Oggi a metà giornata, settantacinque anni fa, lo giustiziarono, su legittimo mandato dell’autorità militare e politica dei liberatori partigiani, e domattina all’alba – sempre di allora – lo appesero morto a testa in giù (questo, senza alcun mandato esplicito – anzi) insieme ad altri criminali e a un’amante, nell’iconologia arcinota e frequentatissima da amici e nemici. Sulla quale, potete giurarci, si eserciteranno tra oggi e domani gli uni e gli altri: i secondi, gli antifascisti viscerali, per schernire ancora e sempre il tiranno; gli altri, i nostalgici o i finto-imparziali, per stigmatizzare tale scherno e tentar di mascherare una capitale vicenda storicopolitica e socioeconomica, con una vernicetta di buone o cattive maniere.
Ma fu invece Mussolini, semmai, a metter da vivo il mondo (suo, e il nostro – di italiani volenti o nolenti) a testa in giù: sovvertendo l’impostazione prettamente liberale dello Stato e torcendolo in dittatura personale, di banda, di partito e di classe, per un ventennio che si concluderà con l’ecatombe barbara della guerra di aggressione nazifascista contro l’Europa e la Civiltà stessa. Dirò qui solo poche cose – rimandando, in una bibliografia sterminata, a due titoli validissimi e recenti: M. Il figlio del secolo, di Antonio Scurati (Bompiani, 2018), che ha avuto un bel successo di pubblico e si è guadagnato il Premio Strega l’anno scorso, e Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, di Francesco Filippi (Bollati Boringhieri, 2019), che sta suscitando un discreto interesse. E dirò questo. Che il fascismo – quello storicamente realizzatosi in Italia a partire dagli Anni ’20 del ‘900, e poi altrove (il fascismo “logico” e quello “cosmico”, non li tratto oggi qui) – è fondamentalmente, dal punto di vista soggettivo, un mix formidabile di stupidità, ignoranza, aggressività e vigliaccheria; e a metterla così sembrerebbe un fenomeno di devianza marginale che si tiene a bada da sé, quasi, notevole al limite per la cronaca nera. Eppure, purtroppo, divenne Storia, contagio di massa, istituzione, abito mentale e comportamentale per milioni di persone per un ventennio in Italia, e per altri milioni e milioni per anni o decenni in Germania, in Spagna, in Romania, in Ungheria, solo per restare all'Europa e soltanto alle forme del fascismo statualizzate in quel passaggio del secolo scorso. Divenne razzismo legalizzato, divenne tormento e morte per milioni di innocenti e inermi, divenne la più mortifera guerra della storia dell’Umanità. E' una cosa grossa, quindi, il fascismo – altro che etichetta, altro che macchiette! Da non sottovalutare mai: perché, dal punto di vista oggettivo, è un'arma che il Potere di classe manovra con grande esperienza e profitto, contro le classi dominate facendo sì che esse stesse adottandolo si usino violenza da sé, si neghino la libertà e l'emancipazione mentre il Potere fa affari come vuole. Ed è una cosa mostruosa, perché la facilità con cui quella mescola infernale di stupidità, ignoranza, aggressività e vigliaccheria prende a dominare il cuore e la mente di milioni e milioni di esseri umani, autolesionisti inconsapevoli, necessariamente interpella ogni uomo e ogni donna che fascista non è né sarà mai in quanto ha fede nell'individuo e nelle masse, e nella direzione di marcia dell'umanizzazione. Gli anniversari antifascisti, per questi buoni motivi, non sono mai rituali: tanto le scadenze delle vittorie, come il 25 Aprile, quanto quelle delle rese dei conti come oggi (e dopodomani, la morte di Hitler). Adesso qualche numero, qualche fatto – incontrovertibili. Le 120.000 vittime civili libiche dell'esercito fascista nel 1930 durante la deportazione delle popolazioni cirenaiche. Le 600 tonnellate di gas asfissianti (iprite e fosgene) lanciate dall'aviazione fascista sulla popolazione etiopica nel 1935/36, i civili a migliaia passati per le armi dopo l'attentato fallito a Graziani nel '37, i 310 monaci cristiani di rito copto trucidati a Debra Libanos col plauso dei cappellani militari. I bombardamenti sulla Croce Rossa in Etiopia, i 17.000 etiopi deportati e sterminati nel campo di Danane in Somalia. I telegrammi di Mussolini a Graziani: "Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio". L'occupazione della Grecia, dove le autorità locali segnalarono stupri di massa e il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili (il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce Rossa Internazionale: "Vi vantate di essere il Paese più civile d'Europa, ma crimini come questi sono commessi solo da barbari"; fu internato, torturato, deportato in Italia). Le migliaia di donne prese per fame e così reclutate in bordelli per soddisfare soldati e ufficiali italiani. I 400 villaggi che subirono distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità italiane e tedesche, 200 dai soli italiani. L'eccidio di Mallakasha, la Marzabotto albanese. I 28.000 morti tra i civili in Albania, 12.600 feriti, 43.000 deportati e internati nei campi di concentramento, le 61.000 abitazioni incendiate, gli 850 villaggi rasi al suolo, le 100.000 bestie razziate, centinaia di migliaia di alberi da frutto distrutti. L'annessione della Slovenia del '42 con la costituzione della provincia italiana di Lubiana e le direttive dei generali Robotti e Roatta: "Si ammazza troppo poco… Sgombero totalitario, dove passate levatevi dai piedi tutta la gente che può spararci alla schiena… Distruggere i paesi e sgombrare le popolazioni". I 150.000 deportati iugoslavi nei campi di sterminio di Arbe, Palmanova, Gonars, Renicci ed altri ancora, con più di 4.000 morti di fame e di stenti. Le vittime iugoslave del campo di concentramento fascista di Zlatin, gli abitanti maschi di Srbernovo spediti nei lager, le donne seviziate dall'esercito fascista e poi gettate nelle foibe. E la Risiera di S. Sabba, lager nazista di Trieste, dove furono sterminati comunisti, ebrei e rom con la complicità diretta degli sgherri di Mussolini; l'unico campo di deportazione dell'Europa meridionale, con esecuzioni o per gassazione attraverso automezzi appositamente attrezzati o con un colpo di mazza alla nuca o per fucilazione (nel complesso le esecuzioni furono almeno 5.000). Le leggi razziali, il rastrellamento del Ghetto di Roma il 16 ottobre del '43, le Fosse Ardeatine, via Tasso, l'eccidio della Storta, Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, i fratelli Cervi, i Rosselli, Gobetti, Matteotti, oltre 15.000 oppositori mandati al confino, Gramsci... L'Asse Roma-Berlino, il Patto d'Acciaio, il Patto Tripartito, l'entrata in guerra il 10 giugno 1940, oltre 300.000 italiani mandati a morire in divisa, la follia della spedizione contro l'Armata Rossa, oltre 150.000 italiani fatti morire da civili, oltre 50.000 partigiani uccisi. Incalcolabili i torturati, mutilati, feriti, dispersi, disgiunti, le vedove, gli orfani. La guerra di Spagna: italiani in divisa, comandati da ufficiali fascisti, che sparano contro italiani volontari al fianco della libertà repubblicana in quel Paese. Lo squadrismo degli inizi, le Case del Popolo incendiate, i braccianti e gli operai malmenati, le tipografie in fiamme, sindacalisti, socialisti e comunisti uccisi col beneplacito di padroni e règia autorità. L'autarchica miseria travestita da stolido orgoglio nazionalista per milioni di donne e di uomini lungo tutta una generazione. Le privazioni. …Antonio Gramsci, morto di fascismo proprio ieri nel 1937. Il Pubblico Ministero del suo processo infame chiuse la requisitoria con la frase famigerata: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare", imbeccata da Mussolini ovviamente. Ma prima aveva detto all'imputato, prossimo ormai alla sentenza di condanna: "Tra gli scritti sequestrati si parla di guerra e di impossessamento del potere da parte del proletariato. Cosa vogliono significare questi scritti?" Gramsci rispondeva: "Penso, signor giudice, che tutte le dittature di tipo militare finiscano prima o poi per essere travolte dalla guerra. Sembra a me evidente, in tal caso, che tocchi al proletariato sostituire la classe dirigente, pigliando le redini del Paese per sollevare le sorti della Nazione." E concludeva: "Voi condurrete l'Italia alla rovina ed a noi comunisti spetterà di salvarla." Oltre vent'anni, dicevo, di regime sull'Italia e i territori annessi; quasi due di sadica tirannia coi nazisti a nord della Linea Gotica; la distruzione sistematica dei valori democratici, civili e culturali presso un popolo intero dalle tradizioni secolari di Umanesimo. Fascista. Dittatore. Criminale. E anche stupido, fu, Mussolini – il morto di oggi, l’appeso di domani di settantacinque anni fa. Uno scaltro ambizioso, vanesio, corrotto e stupido che ha fatto danni inconcepibili. Solo un altro lo superò in questo, in quell’epoca. Adesso concludo con un minimo esercizio di Storia ipotetica, controfattuale. I fatti reali. L'8 novembre 1923, nel Burgerbraukeller di Monaco che ora non esiste più, per fortuna, altrimenti sarebbe meta di demoniaci e decerebrati pellegrinaggi, Hitler, protetto da una robusta guarnigione di SA, le Sturm Abteilungen, squadre d’assalto, di Rohm, il braccio armato della prima ora e fino al 1934, quando furono liquidate dalle ancor più obbedienti e spietate SS, SchutzStaffel, di Himmler, nella Notte dei Lunghi Coltelli, interrompe un comizio di Gustav von Kahr Governatore della Baviera, conservatore; sparando un colpo di pistola sul soffitto, lo costringe ad abbandonare la sala e convoca i presenti per il giorno successivo, sull'esempio di Mussolini e del suo movimento fascista, alla marcia sulla capitale del Land. In migliaia seguono l'appello. Ma la rivoluzione, il Putch di Monaco, finisce dopo pochi chilometri, nel centro della città: mobilitata da Kahr, la polizia regionale ha ricevuto l'ordine di fare fuoco, e spara sulla colonna in marcia. I morti sono venti. Hitler riesce a fuggire in un'ambulanza; in seguito sarà arrestato, processato e condannato ad appena pochi mesi di carcere, durante i quali scriverà il suo orrendo ed ebete Mein Kampf e dopo, fuori, riorganizzerà il NationalSozialistenPartei e lo aggancerà ai poteri forti fino ai trionfi elettorali del 1932 e soprattutto del 1933, e il resto è Storia. La contro-storia. Se invece la polizia di Kahr avesse centrato l'ambulanza e avesse fatto fuori quel demente, ignorante e mediocre ma sciamanico, violento, sadico e vigliacco, se ci fossero quindi stati non venti ma ventuno morti a Monaco quel 9 novembre di novantasette anni fa, molto probabilmente il mondo si sarebbe risparmiato, tra il 1939 e il 1945, qualcosa come 65/70 milioni di morti in guerra o per la guerra, di cui 40/45 milioni di vittime civili, disarmate, tra le quali, certo, anche quelle dell'Olocausto e degli altri stermini su base etnica, ideologica e antropologica. Non posso dirlo con assoluta certezza, ovviamente, specie aderendo a una lettura meno personalistica e più oggettivante della Storia. Forse, intendo, anche morto Hitler nel 1923, sarebbe poi stato un altro demente, ignorante e mediocre ma sciamanico, violento, sadico e vigliacco a precipitare la Germania, l'Europa e il pianeta nell'abisso; o forse non sarebbe stato neppure un austrotedesco bensì qualcuno di altro popolo, comunque afflitto e traviato dalla temperie economica, sociale, politica, culturale e civile che l'Occidente della Grande Depressione e l'intero ecumène capitalista e imperialista stavano vivendo, e avrebbero attraversato a lungo. Forse. Ma nel dubbio, e pesando su un piatto della bilancia settanta milioni di vite spezzate, e sofferenze e privazioni e distruzioni per altre decine e decine di milioni ancora, pure una piccola ipotesi di fermare tutto questo mi fa pronunciare la retrospettiva controfattuale: quell'ambulanza doveva saltare, serviva un solo morto in più a Monaco, Hitler doveva crepare quel giorno a trentaquattro anni. Bisognava sparare sulla Croce Rossa. Antifascismo sempre.
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E così le espressioni “merce a prezzo imposto” o “vendita a prezzi calmierati” non sono più bestemmie, neppure nel modello di sviluppo neoliberista in cui viviamo da un quarantennio filato!
C’è voluta una pandemia, però, per arrivare a tanto coraggio intellettuale! E comunque si parla sempre e solo del bene supremo del momento: le mascherine! Meno male, intanto: il governo italiano mette tutti e due i piedi nella sacra logica intoccabile del profitto privato, nella libera impresa capitalista, nella concorrenza commerciale, e dice, stante l’emergenza inaudita in corso, che le mascherine saranno sì obbligatorie per una quantità di casi e momenti, però saranno non più introvabili e inoltre a prezzo accessibilissimo per legge! Allora, se la congiuntura unica ha aperto uno spiraglio nella porta dei dogmi economici imperanti, io provo a mettere un piede tra quella porta e lo stipite prima che si richiuda. E chiedo: perché deve valere solo per le mascherine? Passo indietro, storico-merceologico-sociale. C'è stata una mostra, diversi anni fa al Vittoriano di Roma, sulle memorie fotografiche e le suggestioni artistiche e letterarie di quella rete capillare di spacci perlopiù alimentari che fu l'insieme dei punti-vendita dell'Ente Comunale di Consumo (a Roma, nel caso della mostra – ma fu a lungo realtà nazionale consolidata). Specie di piccoli fabbricati bianchi, di solito col solo piano terra, due o tre porte su strada e una tettoietta per l'ombra e per la pioggia, che fino alla mia infanzia costellavano i quartieri popolari e la cintura periferica delle borgate, soprattutto. Ancora oggi se ne trova qua e là una vecchia insegna, in sobrio carattere maiuscolo e color blu-nero, a indicare però che ora lì sotto c'è semmai un esercizio commerciale, di ristoro o intrattenimento, tanto cool da voler evocare quell'antica modestia mentre appronta e vende la propria mercanzia di qualità, non proprio a prezzi stracciati. Furono istituiti nel 1946, gli Enti Comunali di Consumo, obbligatoriamente nei Comuni con più di 200.000 abitanti, e facoltativamente in tutti gli altri. Perché l'Italia usciva da una guerra che oltre a tutto il resto aveva praticamente sdraiato ogni fondamentale (PIL, occupazione, propensione al risparmio e all'acquisto, liquidità, solvibilità, fiducia), e perché nel 1946 il governo del Paese era ancora nelle mani della coalizione che aveva combattuto la Resistenza contro il nazifascismo e conquistato la Liberazione (meraviglioso 25 aprile), e che stava scrivendo la Costituzione che sarebbe stata promulgata un anno e mezzo dopo: democristiani attenti alla dottrina sociale, comunisti, socialisti, azionisti-repubblicani, liberali (ma non liberisti ottusamente). Poi però – fatto arcinoto – dopo il viaggio di De Gasperi in America, il varo del Piano Marshall e l'arrivo di tanti dollari in cambio della rassicurazione che qui da noi le sirene egualitarie della Sinistra conseguente sarebbero state silenziate, comunisti e socialisti furono accompagnati fuori dalla porta della stanza dei bottoni, e le elezioni del 1948 (18 aprile da incubo) ratificarono la svolta centrista e monocolore del Paese per tanto tempo a seguire. Ma per fortuna rimaneva sulla scena il frutto prelibato della Costituzione. E restarono anche, per qualche decennio, alcuni presìdi di pianificazione economica (come l'IRI e le grandi aziende pubbliche) e di distribuzione calmierata (ecco che ci siamo: gli Enti Comunali di Consumo). Ci restarono, almeno, finché l'ubriacatura della privatizzazione universale, comune a Centrodestra e Centrosinistra, non ebbe l'effetto di smantellare tutto ciò che impediva di sbrigliare gli istinti e gli appetiti del grande e del piccolo capitalismo. Privatizzazione e precarizzazione – per inciso – i cui effetti nefastissimi nel comparto basilare della sanità scontiamo come non mai proprio ora, alle prese col Covid-19. Comunque, gli Enti Comunali di Consumo furono trasformati (insensatamente) in SpA nel 1993, e poi del tutto abrogati (inevitabilmente) nel 2008. Fine del passo indietro. Quello che la pandemia produce e produrrà in Italia e non solo (oltre ai tanti, troppi morti), è un crollo dei fondamentali economici che ha il solo precedente della Seconda Guerra Mondiale – ciò a detta di tutti gli analisti. Perderanno il lavoro a centinaia di migliaia nel nostro Paese, forse a milioni; e a centinaia di milioni nel Mondo, forse a miliardi. Centinaia di migliaia di famiglie in Italia si troveranno senza un reddito onesto, e non so quanto potranno durare gli ammortizzatori sociali approntati o approntabili dalle pubbliche casse (specie se nessuno avrà il coraggio politico di andarle man mano a rimpinguare drenando con una sacrosanta tassazione, e col correlato pugno duro contro l’evasione endemica, i cespiti privati maggiori). D’altro canto alle famiglie, tutte (sia quelle che resistono sia quelle che non ce la faranno), occorrerà per la pura e semplice sopravvivenza un paniere articolato di beni che certo non può ridursi ai soli dispositivi di protezione individuale – per quanto importanti! Ultima osservazione: per alcuni dei beni imprescindibili nel paniere eventuale è la stessa filiera produttiva ad esser messa a grave rischio dalla pandemia, non solo per la chiusura dei normali punti vendita degli esercizi privati, dettaglio o ingrosso, che non rialzeranno la saracinesca, ma addirittura perché mancano e mancheranno braccia nei campi o nelle fabbriche o nella logistica, a causa del depauperamento di occupabili per il blocco degli spostamenti di forza-lavoro tra Paesi, tra continenti, che sono stati la regola dei decenni di globalizzazione. E allora? E allora chiudo con le mie due proposte: una piccola, e illogica (poiché incompleta), l’altra grande e logica. La prima è che il governo italiano abbia la sensatezza di decretare al più presto un duraturo calmiere dei prezzi di un nutrito stock di beni e servizi – altro che le mascherine soltanto! – con la fondatissima giustificazione che le persone e le famiglie in questo Paese saranno alle prese con problemi di sopravvivenza ben oltre il raggio temporale del rischio-contagio in sé; e non vogliamo che siano preda né dell’usura criminale né della fame direttamente – come ha già detto autorevolissimamente Papa Bergoglio. E’ una proposta piccola, rispetto alla scala del problema, e illogica in quanto alla lunga i produttori (privati) di quei beni o servizi a prezzo imposto riterranno insostenibile continuare a operare a meno che lo Stato ci metta del proprio (da quelle pubbliche casse che però abbiamo già visto in sofferenza) per rifonderli. Tuttavia la formulo e la sottoscrivo come una benda su una ferita che sanguina – sperando che qualche forza politica la faccia propria, almeno questa. La seconda affronta il male alla radice. E postula né più né meno che l’applicazione sostanziale della Costituzione Italiana in una costellazione di articoli beli e importanti: 2, 3, 4, 35, 36, 37, 41, 42, 43 e 46. Infatti io dico: quei valori (materiali e non) di cui al paniere calmierato dovrebbe essere lo Stato stesso a produrli e a commercializzarli (tramite spacci di prossimità territoriale simili a quegli antichi Enti Comunali di Consumo, o invece con catene di ordine e vendita on line, in caso di merci vere e proprie, e altro ancora quanto ai servizi – non importa saperlo ora), certo: con braccianti di Stato, operai di Stato, artigiani di Stato, tecnici di Stato, progettisti infrastrutture di Stato, addetti alla logistica di Stato, rivenditori di Stato, ingegneri dei sistemi di Stato, professionisti di Stato, studiosi di Stato, creativi di Stato, esperti di comunicazione e di marketing di Stato, scienziati della pianificazione di Stato, eccetera eccetera eccetera! Perché? Perché ci sarà a breve un esercito di disoccupati da una parte, purtroppo, e dall’altra un esercito di bisognosi di ciò che è basico, purtroppo – masse per di più sovrapponibili spesso e volentieri; e ci sarà da rifondare un intero sistema-Paese semplicemente perché l’abbrivio privatistico con cui l’Italia si è mossa negli ultimi decenni (creando forbice socioeconomica, sacche di depressione e inclinazione all’illegalità – ma non voglio ora fare il solito discorso) si è arenato non contro manifestazioni oceaniche di antagonisti politici bensì contro un organello lungo un decimillesimo di millimetro: il maledetto coronavirus. E dunque, ripensare tutto per ripartire nel migliore dei modi, se non ora quando? – come disse un Grande. Pianificare per la sostenibilità ambientale, programmare per minimizzare le scorie, ingegnerizzare secondo le esigenze reali e non più per i bisogni indotti del consumismo, impiegare meritocraticamente le competenze, la preparazione, le aspirazioni individuali, creare uno scenario di occupazione di qualità dal quale i cervelli non vogliano né debbano più fuggire: compiti che solo il potere nazionale può intestarsi, non certo la galassia degli operatori economici in concorrenza tra loro. D’accordo: se serve coraggio strategico per realizzare la prima delle due proposte, quella minima (la semplice estensione, a una classe di merci essenziali, del calmiere già decretato per mascherine e simili), figurarsi per questa organica e globale! Occorrerebbe un ceto politico dello spessore non tanto inferiore a quello che, uscito vittoriosamente dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, donò al Paese e alla Storia la Costituzione più bella del Mondo… E di sicuro non siamo oggi così tanto fortunati. Ma io lo lascio ugualmente qui, questo mio spunto azzardato. Perché non si sa mai: la natura solida dei nudi fatti, refrattari alla lunga a ogni deformazione ideologica e anche alla pavidità umana di chi è chiamato a decidere per le comunità, potrebbe un giorno compiere il miracolo di mostrarci assai convincentemente che è arrivato il momento di fare sul serio – o morire. Testadicazzo nazifascista. Non sono bastate le Fosse, non è bastata Marzabotto, né sant'Anna di Stazzema, non è bastato il 16 ottobre a Roma, non è bastata Fossoli, né la risiera di san Sabba, non sono bastate tutte le atrocità, tutte le angherie, tutte le vigliaccate, tutte le torture, non sono bastati tutti i tradimenti, tutte le retate, tutti i fratelli Cervi, non sono bastati tutti i soldi sottobanco dei padroni, industriali, agrari, banchieri, né quelli che venivano da fuori chissà dove, non sono bastate le fughe e i travestimenti dell’ultima ora perduta, non è bastata la paura indotta per un ventennio nel popolo semplice, non è bastato coartare l'intelligenza e la stessa speranza di almeno due generazioni di italiani e italiane, non è bastato impedirgli l’amore, non è bastata una dittatura, anzi due, anzi molte, ovunque si è insediata la tua peste nei Paesi d’Europa, non è bastata una guerra mondiale, la carneficina più orrenda di sempre tra quelle innescate da eserciti l’un contro l’altro armati.
Non ti è servito a niente, testadicazzo nazifascista, se non a soffrire pure tu come un demone mentre noi soffrivamo come vittime del tuo inferno finché è durato. Non ti è servito perché tanto siamo riusciti a resisterti, e alla fine ci siamo liberati di te, mostro abortito dalla Storia. Ne siamo usciti, da quell’inferno, dove tu da allora e per sempre rimani come nella tua sola dimora mentale e dell’anima. E che tu sia un nazifascista testadicazzo convinto oppure soltanto ripeta a pappagallo “viva il duce” o “sieg heil” e stronzate simili senza capire né sapere, è lo stesso: deliranti o ignoranti, accomunati siete e sarete sempre tra i liquami di scarico degli incubi della gente per bene. Quello il tuo, vostro retaggio deforme. A noi, per quanto difficili, ma umani, reali, il presente e il futuro. Testacciadicazzo, nazifascista di merda. E invece grazie, grazie per sempre, Sorelle e Fratelli Partigiani, grazie Madri e Padri Costituenti! Grazie a voi tutti e tutte per la Libertà, per la Repubblica, per la Costituzione e per la Democrazia! E auguri, auguri ancora, a noi tutti, compagne e compagni di oggi, amici, fratelli, cittadini e cittadine d’Italia! A tutte e tutti, agli uomini e alle donne di buona volontà e retto pensiero, e azioni conseguenti, a noi insieme anche oggi comunque e dovunque: BUON VENTICINQUE APRILE DUEMILAVENTI, 75° ANNIVERSARIO DELLA RESISTENZA VITTORIOSA E DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO! qualche bella canzone La natura rifiuta il vuoto. E la politica, in questo, è la cosa più naturale del mondo: uno spazio politico, non appena si crea, è destinato a riempirsi in brevissimo tempo.
Ma cos’è uno “spazio politico che si crea”? Essenzialmente è una domanda di massa (più o meno grande) rispetto a un problema che prima non c’era. E chi o cosa va a occuparlo rapidamente? Essenzialmente: una risposta a quella domanda, ossia chi (per primo, o più convincentemente agli occhi di tale massa) enuncia la risposta a quella domanda – vale a dire, chi offre la soluzione (vera o presunta) a quel nuovo problema. Adesso l’Italia, l’Europa e il Mondo sono nel pieno di una crisi sanitaria senza precedenti nell’età contemporanea, e le domande di massa relative a questa crisi hanno ancora (com’è ovvio) un profilo così “tecnico” (medico, scientifico) che la politica non ha avuto modo di cimentarvisi secondo le proprie caratteristiche (essenzialmente: la competizione tra idee alternative – infatti la scienza e la medicina hanno una missione, e in questo caso anche un’urgenza, che “taglia” i dubbi e determina direttamente azioni emergenziali). Ma l’emergenza è destinata a finire, tra non molto, e sulle Fasi-dopo-la-1 (la 2, la 3…) sarà inevitabile (e anche giusto, democraticamente parlando in senso formale) che sia la politica a coprire con la propria voce tutte le altre – medica e scientifica comprese. A brevissimo. A quel punto, le domande di massa saranno immense. Non tanto rivolte al passato (“di chi è stata la colpa, se una colpa ci fu?”), quelle semmai saranno questioni del tipo giudiziario che esula dai fini del mio piccolo ragionamento; bensì al presente e al futuro: “come riprenderemo a vivere?” E per tantissimi uomini e tantissime donne, la domanda ancor più pressante: “come facciamo a sopravvivere?” Perché, infatti, diventa sempre più chiaro che per quanta morte biologica la pandemia avrà seminato nelle società, la “morte economica” derivante dall’inaudito blocco prolungato delle attività economiche (appunto) mieterà vittime incalcolabilmente più numerose dei deceduti per Covid-19. Ecco dunque profilarsi l’apertura di uno spazio politico talmente ampio e nuovo (perché nuove, del tutto, sono le condizioni reali in cui quasi l’intera ampiezza del Mondo si troverà tra poco) che il processo repentino del suo riempimento sarà a sua volta un fenomeno di portata e imprevedibilità quali nessuno di noi – son sicuro – pensava di poter osservare, tantomeno dovervi partecipare, in vita sua. Più che dopo lo shock petrolifero degli Anni ’70 del Novecento, più che dopo la globalizzazione “fatta e finita” degli Anni ’90, più che dopo le ondate “terroristiche” a partire dall’11 Settembre, più che dopo la Grande Crisi del 2008 e seguenti, più che dopo la constatazione non più celabile del Climate Change. Nello spazio politico smisurato e ignoto che va spalancandosi ineluttabilmente davanti ai nostri piedi, man mano che si esce dall’emergenza sanitaria vera e propria, andrà a trovare posto qualcosa di altrettanto grande e pervasivo. Potrebbe magari essere proprio l’esauriente risposta – alle domande di massa che ho menzionato – che ci gonfia il petto, ossia una risposta che nel dar conto del problema nuovo (“come riprenderemo a vivere? come sopravviviamo?”) riesca anche a intervenire sui problemi sistemici preesistenti alla pandemia: il clima, l’inquinamento, il modello di sviluppo, l’ingiustizia sociale, la disperazione che genera le migrazioni oceaniche; o al contrario potrebbe essere una risposta che ci fa orrore, la quale sarebbe propinata alla massa impaurita dai rappresentanti politici dei nostri peggiori avversari (i razzisti, i profittatori, gli accumulatori, gli inquinatori, i guerrafondai) sfruttando sia la rendita di posizione derivante dal fatto che gran parte di loro possiede già le chiavi del Potere e della comunicazione dall’alto verso il basso, sia l’intrinseca facilità con cui le risposte apparentemente più semplici a problemi complessi vengono prese per buone dalla gente – specie quando la gente è in grave difficoltà. E’ stato già stimato, autorevolmente, che la conseguenza della pandemia sull’occupazione sarà una perdita di oltre un miliardo di posti di lavoro in tutto il Mondo. Una cosa che fa impallidire perfino la Grande Depressione degli Anni ’30 del Novecento – e lo spazio politico creatosi all’epoca fu subito riempito in Europa dal nazifascismo, e di li a poco nel Mondo dalla guerra totale più mortifera di sempre! Perché accadde? Perché in Europa non si riuscì a trovare nessuna risposta differente – o nessuno abbastanza credibile alla massa che la pronunciasse convincentemente – e perché anche il resto del Mondo che pure aveva riempito quello spazio in modo diverso (col New Deal gli Stati Uniti d’America, con la collettivizzazione e l’industrializzazione pesante l’Unione Sovietica), alla fine si trovò volente o nolente (volenti senz’altro i grandi affaristi del sistema militare-industriale delle “democrazie” occidentali, così come i grandi capipopolo patriottardi del campo “socialista”) ingoiato dalle conseguenze ultime di quella risposta facile facile e sbagliatissima (la dittatura identitaria ed espansionista) alla povertà di massa post-Crollo del ’29. Ma ora – ripeto – pare possa essere anche peggio di allora. Vale a dire, è possibile – se non probabile, e molto – che le forze già in campo, e spesso ai posti di comando tra i popoli e tra i governi del Mondo (a causa dello spostamento progressivo dell’opinione pubblica verso posizioni sempre meno “sociali” e finanche meno democratiche – spostamento dovuto proprio alla serie di eventi globali degli ultimi decenni che ho prima evocato), ebbene occuperanno immediatamente il nuovo spazio con idee e pratiche rispondenti alla sola conservazione dei rispettivi status di comando (politico, economico, di classe). Infatti non ho nessuna difficoltà a immaginare profili morali del calibro di Trump, Xi, Modi, Putin, Abe, Bolsonaro, Morrison, Johnson, Salman, Erdogan, Khamenei, Duterte, Jong-un, Assad, al-Sisi, Netanyahu, Orbàn (e Salvini, Le Pen, Meuthen…) che approfittando della congiuntura storica inaudita fanno piazza pulita, nei rispettivi Paesi, delle grandi o piccole (o residuali) garanzie democratiche e civili (o umane, perfino) per garantire invece piccoli o grandi “Reich millenari” ai potentati di cui sono rispettive espressioni – costasse anche un’altra guerra vera e propria –, oppure per creare un solo immenso organismo di sfruttamento e consumo planetario finché almeno non siano pronte le astronavi con cui le élite lasceranno la Terra e i miliardi derelitti al proprio destino! Ma anche senza arrivare a questi miei temerari orizzonti apocalittici – è indubitabile oggettivamente che uno spazio politico si va generando con caratteristiche “rivoluzionarie” (nel bene o nel male) e che la fazione a noi avversa parte con le migliori carte per impadronirsene, tragicamente per le sorti della gente che pure applaudirà l’evento (se qualcuno o qualcosa non aprirà i suoi occhi, offrendole subito un’alternativa preferibile). E siamo qui. Alla corsa contro il tempo. Ce l’abbiamo – pronto all’uso – qualcosa che suoni come una risposta diversa e migliore alle domande basilari che le masse porranno a breve e in modo sempre più assordante? E ce l’abbiamo chi quella risposta diversa e migliore sappia veicolarla con la propria voce dinanzi al Mondo prima che esso cada nel terrore puro e semplice? In Europa abbiamo le forze politiche di ispirazione socialista e socialdemocratica (vera) e le organizzazioni sindacali e laburiste della stessa impronta, abbiamo le forze ambientaliste vecchie e nuove (dietro Greta Thunberg), abbiamo le cordate civili del femminismo, della solidarietà concreta, della cooperazione no-profit, abbiamo gli antifascisti e gli antirazzisti militanti, circoli comunisti (anti-stalinisti) e circoli anarchici (non-violenti), abbiamo uno strato spesso e denso di intellettualità impegnata, abbiamo in Europarlamento un punto di riferimento come il GUE (non tanto come numeri, purtroppo, bensì come preparazione tecnica e paradigma valoriale) – ma basterà? Negli Stati Uniti abbiamo la sinistra del Partito Democratico, che fa capo a Sanders e ha in Ocasio-Cortez l’astro nascente, e anche lì tanta società civile, tanta inteligencija per la democrazia sostanziale, l’equità socioeconomica, il femminismo e la salvezza dell’ambiente, perfino qualche buon comunista (più nelle università a scrivere che nelle piazze a manifestare – almeno, passata la stagione degli Occupy…) – basterà? Basteranno i movimenti latinoamericani, quelli dei Paesi arabi, quelli delle minoranze schiacciate in Russia e in Cina? Basteranno le esperienze di auto-emancipazione, di lotta al militarismo e alla corruzione in tutta l’Africa sub-sahariana, in India, nel sud-est asiatico? Basteranno gli indomabili palestinesi e le organizzazioni che in tutto il Mondo li sostengono contro l’occupazione e la ghettizzazione cui sono condannati da mezzo secolo? Basterà il fatto che il capo di oltre un miliardo di cattolici è Papa Francesco? Basteranno il credito morale e la forza mediatica di cui gode il Dalai Lama? Basterà la vostra voce di persone per bene, una ciascuna per come vi conosco, a contendere quello spazio politico al male assoluto? Natura quae abhorret a vacuo – quella Natura che rifiuta il vuoto ha messo in moto un orologio che batte solo i secondi, forse i minuti (se abbiamo fortuna), non le ore. Non ne abbiamo di ore a disposizione, purtroppo. Dovremo condensare da tutto quel po’ di buono che c’è al Mondo una risposta, e una voce (collettiva preferibilmente, ma al punto in cui siamo non sottilizzerei) che la incarni alle orecchie dell’Umanità prima che ascolti quell’altra e chini la testa dinanzi a chi l’ha pronunciata; ossia sul ceppo stesso dove le sarà mozzata. Dobbiamo. Adesso, qui. Il Grande-Balzo-In-Avanti dell’Homo Sapiens risale a oltre 40.000 anni fa, e segna il confine (nella nostra terminologia moderna: nella datazione scientifica, antropologica, archeologica) tra il Paleolitico Medio e il Paleolitico Superiore.
Homo, come genere, all’epoca esiste già da moltissimo tempo; appare infatti circa 2.5 milioni di anni fa, e con esso inizia il Paleolitico Inferiore che durerà fino a 300.000 anni fa. Nel Paleolitico Inferiore le due specie di Homo più diffuse sono Habilis e soprattutto Erectus (H. Ergaster, coevo, avrà invece vita breve), e in tutto questo lunghissimo periodo (2.2 milioni di anni: più di mille volte la durata ad oggi dell’intera èra cristiana cosiddetta) sostanzialmente non fanno altro che: affinare tecniche di creazione di utensili in pietra utili alla caccia, allo smembramento delle carni, allo scuoiamento di pelli e pellicce, e alla manifattura di quei medesimi utensili; imparare (Erectus specialmente) a controllare il fuoco e a generarlo autonomamente per le proprie necessità (di calore, luce, caccia, difesa, cottura); e migrare (forse solo Erectus) su gran parte della superficie terrestre (escluse Oceania e Americhe) a partire dall’Africa Australe, dove ebbero origine dai generi antenati dell’Homo (Australopithecus e Paranthropus principalmente). Poi, circa 300.000 anni fa appunto, evolve la specie nuova Homo Neanderthalensis (da una genealogia non-lineare ma che comunque conta le apparizioni a ritroso di Homo Heidelbergensis, H. Rhodesiensis e H. Antecessor – mutazioni di Erectus o Habilis nel corso delle loro migrazioni attraverso i millenni a centinaia) e questo data l’inizio del Paleolitico Medio. Neanderthalensis spinge avanti il cammino dell’evoluzione tecnologica e culturale, comincia a lavorare qualcosa che non sia pietra o carne animale (ossa, legno, resine) e a farlo non solo per necessità di sopravvivenza immediata bensì anche per comodità, ornamento ed espressione, cura sommaria di qualche invalidità da incidente e seppellimento dei morti. Tutto questo succede perlopiù nel territorio europeo; nel frattempo però, circa 200.000 anni fa sempre in Africa e sempre dal cespuglio delle già menzionate ramificazioni Homo, evolve una specie ancora diversa: Homo Sapiens – noialtri, proprio, così come siamo fatti anche adesso. Il quale Sapiens tuttavia per oltre 150.000 anni (un tempo enorme: cento volte la distanza tra noi oggi e la fine dell’Impero Romano d’Occidente) non fa quasi altro che migrare – pure lui – dall’Africa in Medio Oriente, da lì verso est fino in India, in Cina e addirittura in Oceania (che all’epoca non si chiamano così) e verso nord e ovest in Russia e in Europa (idem) dove incontrerà Neanderthalensis. Così arriviamo a circa 40.000 anni fa, al Paleolitico Superiore (intanto ci siamo già imbattuti in tre delle glaciazioni “recenti”: Günz, intorno a un milione di anni fa, Mindel, circa 400.000 anni fa, e Riss, circa 150.000 anni fa, e siamo in piena Würm, la quarta, che finirà solo verso il 10.000 a.C.), ossia all’epoca del Grande-Balzo-In-Avanti dell’Homo Sapiens da cui ho cominciato l’articoletto. Che continua così. Per facilità di calcolo facciamo conto che il Balzo (ora vediamo in cosa consistette) si possa datare a 43.200 anni fa esatti; poi prendiamo un orologio ipotetico, che segna tutte e 24 le ore del giorno, e notiamo che i minuti di un giorno intero sono 1.440 e i secondi 86.400: giusto il doppio degli anni trascorsi dal Balzo a oggi. Quindi possiamo porre l’equivalenza: 2 secondi = 1 anno; e vedere come passa il tempo sul nostro orologio della Storia dell’Homo Sapiens “moderno”. Nel corso della prime ore, suonata la mezzanotte, vediamo realizzarsi le cose del tutto inedite sulla faccia della Terra che giustificano il nome di Grande-Balzo-In-Avanti che diamo all’attività dei Sapiens europei dopo il loro incontro (fusione? inglobamento? scontro? genocidio? …di sicuro da lì in poi l’Umanità intera sarà composta di soli Sapiens) con l’Uomo di Neanderthal: le prime sculture (come le Veneri di Hohle Fels, di Dolní Věstonice, di Willendorf, di Brassempouy – questa, col primo volto ritratto in dettaglio), le prime pitture rupestri (come a Lascaux, ad Altamira, nella Grotta del Genovese a Levanzo), i primi strumenti musicali progettualmente fabbricati (cioè percussioni naturali a parte: aeròfoni perlopiù, come i flauti rudimentali realizzati con ossa lunghe, cave e forate sulla lunghezza per produrre note diverse – tipicamente in scala pentatonica, che infatti è la base praticamente universale del canto e della musica popolari) – insomma, le varie e numerose prove che questo Sapiens ha una marcia in più rispetto ad ogni altro Homo precedente: la capacità congenita e spiccatissima per il pensiero astratto, simbolico, creativo nel senso pieno della parola. Ora, fino alle quattro del pomeriggio (cioè fino a 14.400 anni fa) succede poco più di quanto già detto: i Sapiens moderni continuano a sviluppare le proprie caratteristiche antropologiche, a organizzarsi al meglio per la sopravvivenza delle tribù di cacciatori-raccoglitori in cui sono riuniti, a fecondare di nuovi concetti il proprio immaginario (come con i primi rituali di devozione alle prime divinità, Grandi Madri perlopiù), a prender “possesso” del resto della Natura (per esempio con la prima domesticazione, quella del cane), e a colonizzare latitudini, longitudini, altitudini, depressioni e ogni ecosistema raggiungibile; e più o meno alle 16, appunto, raggiungono l’ultimo continente che mancava ancora al genere Homo: l’America – passando da nord, tra Bering e le Aleutine, e umanizzandolo rapidamente fino in Patagonia, alla Terra del Fuoco. Alle cinque e un quarto (12.000 anni fa) càpitano un sacco di cose tutte insieme (e non è un caso): finisce la glaciazione Würm e il clima si stabilizza in termini più favorevoli alla vita umana; prima sperimentalmente e poi in modo sempre più diffuso, gran parte dell’Umanità scopre l’agricoltura e l’allevamento come mezzi di sostentamento (novità assoluta, dopo eoni di caccia, pesca e raccolta di vegetazione spontanea) e la realizzazione di oggetti manufatti ex-novo in ceramica, vetro o simili; l’organizzazione umana, di conseguenza, si fa stanziale e assai più articolata (dal punto di vista materiale, con la costruzione di villaggi e linee di collegamento e commercio e la divisione in ruoli e gerarchie sociali, e immateriale con la creazione di nuovi usi, riti, miti e costumi); e finisce l’interminabile Paleolitico (che in termini geologici chiamiamo anche Pleistocene) per dar vita al Neolitico (geologicamente Olocene). Alle sette e mezza del tardo pomeriggio – di questa ideale giornata dell’Homo Sapiens (dal Balzo in poi), cioè nel 6.000 a.C. circa – altri due eventi importantissimi e simultanei: in alcune parti del Mondo (Anatolia, Balcani, Grecia continentale, Valle del Nilo, Mesopotamia) il Neolitico già trapassa nell’Età dei Metalli (primo il rame, seguiranno il bronzo e il ferro), e più o meno nelle stesse regioni alcuni villaggi si uniscono in città vere e proprie, dalle costruzioni non più solo in terra e legno leggero bensì in mattoni, e tronchi e massi lavorati. Alle nove di sera finisce la Preistoria cosiddetta: l’uomo inventa la scrittura, il potere statale, la classe sacerdotale, la ruota, il valore economico astratto e la guerra organizzata. Mesopotamia, Egitto, Valle dell’Indo, le pianure tra Fiume Giallo e Fiume Azzurro in Cina, alcune isole dell’Egeo – sono questi i luoghi dove inizia la Storia che studiamo sui libri fin dalla scuola elementare. Ma da qui, la nostra giornata ipotetica è un vortice di accelerazione (gli accadimenti – certi e/o leggendari – che citerò sono una selezione a mio gusto, ovviamente); ed è già passata ora di cena. Ore 21.30: Grande Piramide di Gizah. Ore 22.30: redazione dell’Odissea. Ore 22.35: predicazione di Buddha. Ore 22.40: insegnamento di Socrate e Platone. Ore 22.45: unificazione dell’Impero Cinese. Ore 23: morte di Cristo. Ore 23.15: Egira di Maometto. Ore 23.25/30: avvistamento della cometa di Halley e terminati i templi ad Angkor Vat Ore 23.35: stesura della Divina Commedia. Ore 23.40/45: stampa a caratteri mobili, ri-scoperta dell’America, e Giudizio Universale in Sistina. Ore 23.47: inaugurato il metodo sperimentale. Ore 23.48: Etica di Spinoza. Ore 23.52: coniato il nome Homo Sapiens, realizzata la prima macchina a vapore (comincia l’Antropocene) e concepito da Kant il criticismo. Ore 23.53: Mozart compone il Requiem e nasce l’imperialismo moderno (ma non è colpa sua). Ore 23.55: L’Origine della Specie di Darwin e L’Economia Politica di Marx. Ore 23.56: Così Parlò Zarathustra di Nietzsche. Ore 23.57: il primo cinematografo, Les Demoiselles d’Avignon di Picasso e la Recherche di Proust. Mancano due minuti e mezzo a mezzanotte: liberazione di Auschwitz. Mancano due minuti e un quarto: scoperta la struttura del DNA. Manca un minuto e 50 secondi: scoperta l’eco del Big Bang. Manca un minuto e 40 secondi: l’impronta dell’Uomo sulla Luna. Manca un minuto e 35 secondi: il primo rapporto sulla degradazione del clima a causa dell’Uomo. Manca un minuto e mezzo: Songs in the Key of Life di Stevie Wonder. Manca solo un minuto a mezzanotte: Internet. Mancano 38 secondi: l’Undici Settembre. Mancano 24 secondi: la Grande Crisi del 2008. Manca meno di un secondo a mezzanotte: il primo caso di coronavirus a Wuhan. Ecco. Ho fatto questo piccolo, non originale e forse puerile esperimento con le scale del Tempo, solo per visualizzare concettualmente – anzitutto a me stesso – quanto abnormi siano state la velocità, l’accelerazione e anche la grandezza fisica che chiamiamo strappo (cioè la crescita dell’accelerazione stessa secondo dopo secondo), del cammino dell’Umanità nell’epoca moderna (in senso proprio) e nella contemporaneità; cammino che è divenuto una corsa e poi un volo e poi – temo – uno sparo. Ciò che ne ricavo è l’immagine mentale di un presente di ogni uomo e ogni donna sulla Terra, che è lanciato come un bolide senza alcun possibile controllo razionale da parte di una specie animale la quale per grandissima parte della propria vita collettiva si è mossa, invece, assai lentamente e forse proprio grazie a questo lusso della lentezza sperimentante e concettualizzante (dirò così) ha potuto sopravvivere nelle condizioni più diverse del pianeta e al variare più imprevedibile delle ère succedutesi. Non sono mai stato un passatista, né un nostalgico e tantomeno un reazionario – ne fanno fede, credo, il mio pensiero politico e la mia pratica sociale. Tuttavia forse esiste naturalmente una soglia critica di quantità di innovazione nell’unità di tempo (dirò così) al di sotto della quale qualunque specie senziente, pensante, volitiva e agente è bene che cerchi e trovi il proprio progresso secondo la freccia del tempo dal prima al poi, ma che una volta raggiunta e superata fa sì che ciò che accade a quella specie oltre il confine diventi deleterio per essa stessa; e se la specie è abbastanza potente rispetto alla Vita in generale, deleterio per essa Vita sulla Terra. Ecco. Questi giorni grigi mi fanno supporre che quel confine noi Uomini Sapientes l’abbiamo ben che alle spalle – però magari è solo suggestione, e passerà. (Rassicurante per chi è intellettualmente onesto, beninteso!)
Esiste ed è misurabile da chiunque una correlazione tra il calo (in fase ancora aurorale ma beneaugurante) del numero dei morti da Covid-19 in Italia e il calo (registrato già da alcuni giorni e consolidato) del numero dei posti occupati in terapia intensiva, anzitutto, ma anche in semplice reparto ordinario, nel sistema sanitario nazionale. Come a dire: si muore di più se si è curati peggio, e si è curati peggio se ci si stipa in troppi in un sistema in sofferenza, ossia – viceversa – si muore meno se si è curati meglio, e si è curati meglio se ciascun malato può contare su una porzione maggiore del sistema sanitario ad esso dedicato fino ad avvio di guarigione. Talmente ovvio, questo, che l'intera Fase 1 tuttora in corso, di contenimento del contagio tramite il blocco delle attività degli italiani, la limitazione radicale degli spostamenti privati, il distanziamento sociale e tutto ciò che viviamo da settimane, è stata a suo tempo disposta ed è e sarà vigente con tanto di controlli severi e sanzioni normate, proprio per defatigare la sanità nazionale dall’iniziale afflusso ingestibile di contagiati gravi e gravissimi e rendere possibile cure adeguate ai malati via via entranti (posto che il numero dei morti sconta e sconterà sempre un ritardo fisiologico di alcune settimane su ogni azione generale concepita e concretizzata, per la durata naturale della malattia curata bene o male); così che nel frattempo la scienza cerchi e trovi – si spera – cure risolutive e il benedetto vaccino. Numeri: una settimana fa contavamo 15.887 deceduti in Italia per il (o almeno con il) virus dal "morto 1” del 21 febbraio, oggi ne contiamo 19.899; cresciuti, sì, ma molto meno (in assoluto e in percentuale) dei guariti che domenica scorsa erano 21.815, e sono oggi 34.211; notevole infatti è la ripartizione sul totale dei contagiati dall’inizio dell’epidemia (che possono essere: o tuttora in carico al sistema sanitario come malati, o guariti, o deceduti), la quale ci dice che la quota dei morti dopo una salita inarrestabile per settimane si è praticamente inchiodata da domenica scorsa in mezzo punto percentuale (tra il 12.3 e il 12.8%). Correlatamente a ciò – è impossibile non vederlo, e quindi non dedurne ciò che stiamo qui esprimendo – registriamo che negli ultimi sette giorni si è passati, nella seconda ripartizione rilevante (quella sul totale dei malati in carico al sistema, che possono essere: o in semplice isolamento casalingo, o in reparto ordinario, o in terapia intensiva), dalla quota di 31.7 a quella di 27.2% dei ricoverati ordinari (calo del 14.5% intrinseco) e soprattutto dal 4.4 al 3.3% delle terapie intensive (crollo del 25% in una settimana). E dunque è altresì provato dai fatti: meno affluenza in ospedale, meno congestione dei reparti speciali, più guarigioni e meno morti; ossia – equivalente al contrario – meno morti e più guarigioni, con più posti di cura disponibili, ordinari o intensivi, nella sanità italiana. In trenta parole: a parità di virulenza di questa epidemia, avremmo avuto meno perdite fin da subito se solo avessimo potuto disporre di più posti in ospedale e di più medici e infermieri per malato. Il caso Germania lo dimostra, peraltro: una quota di morti su contagi totali radicalmente più bassa che in Italia, correlata al fatto che lì è quasi triplo il numero di posti letto in ospedale per mille abitanti rispetto a qui da noi (*). Ancora un numero: soltanto nel decennio 2010-2019 sono stati cancellati in Italia 70.000 posti letto in ospedale (*), ed è stato depauperato il patrimonio di personale sanitario (medico e paramedico) col pensionamento senza rimpiazzi di migliaia di unità e coi tagli feroci al bilancio della sanità. Sono state scelte politiche, non fatalità. La fatalità è l’epidemia, ma il modo in cui la si affronta è una scelta – o quantomeno è il frutto di scelte già fatte, sciaguratamente (ora possiamo ben dire, fatti alla mano). Chiudo questo articoletto enumerando semplicemente le persone fisiche che in quanto depositarie del potere politico generale o di comparto sono da considerarsi colpevoli, senza tanti giri di parole, dell’impoverimento della sanità italiana e quindi di buona parte (calcolabile a tavolino) dei quasi ventimila morti da (o con) Covid-19 che contiamo finora e di quelli che purtroppo verranno. Dal 2010 alla fine del decennio, i Presidenti del Consiglio Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte (primo mandato), i Ministri dell’Economia Tremonti, Grilli, Saccomanni, Padoan e Tria, e i Ministri (o le Ministre) della Salute Sacconi, Fazio, Balduzzi, Lorenzin e Grillo – correi, ovviamente, i decisori apicali (Segretari o Presidenti) delle forze politiche che hanno espresso o sostenuto tutti questi figuri: il Popolo della Libertà (da cui riemerse poi Forza Italia, e gemmò Fratelli d’Italia), la Lega, il PD, i 5Stelle – tra i maggiori – e le cordate varie di Alfano, Casini, Fitto, Bonino, Toti, Miccichè eccetera. Uno zoom – concedetemelo – sulla regione Lombardia, che da sola paga il tributo più alto di morti e quindi (se è vero, come è vero, tutto il ragionamento fin qui condotto) ha le maggiori responsabilità politiche pregresse per aver mandato in rovina la propria sanità: i Governatori di un decennio Formigoni, Maroni e lo stesso Fontana tuttora in carica, con i partiti di riferimento PdL, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia. Ecco. I fatti (e i numeri) hanno questo di bello: sono abbastanza refrattari all’esser ridotti a ideologia. Viceversa, tutta questa gente della falsa ideologia dello smantellamento di un servizio pubblico essenziale come quello che protegge la nostra salute, ha fatto la propria bandiera confidando che una resa dei conti quale l’odierna non arrivasse mai – e intanto facendo affari personali che la giustizia ha già solo in parte indagato e sanzionato (Formigoni fa da apripista). Continuiamo dunque a guardare i numeri e i fatti, e facciamo tutto ciò che possiamo da semplici cittadini perché il Paese esca prima possibile dal pozzo in cui è caduto. Però quei nomi e quelle sigle, con le loro colpe storiche, non scordiamoceli mai. (*): fonte Internazionale n°1352, 3/9 aprile 2020, pagg 22-30 Ora che la discesa dal picco pandemico in Italia è finalmente cominciata, l’opinione pubblica ha a cuore la Fase 2 cosiddetta, ed è normale: quando finirà il lockdown? Quando potremo uscire di casa e far uscire i nostri figli? Quando riapriranno scuole e aziende? E i negozi, i locali?
La Fase 2, quella della convivenza accorta e ragionevole con un virus in regressione. Poi ci sarà la Fase 3, quella in cui la pandemia sarà un ricordo orrendo, dal punto di vista strettamente medico, ma la società dovrà curarsi altre ferite. E saranno orrende anche quelle non direttamente connesse alla conta dei morti per la malattia. L’ISTAT ha rinunciato, per onestà intellettuale, a calcolare ora la perdita economica secca che si registrerà in Italia alla fine della pandemia propriamente detta. Gli studi su scala europea, quelli più seri, parlano comunque di crolli peggiori di quelli dovuti alla Grande Crisi finanziaria del 2008 e seguenti. Ogni Banca Centrale fa riferimento allo scenario che spetterà a ciascuna nazione come a qualcosa che ha precedenti solo nella Seconda Guerra Mondiale. E l’Agenzia per l'Occupazione, dell’ONU, stima che potranno perdere il lavoro, e quindi un reddito, un miliardo e un quarto di occupati ora in tutto il Mondo! Tale è la Fase 3, dunque, dal punto di vista socioeconomico. Perciò, senza girarci tanto intorno, quando c'è una secchiata così di calce viva sul lavoro, sulle disponibilità materiali delle persone e delle famiglie, sull’idea di minima sicurezza che ciascuno culla rispetto al proprio futuro, ebbene storicamente balza sulla scena la stagione politica dei totalitarismi, applauditi da masse depresse da miseria e paura. E’ automatico? La Storia non ha automatismi certi, però sarà sicuramente probabilissimo se niente e nessuno interviene in direzione ostinata e contraria. Quindi, parafrasando Rosa Luxemburg (dal suo celeberrimo “Socialismo o barbarie”, che mutuò da Kautsky – già, lui: il rinnegato, secondo Lenin): l’alternativa sarà tra socialdemocrazia (ma parecchia, in dosi pachidermiche) e nazionalmilitarismo (cioè: fascismo prima, e guerra poi). Allora la domanda delle domande da porsi riguardo alla Fase 3, da parte di chi ha a cuore i diritti politici e civili, economici e umani (a rischio anche loro, vincesse l’opzione delle destre locali e globali), è la seguente: ce la faranno le sinistre di tutti i Paesi, sinistre politiche e sinistre sociali, sinistre massimaliste e sinistre gradualiste, a mettersi d'accordo su un progetto minimo comune di socialdemocrazia sostanziale (ed ecosostenibile) e a renderlo comprensibile e attraente per la maggioranza dell'opinione di massa? Vogliono esse cominciare a ragionarci seriamente fin da ora, o invece continueranno a farsi dettare l’agenda dagli eventi, dagli avversari e dal proprio rispettivo ombelico (in ordine inverso, di solito)? Altrimenti quella fase, localmente e globalmente, seguirà le tracce degli Anni ‘20 e ‘30 del Novecento in Europa, però su scala mondiale e con in più la tecnologia che può azzerare l'individuo davanti al Potere, e in più gli arsenali nucleari, e in più il riscaldamento globale! Insomma, la Civiltà stessa cadrebbe in un buco nero probabilmente senza alcun precedente. Ecco il mio appello accorato: le sinistre (come sopra definite), che siano per una volta intelligenti, operose e convergenti! Ora o mai più. Ci sono delle coppie, di qualunque età, che si amano ma sono costrette dalla pandemia a non vedersi, tanto meno sfiorarsi, baciarsi, stringersi, perché non vivono insieme per un motivo qualsiasi.
E ci sono coppie che si detestano, o anche solo amareggiate ma definitivamente, costrette a condividere lo stesso spazio ventiquattr’ore al giorno perché per un motivo qualsiasi non si sono separate. Magari hanno dei figli piccoli con sé, purtroppo per loro – non bastasse tutto il resto. Non c’è bisogno di trovarsi in una di queste condizioni per riuscire a immaginare quanto debbano star male coloro che le vivono davvero. Non rischiano la vita – non più degli altri – e non è detto abbiano perduto persone care, d’accordo, ma la tenerezza e la passione in un caso e la serenità e la lucidità nell’altro gli sono viepiù precluse a causa di ciò che capita a tutti. E i bimbi coinvolti, un surplus di dolore. Un pensiero anche a loro. Vi viene mai in mente la curiosità, infantile o senile che sia, “come sarà il mondo dopo di me?” o – più radicale – “come sarebbe il mondo se io non fossi”?
Qualche volta ci ho pensato, piuttosto nella prima formulazione che non nella seconda. Voi? Saltando di palo in frasca, sapete che il 1816 in alcuni libri di Storia è indicato come l’anno senza estate? Infatti quell’anno nell’emisfero boreale i mesi caldi non arrivarono mai, neve e gelate prolungate a primavera e oltre distrussero i raccolti in Nord America e in Europa, con carestie conseguenti, e in Asia Centrale e nel subcontinente indiano il freddo intenso favorì terribili epidemie. Perché? Perché ad aprile del 1815 il Tambora, nelle Indie Olandesi – ora Indonesia –, era eruttato esplodendo e aveva immesso nell’atmosfera quantità immense di ceneri vulcaniche; il calore del Sole ne fu schermato per mesi, ed ecco le cause dei disastri dell’anno dopo. Tra i suoi effetti più particolari: in Svizzera il meteo fu così rigido che alcuni vacanzieri inglesi decisero di tapparsi in baita e passare il tempo sfidandosi inventando racconti del terrore, e così nacque Frankenstein dalla penna di Mary Wollstonecraft Godwin in Shelley; le polveri nel cielo di Londra dipingevano tramonti dai colori così spettacolari che il pennello di Joseph Mallord William Turner non poté più tornare a paesaggi normali sulle sue celebri tele; e c’è perfino chi imputa al Tambora la sconfitta di Napoleone a Waterloo del giugno 1815, il quale se il teatro di battaglia non fosse stato così inaspettatamente fangoso avrebbe forse potuto meglio dislocare e muovere cavalleria e, soprattutto, artiglieria – con tutt’altro corso nella Storia europea e mondiale a venire! Torno a bomba. Quest’anno 2020 si sta caratterizzando per la più grande e rapida contrazione delle attività umane su tutta la faccia della Terra, di quelle più tipiche dell’età contemporanea: la produzione e i consumi, gli spostamenti a breve o lungo raggio, la capillare occupazione di ogni spazio – in superficie, e anche nella dimensione verticale – da parte dell’Umanità intera; conseguenza: il crollo secco degli effetti di tali attività, buoni e cattivi – l’occupazione e il reddito, la disponibilità di risorse e le libertà basilari, tra i primi; la corsa infinita al profitto privato, l’inquinamento di ogni tipo e lo schiacciamento della Natura non-umana sotto le esigenze dell’uomo moderno, tra i secondi. Fiumi e perfino canali cittadini che tornano trasparenti dopo secoli, specie animali che riconquistano habitat in terra, in mare e nel cielo, da decenni preclusi per l’antropizzazione forsennata, il riscaldamento globale che si prende una micropausa dopo anni di ininterrotti record verso l’apocalisse climatica. E l’Umanità? Tappata in casa per il virus, giustamente, tranne quella frazione eroica deputata alla cura di chi se ne è già ammalato, alla ricerca di un vaccino risolutivo per tutti e alle sicurezze essenziali della collettività. Ecco: noi in qualche modo stiamo assistendo all’alba del Mondo come sarà dopo di noi, se spariremo, e quasi a come sarebbe se non fossimo – come uomini contemporanei, industrializzati – mai stati. E non è un brutto Mondo, forse, visto con occhi non umani (tranne quelli degli animali che per sopravvivere hanno bisogno di noi, ovviamente). Concludo chiarendo subito il punto: io voglio che l’Umanità superi al meglio questa terribile fase, e prima possibile. Però ci è stata data questa possibilità di solito relegata alle fantasticherie – di un pittore? di una scrittrice? –: guardare come può essere la realtà senza la nostra presenza, o almeno con una presenza umana assai meno ingombrante e autolesionista e più compatibile con l’ecosistema, con la giustizia e la pace. Forse il 2020 sarà indicato su qualche futuro manuale come l’anno senza homo, in parallelismo con quel lontano 1816 cruciale. Sarebbe bello che ammaestrati da ciò che stiamo tutti vivendo, e osservando, a da quel che saremo costretti a escogitare per uscirne – in termini di modelli di sviluppo, organizzazione, convivenza e percezione –, noi con le nostre stesse mani creassimo il 2021 come il primo anno di una serie tutta nuova, di una Storia di sostenibilità, equilibrio e rispetto mai vista prima, e sognata da alcuni – non pochi. Sarebbe in effetti meraviglioso! |