possono verificarsi due supernovae per secolo, ma solo da quelle entro un raggio di 3.000 anni luce possiamo aspettarci conseguenze materiali; e Betelgeuse è ben all'interno di tale confine. Se dunque ciò che osserviamo da un anno è davvero la sua agonia, non passerà molto che vedremo un lampo incalcolabile nel cielo: un bagliore pari a un quarto di Luna, campeggiare giorno e notte per settimane nel firmamento; la ‘Mano del Gigante’ – questo vuol dire il suo nome nella lingua di chi glielo diede, ossia gli Arabi esploratori e catalogatori del cosmo per tutto il nostro Medioevo – a quel punto sarà aperta come mai prima per i milioni di anni della sua esistenza, breve rispetto alla vita di una nana gialla come il Sole che di anni ne ha già cinque miliardi ed è solo a metà corsa. Da quando contempliamo anche con attitudine razionale ciò che ci mostra il cielo, soltanto cinque supernovae vi sono apparse (la citata media statistica tiene conto ovviamente di tutta la Via Lattea, della quale però noi da qui non potevamo vedere – prima dell’astronomia moderna – che una minima porzione): nel 185 d.C. (esplosa a 3.300 anni luce dal Sole), nel 1006, la più brillante (a 7.200 anni luce), nel 1054, la più famosa (a 6.500 anni luce) per aver generato la Nebulosa del Granchio tuttora là nella volta celeste, nel 1572 (a 9.000 anni luce), osservata dal grande Tycho Brahe, e nel 1604 (a 20.000 anni luce da qui), osservata da Keplero addirittura. Non produssero, quelle deflagrazioni siderali, effetti rilevanti sul nostro pianeta per la combinazione tra potenze e distanze rispettive; ma sappiamo dalla geologia che non sempre è andata così. Per esempio circa quattocentocinquanta milioni di anni fa una supernova, abbastanza forte e vicina insieme, inondò la Terra di raggi gamma al punto da causare l’estinzione del 60% delle forme di vita allora al mondo! Finì un periodo, l’Ordoviciano, e ne iniziò un altro, il Siluriano, e il pianeta ce ne dà da leggere il trapasso come su un libro le cui pagine sono gli strati della sua pelle, la chimica, i fossili. E se Betelgeuse stesse davvero per esplodere? Vedremmo il bagliore incomparabile di un cataclisma vecchio di seicentocinquant’anni, poiché tanto impiegano i fotoni a compiere quel viaggio – abbiamo detto. Ma poi? Una supernova genera in ogni direzione un uragano di particelle, un ‘vento solare’ che soffia alla velocità folle di 30.000 km/s: un decimo di quella della luce stessa! E dunque qualsiasi cosa ci debba arrivare dallo schiaffo inaudito della Mano del Gigante, oltre al suo lampo terminale, impiegherà un tempo pari a dieci volte quello occorso ai fotoni: seimilacinquecento anni in tutto, dei quali però i primi seicentocinquanta dall’esplosione son già trascorsi al momento in cui noi la registriamo. Quindi: tra cinquemilaottocentocinquanta anni da adesso – se è adesso che il colosso sta morendo – quell’uragano apocalittico colpirà la Terra (e tutto il Sistema Solare, ovviamente). Sarebbe impossibile pronunciarsi ora sui suoi effetti nel dettaglio: dipenderà, semmai, da una quantità di fattori, primi tra i quali la natura dei materiali sparati dalla stella (silicio, zolfo, cloro, argon, potassio, calcio, scandio, titanio, vanadio, cromo, manganese, ferro, cobalto, nichel... e in che proporzioni) e la presenza o meno (e in quali quantità) di radiazioni attive ad alta e altissima energia (come i gamma, appunto), e inoltre da cosa ha incontrato quel vento, quali regioni galattiche ha attraversato, con che ha interagito, cosa lo ha ostacolato eventualmente, prima di bussare come un ariete al limite esterno del nostro Sistema. Comunque, quando il soffio ardente della supernova che fu Betelgeuse avrà incrociato l’orbita di Nettuno, il pianeta solare più lontano dalla nostra stella, non gli ci vorranno più di quattro ore per investire la Terra. Tra cinquemilaottocentocinquanta anni, ripeto – sempre se le convulsioni osservate nel colosso sono effettivamente l’inizio della sua fine. E la morale è questa, ma è una morale poetica (o forse po-etica e quindi politica, a suo modo) anziché scientifica. La Civiltà umana – se intendiamo il termine, classicamente, come l’epoca in cui la nostra specie lascia traccia scritta, sintattica, delle proprie storie – sorge quasi in simultanea nelle valli di grandi fiumi distanti tra loro (il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, l’Indo, il Fiume Azzurro e il Fiume Giallo), poco prima della metà del IV millennio a.C.; cioè all’incirca tanto tempo fa quanto ne mancherebbe alla tempesta (forse) in arrivo dallo spazio profondo. E’ un puro caso, ovviamente. Però io chiudo gli occhi e immagino (evocando memorie, anche), che se giungesse a breve la conferma che Betelgeuse è esplosa, ed è esplosa secoli fa, e che l’eruzione di materia ed energia che ne deriva niente e nessuno potrà impedire che travolga entro qualche millennio anche il sasso su cui abitiamo – ebbene immagino (mi conforta immaginare) che l’Umanità, resa edotta del fato a venire, dica allora a sé stessa qualcosa come ciò che segue: “Ecco, noi siamo la Civiltà; abbiamo oggi sei millenni di vita alle spalle. Li abbiamo impiegati per crescere in numero e in potenza, di fatto e di sapere. Li abbiamo tuttavia usati anche per scannarci tra noi umani in tanti modi orrendi, e per schiavizzare brutalmente ogni altra specie senziente, e infine per minare lo stesso pianeta Terra, ossia la sua abitabilità per noi e per gran parte degli altri viventi. Il nostro progresso di conoscenza ci porta a dire, oggi, che è successo qualcosa nello spazio remoto che impatterà qui, inevitabilmente, fra altri sei millenni da ora; e questo impatto non potrà non avere conseguenze epocali, globali, immani – un evento di livello estintivo, forse, per la nostra specie o addirittura per la vita in sé. Ecco, noi oggi – consci di tutto ciò che è accaduto, che abbiamo fatto accadere da quando sparuti incidemmo le prime lettere su tavolette d’argilla ad ora che intercomunichiamo alla velocità del pensiero, i miliardi d’anime che siamo diventati – noi allora facciamo un patto, tra tutti e tutte e con le generazioni che verranno una dopo l’altra, nazione dopo nazione, popolo dopo popolo, secolo dopo secolo: che tutta la nostra potenza, tutto il nostro sapere, tutta la nostra intelligenza, tutta la nostra organizzazione, siano da questo momento e per tutto il tempo che sarà necessario indirizzati alla creazione delle condizioni perché possiamo sopravvivere noi, possano le altre specie e possa la vità in sé, all’appuntamento che sappiamo, solo noi in virtù del nostro sviluppo, la Terra avere col destino tra un numero di millenni pari a quelli trascorsi in quanto Civiltà noi stessi; che sia quella luce nuova nel cielo, incessante, la firma di questo patto solenne e inscindibile; e che la nebulosa che prenderà il suo posto nella cupola della notte, tra un mese e per sempre, sia il promemoria per i figli dei figli dei figli dei nostri figli: la chiameremo Nebulosa del Vero Inizio. Sia questo il retaggio della nostra famiglia planetaria, che ora, tardivamente, scopriamo esser tale; questo il senso finale del nostro progresso, se ve n’è uno; questo il balsamo alle tante ferite subite; questa l’espiazione delle troppe torture inflitte. Ci si dà un’occasione – terrificante – per essere umani nel senso più alto che i nostri spiriti maggiori intuirono e vissero, esortandoci tutti invano: non la sciupiamo. Il tempo non è molto, sì, ma adesso cambia tutto. Al lavoro! E, a suo modo, all'amore.” Se così fosse, e se è questo che diremo e soprattutto faremo, allora la Mano del Gigante si sarà trasformata nell’ala di un angelo. Stiamo a vedere; il cielo, come sempre. Questo che segue è un raccontino scritto da mio padre Vinicio all’età di 76 anni e ½, nel quale egli tratteggia l’impressione di esser diventato padre (appunto) – la prima volta all’età di 30 anni, la seconda a 37e½ di mio fratello Giorgio – al fianco di mia madre Enrica (che diventò mamma a 24 anni e ½ e poi ancora a quasi 32).
Lo ri-pubblico qui, oggi che di anni ne compio 56 – io mai papà, se non come genitore-gatto di quattro incantati gatti-figli (Nina, Il Gricio, Billie e Karl) insieme a Valentina, 45 e ½, mia moglie da 9 anni e ½. E dopo il suo racconto metterò un pezzo mio, che qualcuno avrà già letto per averlo io scritto e pubblicato di questi tempi l’anno scorso, sull’anno più fico della mia vita. Sempre perché oggi è giusto il mio compleanno. Enjoy! PIEZZ’E CORE Sono padre di due meravigliosi figli che nel tempo mi hanno completamente modificato, in meglio certamente, il carattere. La nascita del primo, avvenuta ventisei mesi dopo il matrimonio, è stata portatrice di sensazioni diverse: gioie enormi e preoccupazioni altrettanto grandi. Da giovane scapestrato sono divenuto improvvisamente (ma si è mai preparati?) un responsabile capo famiglia. Però andiamo con ordine. Già di per sé la gravidanza di mia moglie ha suscitato in me uno stato di tensione forse maggiore che per Enrica stessa. Lei, benché giovane, sentiva sì la responsabilità dell'evento ma forse anche, perché donna, l'assolvimento di un preciso richiamo della natura. E ciò la rendeva oltremodo felice. Io ero contento, però sempre teso: nei rapporti intimi pensavo di poter far male al nascituro; nell'attività quotidiana mi preoccupavo che la mia giovane metà si sforzasse più del dovuto, e probabilmente esageravo troppo nelle osservazioni (rompevo, diciamo il vero); dal punto di vista economico continuavo a far conti affinché quadrassero con le necessità familiari... Fondamentalmente ero felice di quel che tra pochi mesi sarebbe successo ma, ripeto, impreparato (nonostante i consigli di mia madre; papà l'avevo perso già da sette anni). ...Perché non esiste una scuola per futuri padri? Al momento del parto, avvenuto dopo alcuni giorni di ritardo, subii un trauma vedendo la sofferenza di mia moglie per le doglie. Finalmente è nato!!! Era un fagottino di quasi tre chili, pieno di capelli (ora è quasi pelato) e con due splendidi occhi aperti come a voler già conoscere il mondo che lo circondava. Mi sembrava un miracolo vedere mia moglie stanca ma sorridente col pupattolo in braccio. Lo abbiamo chiamato Paolo, perché io da piccolo, giocando con mio fratello ai soldatini, davo nomi di fantasia ai nostri eroi: Paolo Manenti e Giorgio Gorilli. Il nostro secondogenito infatti si chiama Giorgio, ma anche in onore della clinica dove è nato: la San Giorgio. E sicuramente la sua nascita è stata per me meno traumatica, anche perché in quei giorni ero presidente di un seggio elettorale e quando la sera giunsi in clinica i giochi erano quasi fatti. Biondo (era) e, non perché mio figlio, molto bello e dolce (così è ancora). Mia moglie inoltre mi dava grande sicurezza, per cui ora mi sentivo maggiormente sereno. I due giovani sono molto diversi: il primo di carattere esuberante, sempre voglioso di approfondire ciò che lo circonda, forse troppo intraprendente; il secondo più riflessivo, metodico, più studioso e sicuramente amante delle cose tranquille. Nel tempo, nonostante sette anni di differenza, hanno acquisito notevoli affinità. Entrambi tendono all'affermazione della giustizia in favore degli oppressi, auspicano libertà e uguaglianza. Paolo forse più impegnato politicamente, ma entrambi pronti ad intervenire per i più deboli. Non sono condizionati dal dio denaro e non perseguono potentati. Amano lo sport attivo (non come me, mero spettatore), girano in bici recandosi anche all'estero; giocano a pallone, corrono e fanno ginnastica, impegnando in ciò anche le mogli. Tutti e due amano la musica e prima l'uno e poi l'altro hanno fatto parte di gruppi musicali: Giorgio ha partecipato a manifestazioni musicali a carattere nazionale e, benché insegni materie letterarie (è professore in scuola pubblica), nel 'tempo prolungato' insegna musica e canto ai suoi allievi, con successo e (è evidente) benefici effetti sulle nuove generazioni che va formando. E pensare che è autodidatta! Paolo, dal canto suo, con amici artisti organizza spesso una 'festa dei racconti' per attori e affabulatori. Enrica e io sosteniamo e partecipiamo alle attività di entrambi. Anche il grande è pubblico dipendente, funzionario coscienzioso. Tutti e due sono stati buoni studenti e si sono laureati con ottima votazione (il secondo ‘cum laude’ addirittura). Sono sposati e per ora non hanno figli. Chi vivrà vedrà. Che dire di più... Che sono felice, e dopo quasi cinquant'anni di matrimonio posso affermare che mi sento appagato della vita, grazie a loro e a una moglie meravigliosa. Unico piccolo rammarico è che, avendo acquisito tanta esperienza, ora non posso tornare, se non con la memoria, ai momenti irripetibili della nascita dei miei due 'piezz' e core'. L’ANNO PIU’ FICO DELLA MIA VITA In pillole, d’accordo. Però con ordine. Compio diciannove anni in graziadiddio. Sono bello e sano e forte e felice (la somma dei quattro addendi) come mai fui prima, non sono più stato né sarò ancora. Intelligente, colto e buono forse invece sì, più dopo che allora; ma trattasi di tre concetti talmente sfumati e opinabili che non mi ci giocherei la testa. Invece che sei bello e sano lo vedi, che sei forte e felice lo senti; e quelle quattro cose insieme, per un totale alto come a diciannove anni, furono e resteranno un unicum nella mia vita. Voglio bene a tutti e tutti mi vogliono bene. Nel senso concreto che ci sono ancora, tutti. Ci sono mio padre Vinicio e mia madre Enrica; mio padre quarantanove anni, un giovanotto rispetto a me adesso, e mia madre che ne farà quarantaquattro solo nell’ultimo quadrimestre dell’annata, e perciò è ancor più giovane della mia pur giovane moglie Valentina ora. C’è mio fratello Giorgio che va per i suoi stupendi dodici anni, è bellissimo buonissimo bravissimo, e già suona (quasi meglio di me, ma gli ci vorrà poco per superarmi e seminarmi). Ci sono tutte e due le nonne, Licia e Iolanda. Ci sono tutti i fratelli e le sorelle di papà e tutte le sorelle e il fratello di mamma. Ci sono tutti i miei cugini e le mie cugine. E ci sono anche tutti gli zii acquisiti; quasi: zio Guido e zia Maria, marito e moglie rispettivamente di zia Adriana e zio Werther, lato papà entrambi, non ci sono più, il primo da quattro e la seconda addirittura da dodici anni. Lei morì prima ancora di nonno Arnaldo, che non c’è dal 1977; l’altro nonno, Michele, non l’ho mai conosciuto di persona: morì che papà aveva ventidue anni appena. E ci sono tutte le mie amiche e quasi tutti i miei amici: Riccardo, con cui ho fatto i primi due anni di liceo, già non c’è più. Dunque nel mio animo l’assenza è assolutamente minoritaria rispetto alla presenza e vita. E questo conta assai, ora lo so. Sono fidanzato con Alessandra, da due anni (saranno tre a novembre). Stiamo bene insieme, benissimo. Pure le nostre famiglie si frequentano con piacere; e abbiamo mescolato anche le rispettive comitive iniziali. Voglio solo lei, pure fisicamente. La Roma vince lo scudetto, il suo secondo scudetto. Ma per me è il primo, visto che quello del 41/42 io l’ho sentito soltanto raccontare; e perfino per mio padre è un ricordo sfumato: aveva solo otto anni, e poi c’era la guerra. Però questo scudetto qui me lo vivo tutto. Compresa la corsa in decine di migliaia all’aeroporto di Ciampino per prendere la squadra neo-campione di ritorno da Genova (“Falcao ti amo!” gli strillo in faccia), compreso il primo storico concerto di Venditti al Circo Massimo dopo l’ultima ininfluente partita di campionato. Viene giusto un anno dopo i Mondiali vinti dall’Italia, questo scudetto della Roma, ed è un uno-due che darebbe le vertigini a una montagna. Ah, ho fatto la mia tradizionale settimana bianca con la scuola. All'Aprica, stavolta. Da studente dell'ultimo anno, con tutti gli altri sotto noi seniores. E giocando pure a scopone con Ferrauto, lui. Io, praticamente un re. Infatti mi diplomo, con un bel 58 nel liceo scientifico più tosto di Roma, e col miglior viatico nelle materie che mi piacciono di più: matematica, fisica, scienze, filosofia, storia, italiano. Sono stati cinque anni belli e importanti, e finiscono nel migliore dei modi. Alessandra è anche mia compagna di classe, e prende 58 pure lei: nessunissimo motivo di frizione, quindi – ho anche questa fortuna. E nessuna, ancora, delle delusioni che arriveranno con l’università (dopo un anno a Matematica, infruttuoso, dirotterò verso Scienze Politiche; e pure lì, ci metterò del bello e del buono a finire – mentre Alessandra si laurea a pieni voti già quattro anni dopo di allora, beata lei, e tempo altri due ci saremo lasciati; ma senza rancori). La politica verrà dopo. La band ancora dopo. Un po' di volontariato dopo ancora. Il teatro ancora dopo. Il cicloturismo dopo. Mostre, pinacoteche dopo ancora. Le seduzioni, le dipendenze, tutto dopo. I viaggi, le città d'arte, perfino la Grecia, solo dopo. Scrivere come respirare, dopo. Nonostante ciò, o forse proprio per ciò, tutto è così im-mediatamente fico. L’incontro fondamentale, Valentina amore mio, molto dopo. E gli adoratissimi mici – dopo, dopo, dopo e dopo. E anche timbrare il cartellino e guadagnarmi da vivere, ovviamente, soltanto dopo. Leggo tanto, specie nel secondo semestre per ovvi motivi. Eco e ancora Nietzsche, i Principia di Russell, il Tao Te Ching, Oscar Wilde e le Operette Morali, molta storiografia, qualche giallo, tanti fumetti... Il mio amico del cuore Massimiliano c’è, c’è dalla prima media addirittura, anche lui stessa classe pure al liceo, e stiamo insieme tanto e bene. Insieme sentiamo i Police, li seguiamo dal loro primo disco, concerti compresi, mentre io da solo sento i Genesis di una decina di anni prima. Infatti quando suono… cioè, provo a strimpellare la chitarra e pestare la tastiera, e diciamo così compongo… insomma mi ispiro al progressive rock che resterà sempre una delle mie zone musicali preferite (e di mio fratello, e dei cugini suoi coetanei, che ammetto di aver plagiato un po’: per loro fortuna). Un’altra zona è la musica classica, che divoro e memorizzo (da solo, però, e senza manco tentare il plagio). La musica che diciamo così comporrò poi, e anche adesso, è figlia proprio di queste tre cose: il prog (e il suo corrispettivo – stirando parecchio il concetto – nella cultura afroamericana: il jazz, che mi occuperà letteralmente i decenni successivi), la classica, e il non saper usare le mani e le dita (infatti userò poi, e uso, i programmi elettronici al computer). Gioco tanto a pallone, a calcio a 11 ancora, e già al calcetto che muove i primi passi su campi da tennis dismessi. Sono bravo, pare, e mi diverto tantissimo a giocare e a essere bravo. Tutti i miei amici del pallone di allora sono ancora i miei amici di oggi. Così come tutti i miei amici della musica di allora, ascoltata o suonata insieme, sono ancora i miei amici di oggi. (Quell’anno, pensavo ora, non mi capita mai di incontrare Roberta, la mia fidanzata della fine degli Anni ’70, compagna per tutti gli Anni ’90, amica-sorella per sempre; ma per fortuna ci rivedremo nella seconda metà degli Anni ’80 e torneremo così a frequentarci.) Ne ho persi, amici, dopo: morti da giovani uomini. Due in particolare, cui volevo tanto bene e che ammiravo tanto, Volfango e Alessandro. Non ci suonavo né ci giocavo a pallone, cionondimeno mi mancano. Fu ingiustissimo per loro, e per chi li amava. Butto giù i miei primi aforismi, le mie prime poesiole, i primi miniracconti, primi elzeviri, microsaggetti, e non sospetto neppure quanto poi mi sembreranno inadeguati, giacché lo sono; infatti mi gonfio il petto di creatività e divulgazione. Vado già tanto al cinema. Escono: l’ultimo della saga di Guerre Stellari, Il Ritorno dello Jedi (quello che credevamo fosse l’ultimo), Flashdance, Zelig, Il Grande Freddo, Una Poltrona per Due, Acqua e Sapone… e comincia la serie infinita di Vacanze di Natale e Sapore di Mare, che per fortuna non vedo né vedrò mai. Così come in TV non vedo né vedrò mai Drive In, Ok il Prezzo è Giusto, Premiatissima, Il Costanzo Show, Aboccaperta e Dinasty, che fanno furore (non li vedo, né li vedrò in futuro, perché sono sano e forte – dicevo appunto – e intelligente e colto). E’ là, comunque, si prepara l’Italia che verrà. Pasolini l'hanno ammazzato da otto anni, il caso Moro si è consumato da cinque, ma sembrano passati decenni. Questo è un pensiero di adesso, ovviamente; io allora non mi rendo conto di una quantità di cose. Solo, detesto pariolini e paninari; ma è una cosa antropologica, pre-politica. Ah, ho votato; per la prima volta in vita mia: altro motivo di un anno speciale. Radicale, preferenza Toni Negri. Ma da lì in avanti solo PCI e derivati. Sono di sinistra, ma non ancora comunista. Quindi non vivo ancora quella frustrazione ineluttabile quando il tuo obiettivo politico è, da comunista-umanista, la palingenetica trasformazione dell’Umanità, e però ciò che vedi e che sai che vedrai per sempre è il Mondo così com’è. Amo gli animali, ma non sono ancora vegetariano per motivi etici. Quindi non mi tocca ancora quel dolore insanabile quando la tua sensibilità, da animalista (non talebano – vorrete riconoscermelo), è tale da farti avvertire la sofferenza fisica e morale di tutti gli altri senzienti che la Specie Umana schiavizza, tortura e uccide. …Quando dico, come all’inizio, che allora sono felice come forse mai prima o dopo, molto dipende – credo ora – dai due punti appena esposti. E succedeva anche questo: Thriller sbanca tutte le classifiche, Borg si ritira, la mafia ammazza Rocco Chinnici, il primo attentato contro gli USA in Medio Oriente, nascono gli Zapatisti in Chiapas… L’estate la passo in parte a Rodi Garganico in un enorme campeggio. Con Alessandra, con Massimiliano, con mio padre, mia madre, Giorgio, tanti cugini e cugine, tanti zii, tanti amici. Ci divertiamo moltissimo, giochiamo a qualsiasi cosa, vinciamo qualunque cosa; nel paese ci amano e ci odiano insieme. Il vialetto dei nostri bungalow viene ribattezzato ‘Viale delle Vittorie’. Per i cattolici è pure l’Anno Santo, benché non ordinario. Novembre, entro alla Sapienza coi migliori auspici. A Natale cenone in casa, e poi si pensa solo alla festona di fine anno con tutti quanti. Era il 1983. E’ stato il 1983. Fu il 1983. L’anno più fico della mia vita. …Ma, ripensandoci bene, mica tanto più fico rispetto ad altri venuti prima e dopo. E magari pure questo, giovane 2019, lo sarà. *: Ἔργα καὶ Ἡμέραι, Le Opere e i Giorni, è un poema di Esiodo dell’VIII sec. a.C., nel quale si illustrano la necessità del lavoro da parte dell'uomo, i consigli pratici per l'agricoltura e i giorni del mese nei quali è necessario compiere determinate attività: e, en passant, si comincia a delineare l’intera mitologia greca che Esiodo svilupperà nella Teogonia, Θεογονία, di qualche anno posteriore. E io ho cambiato ‘giorni’ con ‘anni’, giusto per mettere un titoletto; badando, avrete visto, pure ai mezzi anni. Così, tutto qua. E comunque, anche oggi 12 febbraio 2020, io, Paolo Andreozzi, non sono che uno dei circa 7.5G di individui ora presenti nella Specie Homo Sapiens (Genere Homo, Tribù Ominini, Famiglia Ominidi, Parvordine Catarrine, Ordine Primati, Infraclasse Euterii, Classe Mammiferi, Sottotipo Vertebrati, Tipo Cordati, Sottoregno Eumetazoi, Regno Animale, Dominio Eukaryota, Impero Cytota, Albero Ribosa, Mondo Biota), che è una delle circa 10M di Specie oggi viventi sul pianeta Terra, che è uno dei corpi in rivoluzione gravitazionale intorno alla stella Sole che con tale varietà di oggetti intorno (pianeti, satelliti, asteroidi, comete, polveri…) forma il Sistema Solare, che insieme ad altre stelle (le Alfa Centauri, Sirio...), con relativi sistemi, forma la Bolla Locale, che insieme ad altre stelle (Mizar, Vega, Arturo...) e sistemi forma il Mezzo Interstellare Locale, che insieme ad altre stelle (Aldebaran, Betelgeuse, Antares...) forma la Cintura di Gould, una delle due zone della Fascia Centrale, che con altre due parti forma la Regione Locale, che insieme ad altre sei tra regioni e rami forma il Braccio di Orione, che è uno dei due bracci secondari che con i quattro principali e il centro galattico, forma la galassia Via Lattea, che insieme a circa venti tra galassie nane e nubi stellari forma il Sottogruppo della Via Lattea, che insieme ad altri tre sottogruppi, oltre a varie galassie libere e/o di confine, forma il Gruppo Locale, che insieme a circa altri cento tra gruppi e ammassi di galassie forma il Superammasso Locale, che insieme ad altri tre superammassi o muri forma l’Iperammasso Laniakea, che insieme ad altri quattro tra iperammassi, catene o regioni forma il Filamento dei Pesci-Balena, che insieme ad altre otto Grandi Strutture costituisce l’organizzazione di tutta la Materia/Energia ordinaria, la quale rappresenta il 5% (il 95% essendo Materia Oscura o Energia Oscura) di tutto l’Universo osservabile o deducibile allo stato attuale delle conoscenze della specie Homo Sapiens di cui faccio parte insieme ad altri 7.5G di persone. E il personale è politico? Ma sì. |